SERIAL KILLER DEL VOLANTE: LA STAMPA RIPRENDE E RILANCIA LE NOSTRE TESI. MA QUESTO VUOL DIRE CHE SONO CONDIVISE?
Le foto del sinistro |
Premessa: prima di tutto è necessario ricostruire in poche righe cosa ispira questa nostra riflessione. All’alba del giorno dell’Epifania, il 6 gennaio, la Lancia di Sergio Romeo, 29 anni agente della Polizia di Stato presso l’8° Reparto Mobile di Firenze, percorre via Baracca per raggiungere la propria caserma, che si trova a nemmeno duecento metri. Improvvisamente una Golf piomba su di lui a velocità folle, senza lasciargli nemmeno il tempo di capire. Sergio, quando arrivano i medici e gli infermieri è già morto. Non è morto invece il suo investitore, Massimiliano Bartolini, 40 anni: gli agenti della Polizia Municipale, quando arrivano, capiscono subito la dinamica dell’incidente e si accorgono che forse c’è dell’altro. Lo portano in ospedale e lo fanno sottoporre ai test, che confermeranno i sospetti: è ubriaco e in preda a sostanze stupefacenti. Ma scoprono ancora di più: che nel 2002 aveva già investito un pedone, sempre in condizioni di ebbrezza durante la guida. E negli scorsi mesi aveva subito un altro ritiro di patente perché positivo all’etilometro. Possibile? Chi conosce il nostro sito o la nostra rivista sa che tutto è possibile sulle strade italiane. Per noi, questi sono (o possono diventare) i serial killer della strada.
Quando accade qualcosa di tragico, i media cercano con ogni mezzo di coprire la notizia. Una notizia, poi, può passare inosservata o balzare in testa alle cronache per una serie di meccanismi non sempre valutabili scientificamente.
Per questo c’è la sociologia, quella dei media appunto.
La notizia della morte di Sergio Romeo, 29 anni agente della Polizia di Stato di Firenze, ha fatto un grandissimo rumore.
Eppure, per come si è spenta questa giovanissima vita, non ci sarebbe stato niente di straordinario, perché purtroppo delitti come questo avvengono ogni giorno; si, avete letto bene, “delitti” e vorremmo poter alzare la voce, mentre ripetiamo questa parola…
Abbiamo saputo della tragica fine di Sergio Romeo dai cronisti stessi, che ci hanno chiamato prima ancora dei colleghi. Gli uomini della Polizia Municipale di Firenze erano ancora al lavoro, quando i cronisti della Nazione e del Tirreno avevano già fiutato la pista. Stavolta non c’era dubbio, la notizia andava cavalcata. Così i reporter hanno scavato nella vita dell’investitore ed hanno scoperto quello che gli agenti della polizia municipale avevano già comunicato al PM di turno: nel suo passato c’era un altro investimento, sempre con l’alcol a dargli una mano e che pochi mesi fa un altro etilometro aveva portato la sua patente in prefettura.
Ora, noi non vogliamo fare una caccia alle streghe. Ma come Sergio Romeo si è trovato senza poter far niente sulla strada del suo investitore, così questo, Massimiliano Bartoletti, si trova ora sulla nostra. Niente di personale, ma solo un’occasione per poter sfruttare una notizia “che buca”. Chi ci ha seguito, in queste ore, ha capito che non agiamo per spirito di appartenenza.
Due parole però le vogliamo spendere nel suo ricordo: Sergio era un ragazzo davvero in gamba, che molti dei commercianti del centro cittadino ricordano con particolare affetto, per la sua dedizione al lavoro che non era esattamente quella di un servizio di quartiere: Sergio era da anni parte delle squadre antisommossa, spesso impiegato in servizi di controllo del territorio, in lunghe trasferte e in servizi di ordine pubblico. Amava Firenze e non aveva alcuna intenzione di andarsene. Non beveva e non faceva uso di droghe: eppure un mix di queste sostanze lo ha ucciso, alla faccia di chi nega l’esistenza di un problema sociale di alcol e droga passivi. Punto.
Di Massimiliano Bartoletti sappiamo invece che in almeno 3 occasioni era al volante ubriaco, e in due di queste altri hanno fatto le spese del suo gesto. La carneficina di questi giorni in Toscana (a Empoli un uomo ubriaco e drogato ha ucciso un ragazzo fermo in auto al semaforo e analoga tragedia è avvenuta a Viareggio) ha dunque attirato l’attenzione dei cronisti ed ha suscitato lo sdegno di moltissima gente e persino i politici si sono smossi.
Ma è un atteggiamento che durerà o è destinato a finire col silenzio che i colleghi di Sergio suoneranno al suo funerale?
Perché, diciamolo chiaro, non è la prima volta che commentiamo fatti di questo genere e la terminologia “serial killer della strada” l’avevamo brevettata da tempo. E allora, cos’è che non funziona? Perché di questa gente si fa un gran parlare quando commettono efferatezze di questo tipo e poi tutto lentamente finisce, a parte il dolore di chi resta ed era vicino alle vittime?
Forse perché in realtà c’è poca condivisione di quello che si dice. Insomma, tanta comprensione sul momento, ma poi l’abitudine prende il posto della rabbia e questa è destinata a riempire solo la vita di parenti e amici, ai quali non viene nemmeno il conforto non tanto della certezza della pena, ma che nessuno potrà impedire nemmeno la reiterazione del reato. Insomma, chi ha ucciso tornerà presto in grado di farlo ancora.
Per il mondo normale, quello solo scosso sul momento dalla notizia, la vita riprenderà come prima. Tornerà la rabbia per gli “agguati” della polizia con gli autovelox, torneranno di moda i ricorsi al giudice di pace, e chi verrà sorpreso alla guida in stato di ebbrezza avrà la scocciatura di farsi accompagnare per i 15 giorni della sospensione. Bello farsi grandi a mostrarsi accaniti giustizieri quando a provocare tragedie come queste sono gli altri! Facile poi invocare il diritto alla privacy, il diritto ad andare veloci, il diritto a bere un bicchiere-tanto-non-fa-male o lanciare anatemi contro chi riporta loro a casa il figlio di 15 anni impasticcato e ubriaco, nel cuore della notte, e sgretolare mattone dopo mattone quel muro che servirebbe a proteggere ognuno di noi.
Invece siamo tutti esposti al tiro dei cecchini, che sono sempre di più e che girano indisturbati. Sono gli uccisori, sulle nostre strade.
di Giordano Biserni e Lorenzo Borselli