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Corte di Cassazione 04/12/2015

Per risarcire il danno esistenziale e il danno morale non basta la tabella
da Altalex

(Cass. Civ., sez. III, 22 settembre 2015, n. 18611)

La Terza Sezione della Cassazione, con sentenza 22 settembre 2015, n. 18611 chiarisce che il danno esistenziale e il danno morale meritano una valutazione autonoma rispetto al danno biologico, e ribadisce l’incongruità di una mera valutazione tabellare ai fini del calcolo delle somme dovute a ristoro del pregiudizio subito dalla vittima. Appesantire soltanto il punto di base indicato nelle tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico-fisica non permette, infatti, di considerare la perdita delle qualità della vita del soggetto gravemente leso e tutte le componenti psichiche e spirituali del dolore umano.

Il fatto

Un giovane di 33 anni, istruttore di volo libero in procinto di aprire una apposita scuola e l’attività commerciale accessoria, camminava all’interno di un padiglione della fiera campionaria della sua città quando, a causa di una imprudente manovra del conducente di un veicolo industriale ivi presente, veniva da esso travolto e schiacciato dal mezzo, subendo gravissime lesioni personali. Agiva pertanto in giudizio contro la società proprietaria del veicolo e la relativa compagnia assicuratrice per ottenere il risarcimento dei gravissimi danni subiti nella circostanza. Nei primi due gradi di giudizio, tuttavia, pur essendosi riconosciuta la responsabilità esclusiva del conducente, l’attore si vedeva assegnare a titolo di risarcimento del danno una somma ritenuta del tutto insufficiente ad assicurare un ristoro integrale dell’enorme pregiudizio patito. Ricorreva pertanto in Cassazione, lamentando anzitutto il mancato riconoscimento di una somma di denaro a titolo di danno patrimoniale futuro (determinato dalla perdita totale della capacità produttiva), nonché l’omesso ristoro dei danni esistenziali, morali, estetici e sessuali a lui occorsi.

La decisione

La domanda del ricorrente è stata accolta dalla Suprema Corte; molto interessanti appaiono, in sentenza, le argomentazioni utilizzate dai giudici di legittimità al fine di giustificare l’accoglimento delle istanze del giovane istruttore di volo, soprattutto in tema di danno esistenziale e di danno morale.

Quanto alla prima delle due tipologie di danno non patrimoniale (l’esistenziale, appunto), la vittima dell’infortunio aveva infatti dedotto l’error in iudicando dei giudici di merito, individuato nella parte di motivazione che escludeva la valutazione autonoma del danno esistenziale, essendosi applicate erroneamente, a detta del ricorrente, le puntualizzazioni operate in proposito dalle note Sentenze di San Martino del 2008 delle Sezioni Unite (sentenze nn. 26972-26975/08).

Quanto al danno morale, invece, ne veniva contestata la non corretta liquidazione, sbrigativamente liquidato nella sentenza della Corte di appello come “sofferenza soggettiva da considerare congiuntamente al danno biologico”, e per la quale voce era stato applicato meramente un appesantimento del punto standard tabellare, senza considerarlo come autonomamente rilevante.

Ebbene, i Supremi giudici, nel decidere di riformare la decisione dei giudici di merito, hanno rilevato come, nella fattispecie, la corte di appello abbia “reso un omaggio ai dicta delle sezioni unite del 2008”, ma sia poi pervenuta “ad una liquidazione incongrua e iniqua del danno non patrimoniale nelle sue componenti esistenziali rilevanti e morali di sofferenza e dolore”, dichiarando la pronuncia della corte territoriale “errata in punto di diritto e illogica in punto di carenza motivazionale”.

Sul mancato riconoscimento del danno esistenziale, infatti, gli ermellini hanno condivisibilmente evidenziato come per garantire un ristoro che tenga conto anche degli aspetti dinamici ed interrelazionali del pregiudizio sia del tutto incongruo il ricorso alla mera valutazione tabellare: errore, questo, segnalato purtroppo nella pronuncia della corte di appello.

