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Assoluzione nei reati di fuga dopo l’incidente, omissione di assistenza e guida in stato di ebbrezza

(Tribunale Rimini, sentenza 23.04.2013)

I reati relativi alla circolazione stradale suscitano da sempre un vivace dibattito a causa di continue modifiche normative, inasprimento di sanzioni, discrasie tra dottrina e giurisprudenza. Oggetto del presente articolo è un breve esame dei reati previsti dall’art. 189 c. 6, c.7, c.d.s. nonché dall’art. 186 c.d.s., che riguardano rispettivamente la fuga dopo l’incidente, l’omissione di assistenza a persone ferite e la guida in stato di ebbrezza.

L’indagine sulle citate fattispecie viene condotta alla luce di un’interessante pronuncia del Tribunale di Rimini in composizione monocratica che con sentenza depositata il 23 aprile 2013 ha deciso il caso di un’automobilista il quale era imputato della violazione di cui all’art. 186 comma 2, lett. c), c.d.s. per aver guidato con tasso alcolico “accertato tramite apposito strumento risultato alla prima prova 2,84 g/l e alla seconda prova 2,98 g/l”. Egli era altresì accusato del reato p. e p. dall’art. 189, comma 6, c.d.s. perché “nell’incidente stradale comunque ricollegabile al suo comportamento che coinvolgeva le persone a bordo dell’autovettura” che aveva urtato e nella quale vi erano persone che avevano riportato lesioni, non ottemperava all’obbligo di fermarsi. Infine, l’imputato era ritenuto responsabile del reato p. e p. dall’art. 189 comma 7, c.d.s. perché “non ottemperava all’obbligo di prestagli assistenza”.

Sui reati di cui all’art. 189 commi 6, 7 c.d.s. - L’art. 189, comma 6, c.d.s. prevede che: “Chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, è punito ….”.

Il comma 1 stabilisce che: “L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona”.

La Corte di Cassazione, sez. IV con sentenza n. 15867 del 17 dicembre 2008 ha affermato: “Il reato di fuga di cui all’art. 189, commi sesto e settimo, cod. strada è punibile esclusivamente a titolo di dolo, nel cui oggetto deve rientrare dunque anche il danno alle persone conseguito all’incidente stradale e la cui sussistenza va accertata in riferimento alle circostanze concretamente rappresentate e percepite dall’agente al momento della consumazione della condotta”.

Và osservato che la Corte di Cassazione, sez. IV, con sentenza n. 34335 del 3 giugno 2009 ha assunto un orientamento maggiormente repressivo: “Il reato di fuga previsto dall’art. 189, comma sesto, del nuovo codice della strada, è un reato omissivo di pericolo, per la cui configurabilità è richiesto il dolo, che deve investire essenzialmente l’inosservanza dell’obbligo di fermarsi in relazione all’evento dell’incidente concretamente idoneo a produrre eventi lesivi alle persone, e non anche l’esistenza di un effettivo danno per le stesse”.

Da ultimo, la Corte di Cassazione sez. IV, sentenza 9 maggio 2012, n. 17220 ha chiarito in senso ulteriormente sfavorevole al conducente, che nel reato di "fuga" previsto dall'art. 189 cod. strad., l'elemento soggettivo può essere integrato anche dal dolo eventuale, ossia dalla consapevolezza del verificarsi di un incidente riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, senza che debba riscontrarsi l'esistenza di un effettivo danno alle persone.

Il Giudice riminese nella sentenza in commento pone l’accento sulle condotte punite dall’art. 189 comma 6 e 7 del c.d.s. rilevando che esse: “hanno carattere doloso ed occorre che l’imputato sia consapevole -“in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento” (questa l’espressione piuttosto infelice del comma 1 dell’art. 189) - di non aver ottemperato all’obbligo di fermarsi in presenza di un danno alle persone e di non aver ottemperato “all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite”.

Nel caso di specie, le fotografie prodotte dalla difesa non rivelavano un urto particolarmente violento; al contrario, era evidente che l’urto era avvenuto con l’auto dell’imputato scorsa lateralmente rispetto a quella degli occupanti dell’altra automobile.

L’imputato non aveva riportato alcun pregiudizio all’integrità fisica e l’altra autovettura era stata condotta altrove senza utilizzo del carroattrezzi.

Agli occupanti dell’altra autovettura era stato consigliato di andare in ospedale per effettuare controlli e i referti non evidenziavano segni esteriori di lesioni e le stesse prognosi di guarigione risultavano molto contenute.

L’istruttoria dibattimentale aveva pertanto chiarito che l’incidente riconducibile alla condotta di guida dell’imputato non avesse provocato il ferimento di persone che avessero bisogno di assistenza.

Gli elementi succintamente descritti in questa sede inducevano a ritenere che l’imputato avesse potuto verosimilmente e in buona fede credere che dall’incidente stradale, da lui provocato, non fossero scaturite conseguenze lesive per gli occupanti dell’altra automobile.

