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Motociclista assume droghe e investe pedone, ma per esserne certi bisogna provarlo

Ai fini del giudizio di responsabilità nel reato di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti, è necessario provare non solo la precedente assunzione di sostanze stupefacenti, ma anche che l’agente abbia guidato in stato di alterazione causato da tale assunzione. Lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza 16059/14.

 

Il caso

 

Un motociclista nell’impegnare un incrocio, urtava un pedone che stava attraversando la strada da destra verso sinistra, fuori le strisce pedonali: l’imputato stava superando sulla sinistra le macchine ferme in colonna, procedendo ad una velocità di 37 km/h, ritenuta non prudenziale in relazione alla manovra scorretta che stava compiendo. Alla luce di tale episodio, il gip, in esito a giudizio abbreviato, dichiarava il motociclista colpevole del reati di omicidio colposo commesso in violazione delle norme a tutela della circolazione stradale, e di guida in stato di alterazione da sostanze stupefacenti, condannandolo alla pena di un 1 anno, 4 mesi 20 gg di reclusione, pena sospesa, e applicando la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente, nonché la confisca del motociclo da lui guidato. Sia il Tribunale che la Corte d’appello ritenevano il guidatore colpevole, rilevando come non potesse dubitarsi che lo stato di intossicazione per assunzione di stupefacenti fosse attuale, e che la guida fosse stata imprudente.

 

Avverso tale sentenza ricorreva per cassazione il condannato, contestando che per quanto riguardava l’alterazione psicofisica, si trattava di una circostanza, che era stata accertata soltanto attraverso l’esame delle urine, esame però che, come la difesa aveva rappresentato già in sede d’appello, poteva dimostrare solo la pregressa assunzione di sostanze stupefacenti e non l’attualità del fatto che la persona, si trovasse, al momento dell’incidente, sotto l’influenza di cannabinoidi. Riguardo invece l’investimento del pedone, la difesa sosteneva che quest’ultimo era uscito all’improvviso dalla fila di auto incolonnate, con modalità tali da non essere visibile da parte del motociclista, di modo che non era possibile alcuna manovra atta ad evitare l’investimento. Per la S.C. il primo motivo di ricorso è fondato, in quanto ai fini dell’accertamento del reato è necessario sia un accertamento tecnico-biologico, sia che altre circostanze provino la situazione di alterazione psico-fisica al momento del fatto contestato.

 

Tale complessità probatoria s’impone perché le tracce degli stupefacenti permangono nel tempo, sicché l’esame tecnico potrebbe avere un esito positivo in relazione ad un soggetto che ha assunto la sostanza giorni addietro e che, pertanto, non si trova al momento del fatto in stato di alterazione. Pertanto su tale punto la sentenza, a parere della Corte, deve essere annullata con rinvio al giudice del merito che valuterà la sussistenza delle altre circostanze, riferite dagli agenti o comunque desumibili dal compimento dell’imputato, sulla cui base possa affermarsi che il medesimo fosse in stato di alterazione al momento dell’incidente. Quanto alla responsabilità per l’incidente il ricorso non merita accoglimento, in quanto il conducente di un veicolo ha in ogni caso il dovere di attenzione nei confronti dei pedoni in prossimità di un semaforo, essendo sempre possibile che si verifichi l’attraversamento fuori dal passaggio pedonale, comportamento che seppure imprudente, non è eccezionale o assolutamente imprevedibile.



Fonte: www.dirittoegiustizia.it

 

da lastampa.it

 

 

 

 

 

Martedì, 10 Giugno 2014
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