Appesantire il punto base non è dunque sufficiente, secondo la Suprema Corte, laddove si tratti di considerare la perdita delle qualità della vita della vittima di gravissime lesioni personali, la quale “vive solo attingendo alla solidarietà dei suoi cari, degli amici, dei volontari, ma che certamente possono dare un aiuto alla sopravvivenza, ma non già a rimuovere la perdita di quelle qualità personali e di partecipazione che sono chiaramente descritte nell’art. 3 della Costituzione repubblicana”.

Risarcire il danno esistenziale quale voce autonoma, pertanto, non solo non significa affatto duplicare le voci di ristoro e, soprattutto, le poste risarcitorie, bensì permette di riconoscere il diritto del macroleso a ricevere un equo ristoro per la perdita della sua dignità di persona e del proprio diritto ad una vita attiva.

Fondate, altresì, sono apparse le censure espresse in punto di danno morale, “sbrigativamente liquidato”, come sopra già accennato, “come sofferenza soggettiva da considerare congiuntamente al danno biologico”.

Come rilevato dalla Cassazione, infatti, nella vicenda in commento i principi delle sentenze di San Martino del 2008 sono stati del tutto “trascurati e negletti, in considerazione della circostanziata descrizione delle drammatiche condizioni di vita” della vittima, “che potrà avere un grande cuore ed un grande coraggio di sopravvivenza, ma che vive solo se costantemente assistito, curato, medicato, operato”.

Per tali ragioni, così conclude la Suprema Corte, “tutte queste componenti fisiche, psichiche e spirituali del dolore umano meritano una migliore attenzione rispetto al calcolo tabellare dove la personalizzazione è pro quota, mentre deve essere ad personam”.

Al contrario, nel liquidare le somme da riconoscersi al giovane istruttore di volo, la corte di appello aveva (non correttamente) riconosciuto per il danno morale soltanto un appesantimento del punto standard tabellare pari al 25%, considerando in particolare il danno conseguito alla perdita dei rapporti sessuali, riconoscendo una somma troppo esigua rispetto alla privazione subita, meritevole di autonomo e ben più consistente ristoro.

A completare il quadro, per inciso, la Cassazione ha accolto il ricorso anche con riferimento all’esclusione (ritenuta ingiustificata) del danno biologico per la inabilità temporanea futura in relazione ai vari interventi chirurgici, necessari nel tempo per assicurare l’efficienza fisica e le funzioni vitali, contestando la scarsa sensibilità dei giudici di merito nel pervenire (come avrebbero dovuto) ad una equa valutazione.

Da riconoscersi, infine, per la Suprema Corte (pena la violazione del principio del risarcimento integrale del danno subito dalla vittima), il danno patrimoniale futuro, determinato dalla perdita totale della capacità produttiva, atteso che il giovane era in procinto, prima dell’incidente, di avviare una scuola di volo, con attività commerciale accessoria.

Il motivo è stato ritenuto meritevole di accoglimento, essendo stato dedotto e provato “il pregiudizio al diritto al lavoro, costituzionalmente garantito, di soggetto che propone una attività imprenditoriale lecita che tuttavia esigeva la integrità psicofisica”.

Ora, tornando in particolare al danno esistenziale, va evidenziato come la Cassazione, proprio nel corso del vigente anno 2015, era tornata, con due apposite sentenze, a fornire dettagliate precisazioni e chiarimenti circa la corretta interpretazione da attribuire ai principi stabiliti dalle richiamate sentenze di San Martino del 2008.

E ciò, proprio per evitare il rischio che il danno non patrimoniale non venga liquidato nella sua integralità e completezza, e che si cada così nell’errore di dar vita ad un vero e proprio “vuoto risarcitorio”.

Le pronunce in argomento, entrambe dalla terza sezione civile della Corte di Cassazione, sono, dalla più remota alla più recente, la numero 9320/2015 (depositata lo scorso 8 maggio) e la numero 12594/2015 (depositata il 18 giugno).

La prima di esse trae spunto dalla tragica vicenda occorsa al conducente di una autovettura, il quale aveva perso la vita in un sinistro stradale caratterizzato dallo scontro frontale tra due veicoli.