Và osservato che - pur non essendo stato esplicitamente indicato nelle motivazioni della sentenza- il giudicante ha ritenuto, in modo condivisibile, di aderire all’orientamento della Corte di Cassazione che con la sopraccitata sentenza n. 34335 del 3 giugno 2009 aveva peraltro affermato: “l’accertamento dell’elemento psicologico del reato va compiuto al momento in cui l’azione viene posta in essere, e quindi alle circostanze concretamente rappresentate a quel momento”.

Non essendo emersi elementi di prova che avessero confermato l’ipotesi accusatoria al di là di ogni ragionevole dubbio, ovvero che l’imputato si fosse rappresentato di esser stato coinvolto in un incidente concretamente idoneo a produrre effetti lesivi, il giudice ha pronunciato sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530 comma 2 c.p.p., perché il fatto non costituisce reato.

Vale la pena osservare che si prescindesse dall’accertamento della prova del dolo circa l’inosservanza dell’obbligo di fermarsi a seguito di incidente con danno alle persone si finirebbe per porre l’evento danno alle persone a carico dell’autore in base al solo rapporto di causalità materiale e si consentirebbe l’ingresso ad un’inammissibile ipotesi di responsabilità oggettiva.

Ad avviso di chi scrive, consentire l’ingresso al dolo eventuale nella fattispecie in questione come indicato nella sentenza della Suprema Corte da ultimo citata suscita perplessità ed appare estremamente rischioso stante la problematicità di questa figura di dolo.

La sentenza del Giudice riminese si caratterizza per un’ attenta e serena osservazione delle concrete modalità del fatto finalizzata ad un rigoroso accertamento dell’elemento soggettivo del reato, consistente nel dolo e, dunque, per il mancato ricorso a facili presunzioni e semplificazioni probatorie.

Sul reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. c), c.d.s. – Lo stato di ebbrezza dell’imputato era stato rilevato dalla Polizia Municipale presso la sua abitazione a distanza di circa un’ora o più dall’incidente.

Dalle considerazioni svolte dal consulente della difesa era emerso che l’assunzione di sostanza alcolica da parte dell’imputato era avvenuta verosimilmente successivamente all’incidente. A conferma di tale circostanza il fatto che i due test alcolemici presentavano valori crescenti (e non decrescenti) e l’assorbimento dell’alcol nel sangue, ha riferito il medico, avviene entro un’ora dall’assunzione.

La difesa dell’imputato sosteneva che egli fosse in stato confusionale per effetto della sua condizione ansioso-depressiva (ampiamente documentata) e che poi avesse assunto alcol in casa per vincere l’attacco di panico dal quale era stato assalito, dopo l’incidente.

Sul punto il Tribunale di Brescia, Sezione distaccata di Salò, sentenza 10 dicembre 2010, n. 173 ha confermato che ove l’accertamento del tasso alcolemico sia effettuato a distanza dal momento del fermo, non si è in grado di comprendere se al momento del controllo l’organismo si trovasse nella fase ascendente della curva alcolemica, ovvero in quella discendente, con conseguente incertezza della prova dell’entità concreta al momento della conduzione del mezzo.

In un caso analogo di accertamento presso l’abitazione: “…Nella specie, v’era stata l’assoluzione del contravventore denunciato per guida in stato di ebbrezza in virtù di un accertamento avvenuto solo in un secondo momento presso la propria abitazione e non mentre era alla guida dell’automobile, circostanza fedelmente riportata sul verbale” (Corte d’Appello Genova, sez. I, 12 agosto 2006).

Posto che l’accertamento etilometrico veniva effettuato presso l’abitazione dell’imputato a distanza di tempo dall’incidente nonché il tasso rilevato era in crescendo non poteva considerarsi raggiunta la prova circa la sussistenza del reato di guida in stato di ebbrezza.

(Nota di Paolo Ghiselli)

 

 

Tribunale di Rimini

Sentenza 28 maggio 2012 - 23 aprile 2013


N. 1273/2012 Sent.
N. 2980/2010 R.G.
N. 3139/2009 N.R.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Rimini

in composizione monocratica

in persona di:

Dottor Andrea Piersantelli

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel processo penale

 

contro

 

S. L., nato il ***** a Milano, residente a Rimini, via ******, elett. domic. c/o lo studio del difensore di fiducia Avv. Paolo Ghiselli del Foro di Rimini.

Libero – presente

 

IMPUTATO

 

a) contravvenzione p. e p. dall’art. 186 comma secondo lett. c) D.L. vo 30.4.1992 n.285 (Nuovo Codice della Strada) per avere condotto il veicolo targato ******* - già sottoposto a sequestro preventivo - in stato di ebbrezza, in conseguenza dell’uso di sostanze alcoliche, ed in particolare con tasso alcolico accertato tramite apposito strumento risultato alla prima prova 2,84 gl e alla seconda prova 2,984 g/l.