Adite le vie legali da parte dei familiari della vittima, i giudici di merito, pur accogliendo le domande di risarcimento del danno da essi avanzate, provvedevano tuttavia a liquidare in modo unitario ed indistinto agli attori sia il pregiudizio non patrimoniale da essi patito in conseguenza della morte della persona cara, sia il danno alla salute da invalidità permanente, consistito in una malattia psichica ed anch’esso causato dall’evento luttuoso. Da qui il ricorso in Cassazione, con l’ulteriore censura rappresentata dalla sottostima operata dalla corte di appello, a detta dei ricorrenti, del danno non patrimoniale da essi patito. Ebbene, la domanda è stata accolta dagli ermellini, i quali hanno evidenziato il duplice errore posto in essere dai giudici di merito:

a) il non avere correttamente applicato l’art. 1223 c.c. (ai sensi del quale la liquidazione del danno deve avere riguardo alla “perdita” subita dal danneggiato, perdita che non va identificata con il diritto leso, bensì con la conseguenza della lesione).

Secondo la Suprema Corte, il danno risarcibile è rappresentato dalla perdita causata dalla lesione di un interesse giuridicamente protetto; il danno, dunque, non può mai consistere nella mera lesione del diritto in sé e per sé considerata, ma deve provocare un concreto pregiudizio, altrimenti si sarebbe al cospetto di una iniuria sine damno, improduttiva di effetti giuridici.

Ciò premesso, se ne trae che la lesione di un solo interesse può provocare pregiudizi diversi, così come la lesione di interessi diversi può provocare un pregiudizio unitario.

Dunque, quando il giudice è chiamato a liquidare il danno da fatto illecito, deve avere riguardo all’individuazione dell’interesse protetto che si assume violato, alla perdita subita dal danneggiato (patrimoniale e non), come pure alla quantificazione del valore perduto.

Due, nella fattispecie, le perdite concrete subite dai familiari dell’uomo ucciso nel sinistro stradale: la perdita della serenità derivante dalla rottura del vincolo familiare, e la perdita della salute (la malattia psichica conseguita all’evento luttuoso), ossia due beni oggettivamente diversi, il cui pregiudizio andava dunque liquidato separatamente, in applicazione del precetto di cui all’art. 1223 c.c., che impone una liquidazione parametrata alla “perdita subita”;

b) l’avere fraintesa la nozione di “unitarietà del danno non patrimoniale”, per come affermata dalle sentenze nn. 26972 e ss. del 2008.

Infatti, si legge in sentenza, se è vero che le richiamate sentenze di San Martino hanno affermato l’unitarietà del danno non patrimoniale, è altrettanto vero che la predetta nozione di unitarietà significa che lo stesso danno non può essere liquidato due volte solo perché chiamato con nomi diversi, ma non significa tuttavia che quando l’illecito produce perdite non patrimoniali eterogenee, la liquidazione dell’una assorba tutte le altre.

Quali dunque le conseguenze di tali errori ad opera delle corti di merito? La cassazione della sentenza d’appello, con rinvio a quest’ultima perché si attenga al principio di diritto affermato dalla corte di cassazione: “il risarcimento del danno da fatto illecito presuppone che sia stato leso un interesse della vittima, che da tale lesione sia derivata una “perdita” concreta, ai sensi dell’art. 1223 c.c., e che tale perdita sia consistita nella diminuzione di valore d’un bene o d’un interesse. Pertanto quando la suddetta perdita incida su beni oggettivamente diversi, anche non patrimoniali, come il vincolo parentale e la validità psicofisica, il giudice è tenuto a liquidare separatamente i due pregiudizi, senza che a ciò osti il principio di omnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, il quale ha lo scopo di evitare le duplicazioni risarcitorie, inconcepibili nel caso in cui il danno abbia inciso su beni oggettivamente differenti”.

Più sintetica, ma non meno chiara e significativa, la seconda sentenza, la richiamata n. 12594/2015, inerente le vicende occorse ad una minore, vittima di un sinistro stradale mentre si trovava in sella alla propria bicicletta, e rimasta gravemente ferita.

I parenti della giovane ricorrevano alla Suprema Corte per avere la corte di appello violato il “principio di integralità del risarcimento del danno, per aver ritenuto non dovuto il danno alla vita di relazione ed esistenziale”.

Secondo i ricorrenti, infatti, si impone, nell’ambito del danno non patrimoniale, la liquidazione del danno esistenziale, in forza del principio dell’integralità del risarcimento di cui agli artt. 1223, 2059 e 2054 c.c., ribadito dalle suddette sentenze di San Martino del 2008.

Ebbene, anche in tal caso la Corte ha ritenuto fondato il motivo lamentato dai familiari della ragazza, proponendo il principio della obbligatorietà della personalizzazione del danno non patrimoniale.

Il principio consolidato seguito dalla giurisprudenza di legittimità dalle sentenze delle Sezioni Unite ad oggi, si legge in sentenza, è quello secondo il quale il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. preclude la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (tra cui, il danno esistenziale), che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie.

Resta tuttavia fermo l’obbligo del giudice di “tenere conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l’incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione.

Ciò che rileva, conclude la Cassazione, è l’accertamento del se la sentenza impugnata abbia o meno proceduto alla personalizzazione, nel ristoro del danno, delle diverse componenti non patrimoniali, delle quali pur deve tenersi conto a tal fine: personalizzazione non eseguita, nella fattispecie, quanto meno sotto tutti i profili del danno non patrimoniale.

Sempre più chiare e definite, in conclusione, sembrano le linee per una corretta e precisa liquidazione integrale del danno non patrimoniale alla persona: per evitare il rischio di duplicazioni delle poste risarcibili, ma soprattutto per scongiurare, all’opposto, il rischio drammatico di un vero e proprio “vuoto risarcitorio”.

Esito del ricorso

Accoglimento della domanda

Precedenti giurisprudenziali

Cassazione Civile, sentenze nn. 26972-26975 del 2008

Cassazione Civile, sentenza n. 9320 del 2015

Cassazione Civile, sentenza n. 12514 del 2015

Riferimenti normativi

Costituzione, att. 3, 32

Codice civile, artt. 1223, 2054, 2059.

(Nota di Paolo Russo tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer)

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Sentenza 27 aprile - 22 settembre 2015, n. 18611

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria - Presidente -

Dott. PETTI Giovanni B. - rel. Consigliere -

Dott. VIVALDI Roberta - Consigliere -

Dott. AMBROSIO Annamaria - Consigliere -

Dott. RUBINO Lina - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13498-2012 proposto da:

P.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIA 1280, presso lo studio dell'avvocato PERILLO ANDREA, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale notarile del Dott. Notaio ANTONIO GALDIERO in CAGLIARI del 9/04/2015 rep. n. 45296;

- ricorrente -

contro

LE ASSICURAZIONI GENERALI SPA, in persona dei legali rappresentanti in carica pro tempore H.R.M. e C.F., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell'avvocato GIUSSANI ALESSANDRO, rappresentata e difesa dall'avvocato PASTORI GUIDO giusta procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

e contro

FALLIMENTO SIR SRL;

- intimata -

avverso la sentenza n. 222/2011 della CORTE D'APPELLO di TRIESTE, depositata il 28/04/2011 R.G.N. 511/09;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/04/2015 dal Consigliere Dott. GIOVANNI BATTISTA PETTI;

udito l'Avvocato ANDREA PERILLO;

udito l'Avvocato ALESSANDRO GIUSSANI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1.Con citazione del 6 novembre 2008 P.S. convenne dinanzi al TRIBUNALE di Trieste la società SIR, in persona del curatore fallimentare, e le ASSICURAZIONI GENERALI con sede in Trieste e ne chiese la condanna in solido al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, oltre rivalutazione ed interessi, conseguenti ad un incidente da circolazione avvenuto il (OMISSIS) all'interno della FIERA campionaria, quando il veicolo industriale di cui la SIR era proprietaria, assicurato dalla compagnia triestina, con una imprudente manovra aveva travolto e schiacciato il pedone P., trentatreenne, procurandogli lesioni gravissime con invalidità permanente e perdita della capacità lavorativa. I danni erano indicati in oltre 15 milioni di Euro. La compagnia assicuratrice tra il 1993 ed il 1998 aveva versato acconti ricevuti in attesa del saldo del dovuto. Si costituiva l'assicurazione e deduceva il concorso di colpa del pedone deducendo la congruità delle somme corrisposte. NESSUNO si costituiva per la SIR e per gli eredi del conducente.

IL G.i., con ordinanza del 7 dicembre 2008 disponeva la comparizione personale delle parti per un tentativo di conciliazione. Nella udienza del 6 febbraio 2008 il P. di non essere più disponibile ad accettare la transazione proposta per 380 milioni di lire.

2. Con sentenza del 3 giugno 2009 il TRIBUNALE DI TRIESTE dichiarava cessata la materia del contendere e condannava la COMPAGNIA a pagare le spese di lite e di CTU. Il TRIBUNALE riteneva accettata la transazione ed irrilevante la resipiscenza del P..

3.Contro la decisione proponeva appello il P., chiedendone la riforma non avendo accettato la proposta transattiva ed avendo diritto al risarcimento integrale dei danni specificatamente richiesti, in via istruttoria chiedeva ammettersi nuova consulenza tecnica per la migliore determinazione dei danni, deducendo un successivo aggravamento delle condizioni di salute. Chiedeva inoltre la ammissione di prova per testi, già proposta circostanziatamente, per dimostrare le attività del P. al tempo dello incidente, quale istruttore di volo libero, in procinto di aprire una scuola di volo con la vendita delle relative attrezzature. Resisteva l'assicuratore opponendosi alle richieste istruttorie ed insisteva per il rigetto del gravame, ma in via gradata deduceva di aver versato somme satisfattive del risarcimento, per un importo superiore a 506 mila Euro. NESSUNO si costituiva per il fallimento.

4.La CORTE di appello di Trieste, con sentenza del 28 aprile 2011, in accoglimento dello appello del P. -PER QUANTO DI RAGIONE:

A. accertava che la responsabilità esclusiva dello incidente da circolazione era riferibile al conducente del veicolo industriale di cui la SIR era la proprietaria;

e che era valida la copertura assicurativa da parte della COMPAGNIA ASSICURAZIONI GENERALI. B. Dichiarava improcedibile la domanda proposta dal P. nei confronti della curatela del fallimento.

C. liquidava i danni alla data del 16 aprile 2010 -data dell'ultima offerta- in Euro 791.701,00, ed accertava che il credito residuo, rivalutato dal 1993 al 1020 era superiore a quanto preteso dal danneggiato, così ritenendosi congrue le somme pagate, e provvedeva al nuovo regolamento delle spese di lite come in dispositivo.

5.CONTRO la decisione ricorre il P. proponendo il motivi di ricorso, resiste l'assicuratore chiedendone il rigetto.

Con atto del 23 aprile 2015 il ricorrente ha revocato il mandato all'avv. NESTA nominando nuovo difensore l'avv.to ANDREA PERRILLO per la discussione orale.

Motivi della decisione

6. Il ricorso, notificato il 10 luglio 2012, merita accoglimento per quanto di ragione, la cassazione è con rinvio alla CORTE DI APPELLO DI Milano che si atterrà ai principi di diritto enunciati in ordine ai motivi di diritto accolti e provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

Per chiarezza espositiva si offre una sintesi dei motivi ed a seguire la esposizione delle ragioni dello accoglimento.

6-1 SINTESI DEI MOTIVI DEL RICORSO P..

Nel PRIMO motivo del ricorso si deduce cumulativamente errores in iudicando anche con riferimento a fonti costituzionali - v.

intitolazione a ff 6 e ss - e vizio della motivazione su punto decisivo individuato nella parte della motivazione del giudice di appello che nega il risarcimento del danno subito dal P., per lucro cessante, sul rilievo che lo stesso era disoccupato, pur avendo avviato un progetto per la attività imprenditoriale diretta a creare una scuola di volo con fornitura di materiale e di personale tecnicamente qualificato.

Nel SECONDO MOTIVO -ai ff 10 e ss.si deduce ancora error in iudicando, per la violazione degli artt. 1223,1226,2042, 2054,2056 c.c. ed il vizio della motivazione su punto decisivo, in relazione alla adozione di criteri di calcolo riduttivi, per lo scomputo degli acconti liquidati al P.. Si dimostra con calcoli matematici che il criterio della CORTE triestina produce un abbattimento sfavorevole al danneggiato per oltre 180.000 Euro, come indicato nella sintesi a ff.31.

Nel TERZO MOTIVO -a ff 31 e ss- si deduce error in iudicando con la sequela delle norme costituzionali e sostanziali violate ed il vizio della motivazione su punto decisivo individuato nella parte della motivazione che esclude la valutazione autonoma del danno esistenziale, applicando erroneamente le puntualizzazioni date nelle sentenze gemelle delle SEZIONI UNITE CIVILI del 2008 ed in particolare della sentenza n.2697 del 2008.

Nel QUARTO MOTIVO -ai ff 57 e ss.- si deduce ancora error in iudicando e vizio della motivazione, sulla base delle norme costituzionali e del codice civile in tema di illecito, in relazione al c.d. DANNO ESTETICO, costituito dalle cicatrici deturpanti dislocate in varie parti, anche intime, del corpo, ed ampiamente descritte nella CTU MEDICO LEGALE, e non considerate ai fini della PERSONALIZZAZIONE DEL DANNO. Nel QUINTO MOTIVO, ai ff 64 e ss. si deduce error in iudicando e vizio della motivazione nel punto in cui la CORTE DI APPELLO ha respinto la richiesta di sostituzione del consulente tecnico di ufficio e la richiesta di un suo esame a chiarimenti essendo sopravvenuto un PEGGIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DI SALUTE. Nel SESTO MOTIVO ai ff 74 e ss. si deduce error in iudicando e vizio della motivazione nel punto in cui la CORTE aderisce "acriticamente alle conclusioni del perito di ufficio sul quesito n.3 e relativi chiarimenti, evitando così di rispondere alle considerazioni critiche del consulente di parte e del difensore, riprodotte in esteso ai ff sino alla pag 107.

Nel SETTIMO MOTIVO, ai ff 107 e ss- si deduce ancora error in iudicando e vizio della motivazione nel punto in cui la CORTE DI APPELLO considera lo aggravamento del danno biologico permanente come se fosse un elemento di personalizzazione definito con la liquidazione del danno morale.

Nell'OTTAVO MOTIVO ai ff 114 e ss- si deduce error in iudicando e vizio della motivazione nel punto il cui la CORTE DI APPELLO riconosce per il danno morale un appesantimento del punto standard tabellare, pari al 25% considerando in particolare il c.d. DANNO SESSUALE per la perdita dei rapporti sessuali, sottovalutando i quattordici ricoveri nel reparto di chirurgia di urgenza, per migliorare le condizioni del menomato. In particolare a ff 122 si deduce che il catetere, applicato in forma permanente, sia stato considerato alla stregua di un danno morale, mentre assume rilievo per la autonomia fisica e per la sessualità.

Nel NONO motivo si deduce ancora error in iudicando e vizio della motivazione nel punto in cui la CORTE DI APPELLO nega il riconoscimento della INABILITA' TEMPORANEA FUTURA in relazione ad una serie di interventi chirurgo plastici e per la protesi dell'anca, peraltro ritenuti necessari dal medico legale.

Nel DECIMO MOTIVO si deduce error in iudicando e vizio della motivazione nel punto in cui la CORTE DI APPELLO disapplica la regola posta dallo art. 1194 secondo cui il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi, senza il consenso del debitore.

Nell'UNDICESIMO MOTIVO si deduce infine error in iudicando e vizio della motivazione nel punto in cui la CORTE DI APPELLO ha compensato tra le parti le spese di lite, sostenendosi che il P. è parte comunque vittoriosa ancorchè il ristoro del danno possa essere ridimensionato, malgrado la affermazione che si intende risarcirlo nella integrità delle sue componenti patrimoniali e non patrimoniali, in osservanza dei dieta delle sezioni unite civili e della successiva giurisprudenza.

7. RAGIONI DELLO ACCOGLIMENTO PARZIALE. 7.1.PREMESSA SISTEMATICA. Il 17 giugno 2015 le sezioni unite civili della Corte di CASSAZIONE, riunite in camera di consiglio, ebbero a rigettare un ricorso promosso avverso la sentenza n.423 del 2007 della CORTE di appello di TORINO, compensando tra le parti le spese dell'intero giudizio, poichè la decisione traeva origine da un contrasto insorto nella giurisprudenza della CORTE, e specificatamente tra la sentenza n.1361 del 2014 della terza sezione civile, e il precedente costante e risalente orientamento, in merito alla risarcibilità o meno iure hereditatis del danno per la perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni derivanti da un fatto illecito. La decisione era resa di pubblico dominio con la pubblicazione della sentenza n.15350 del 22 luglio 2015, e successivamente alla delibera di questa sezione, avvenuta nella camera di consiglio del 27 aprile 2015.

NON esiste pertanto un vincolo di conformazione ai dieta delle sezioni unite del luglio 2015, che risolvono il conflitto sul tema delimitato del danno per la perdita della vita derivante da fatto illecito, ed il tema di cui si occupa questa sezione semplice, che attiene invece alla lesione grave del bene della salute ed alla sue conseguenze delimitate ai danni patrimoniali e non patrimoniali direttamente subiti dal macroleso, ma esiste, sul piano sistematico e proporzionale della tutela della persona umana, lesa da un illecito, la opportunità di considerare i principi generali del neminem laedere e del danno ingiusto, in una fattispecie dove la perdita della salute viene ad incidere non solo sulla invalidità e sulla inabilità della persona, ma anche sugli aspetti dinamico relazionali.

Le sezioni unite nel luglio del 2015, pur compiendo una scelta sistematica fondata sul concetto della capacità giuridica collegata alla esistenza fisica della persona umana, confermano i dieta delle sezioni unite civili del novembre 2008 ai nn 26972 e seguenti, in tema di valutazione e liquidazione unitaria del danno morale e del danno esistenziale, sia pure con riferimento alla perdita del rapporto parentale conseguente alla perdita della morte del congiunto, e tale problematica viene ora in esame, sia pure sotto il diverso profilo del danno diretto, subito iure proprio, del macroleso, e per gli aspetti non patrimoniali ed esistenziali. Dove il punto controverso della decisione attiene alla verifica della congruità ed integralità del risarcimento del danno ingiusto, evitando una duplicazione risarcitoria.

Deve pertanto procedersi all'esame della sentenza della CORTE DI APPELLO triestina, la quale, dopo aver reso un omaggio formale ai dieta delle sezioni unite del 2008, perviene ad una liquidazione incongrua e iniqua del danno non patrimoniale nelle sue componenti esistenziali rilevanti e morali di sofferenza e dolore, con una motivazione errata in punto di diritto e illogica in punto di coerenza motivazionale.

7.2. ESAME DEI MOTIVI DI RICORSO. Nel primo motivo di ricorso si deduce congiuntamente error in iudicando e vizio della motivazione sul rilievo che la CORTE DI APPELLO ai ff 29 e ss nega il risarcimento del danno patrimoniale futuro, determinato dalla perdita totale della capacità produttiva, come medicalmente accertata e non controversa, sul rilievo che il trentaduenne P., che era in procinto di ottenere il brevetto di istruttore di volo per avviare una scuola di volo ed attività commerciale accessoria, era in realtà un disoccupato, e che la sua distruzione fisica e della validità lavorativa non era produttiva di un danno futuro quantificabile.

Il motivo merita accoglimento. Poichè è stato dedotto e provato il pregiudizio al diritto al lavoro, costituzionalmente garantito, di soggetto che propone una attività imprenditoriale lecita che tuttavia esigeva la integrità psicofisica, mentre è irrilevante che l'impedimento provocato dal fatto lesivo, sia riferibile a quel primo progetto di attività lavorativa, se il fatto stesso nella sua entità impediva ora e per sempre qualsiasi possibile altra alternativa di lavoro. LA CORTE TRIESTINA nega il risarcimento del danno patrimoniale vuoi come danno emergente vuoi come lucro cessante, e non considera che il pregiudizio attiene alla capacità produttiva di un giovane integro e nel pieno delle sue forze fisiche e psichiche.

RISULTA pertanto violato il principio del risarcimento integrale del danno patrimoniale del macroleso. VEDI per utili riferimenti CASS Su 2009 n.1850, CASS.12 GIUGNO 2015 N.12211 E 1 FEBBRAIO 2012 B.1439.

Nel secondo motivo si deduce un error in iudicando e la illogica motivazione in ordine allo scomputo degli acconti corrisposti dallo assicuratore e riscossi in ragione del maggior danno da liquidare ai valori attuali.

Il motivo resta assorbito dallo accoglimento del primo, e per le ragioni che si diranno, anche di ulteriori motivi relativi alla valutazione del danno non patrimoniale.

Nel terzo motivo si pone sotto il profilo dell'error in iudicando la questione relativa al mancato riconoscimento del danno esistenziale, in relazione agli aspetti dinamici ed interrelazionali del danno biologico nelle sue dimensioni fisiche e psichiche, ed in relazione alla incongruità della valutazione tabellare, che appesantisce il punto di base ma non procede alla considerazione della perdita delle qualità della vita del macroleso, che vive solo attingendo alla solidarietà dei suoi cari, degli amici, dei volontari, ma che certamente possono dare un aiuto alla sopravvivenza, ma non già a rimuovere la perdita di quelle qualità personali e di partecipazione che sono chiaramente descritte nell'art. 3 Cost. repubblicana.

NON si tratta dunque di una duplicazione di voci di danno, ma della negazione del diritto del macroleso a ricevere un equo ristoro per il risarcimento della perdita della sua dignità di persona e di diritto alla vita attiva.

Nel quarto motivo si deduce che il grave danno estetico, costituito da cicatrici deturpanti anche in parti intime del corpo, doveva essere considerato come specifico elemento di personalizzazione. Il motivo resta assorbito nello accoglimento del terzo motivo, sul rilievo di una valutazione unitaria.

INAMMISSIBILI appaiono invece il quinto ed il sesto motivo, nel punto in cui contestano il mancato riconoscimento dello aggravamento delle condizioni di salute e la obiettività delle indicazioni date dal consulente di ufficio. LE CENSURE ATTENGONO ad un giudizio di merito, ed ad una valutazione sostanzialmente congrua.

FONDATE appaiono le censure espresse nel settimo e nell'ottavo motivo, per la mancata liquidazione del danno morale, sbrigativamente liquidato al ff.25 come sofferenza soggettiva da considerare congiuntamente al danno biologico.

Qui veramente i dieta delle SU del 2008 appaiono trascurati e negletti, in considerazione della circostanziata descrizione delle drammatiche condizioni di vita del grande invalido,che potrà avere un grande cuore ed un grande coraggio di sopravvivenza, ma che vive solo se costantemente assistito, curato, medicato, operato, e dunque tutte queste componenti fisiche, psichiche e spirituali del dolore umano, meritano una migliore attenzione rispetto al calcolo tabellare dove la personalizzazione è pro quota, mentre deve essere ad personam. FONDATO appare anche il nono motivo che deduce error in iudicando e vizio della motivazione nel punto in cui la corte di appello esclude il danno biologico per la inabilità temporanea futura in relazione ai vari interventi chirurgici, necessari nel tempo, per assicurare la efficienza fisica e le funzioni vitali. La CORTE di merito riconosce il danno patrimoniale come danno futuro emergente ma poi lo nega non avendo la sensibilità di pervenire ad una equa valutazione. RESTANO ASSORBITI il decimo e l'undicesimo motivo, atteso che gli acconti dovranno essere considerati in conto capitale e che la nuova regolamentazione delle spese di lite dovrà tener conto della sostanziale revisione del danno da risarcire.

In conclusione meritano accoglimento il primo, il secondo, il terzo, il settimo, l'ottavo ed il nono motivo, inammissibili il quinto ed il sesto ed assorbiti gli altri. La CASSAZIONE è con rinvio anche per le spese del giudizio di cassazione,alla CORTE DI APPELLO DI MILANO che si atterrà ai principi di diritto come sopra enunciati.

p.q.m.

La Corte, accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla CORTE DI APPELLO DI MILANO

 

da Altalex

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2015.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2015 

Venerdì, 04 Dicembre 2015
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