In Rimini il 24 aprile 2009

b) del reato p. e p. dall’art. 189 comma sesto D. L.vo 30.4.1992 n.285 (Nuovo Codice della Strada) perché nell’incidente stradale comunque ricollegabile al suo comportamento - che coinvolgeva le persone, a bordo dell’autovettura targata *******, U. M. quale conducente, A. C. I. e U. D. quali passeggeri, riportavano lesioni personali giudicate guaribili rispettivamente per i primi due in 10 gg. e per il terzo in 5 gg, non ottemperava all’obbligo di fermarsi.

In Rimini il 24 aprile 2009.

c) del reato p. e p. dall’art. 189 comma settimo D.L. vo 30.4.1992 n.285 (Nuovo Codice della Strada) perché nell’incidente stradale comunque ricollegabile al suo comportamento – che coinvolgeva la persona di cui al capo a) non ottemperava all’obbligo di prestargli assistenza.

In Rimini il 24 aprile 2009.

***

Con l’intervento del Pubblico Ministero D.ssa Elisabetta Rovinelli e dell’Avv. Paolo Ghiselli del foro di Rimini.

Le parti hanno concluso come segue:

Il Pubblico Ministero: chiede, riconosciuta la continuazione e ritenuto più grave il reato di cui all’art. 189 Cds, la condanna alla pena di anni uno di reclusione e la sospensione della patente di guida per anni due.

Il difensore dell’imputato: chiede per il capo a), l’assoluzione perché il fatto non sussiste, per gli altri reati l’assoluzione con la formula che si riterrà di giustizia, in subordine il minimo della pena.

 

MOTIVAZIONE


L. S. era citato a giudizio per rispondere dei reati di cui all’art. 189 commi 6 e 7 del codice della strada e del reato di cui all’art. 186 comma 2 lett. c) dello stesso testo normativo, commessi in Rimini il 24.4.2009, con decreto in data 4.6.2010.

All’udienza del 24.11.2010 era dichiarata la contumacia dell’imputato ed erano ammessi i mezzi di prova; il successivo 21.9.2011 erano esaminati i testi U. M. e G. G., sull’accordo delle parti erano acquisite le sommarie informazioni testimoniali rese da C. S. e S. G.. All’udienza del 18.4.2012 era revocata la dichiarazione di contumacia dell’imputato e si procedeva all’esame del teste C. e all’esame dello stesso S., quindi erano acquisite la relazione dello stesso dott. C. e alcune fotografie prodotte dalla difesa, quindi le parti discutevano il processo (la difesa produceva memoria difensiva) e formulavano le rispettive conclusioni e il giudice, in assenza di repliche e all’esito della camera di consiglio, in data 28.5.2012 pronunciava il dispositivo della presente sentenza.

Il teste U. ha riferito la dinamica del sinistro accaduto il 24.4.2009 nei pressi di una rotatoria a Rivabella di Rimini: egli si trovava a bordo della sua automobile in fila per accedere alla rotatoria quando era giunta dalla sua sinistra una Toyota Yaris (di colore grigio chiaro, come si vede nella foto prodotta dal difensore dell’imputato) che era già entrata nella rotatoria, ma il cui conducente aveva perso il controllo del mezzo: quest’ultima autovettura, pertanto, urtava quella di U. sul lato guida e il suo conducente non arrestava il veicolo, ma proseguiva, allontanandosi.

La dinamica del sinistro è stata confermata dallo stesso S. e anche da due persone che si trovavano con la loro auto dietro a quella di S., C. e S..

Questi ultimi hanno dichiarato anche che l’autovettura Toyota li precedeva già prima di entrare nella rotatoria e il conducente aveva tenuto un’andatura poco prudente, in quanto ora si avvicinava troppo alle auto che lo precedevano ora effettuava bruschi spostamenti laterali sulla corsia di marcia. Essi avevano visto che il conducente non si era fermato dopo l’urto con l’altra automobile e quindi lo avevano seguito: potevano così vedere che il conducente, uscito dalla rotatoria, aveva imboccato una strada laterale e si era fermato per constatare l’entità dei danni subiti dalla sua automobile.

A questo punto C. aveva affiancato con la sua auto quella del fuggitivo ed aveva rappresentato a questi che rischiava di essere incriminato per omissione di soccorso.

Il conducente della Yaris, poi identificato in S. L., aveva detto loro che sarebbe tornato indietro ed aveva quindi iniziato la manovra necessaria, ma poi successivamente aveva preso la direzione opposta a quella della rotatoria.

Nel frattempo C. e S. avevano preso il numero di targa dell’auto investitrice ed avevano dato il relativo appunto ad U., rimasto sul luogo dell’incidente.

Con il numero di targa gli agenti della Polizia Municipale, intervenuti intorno alle ore 17.50, riuscivano a risalire al proprietario dell’auto e quindi si recavano a casa di S. e qui lo sottoponevano al controllo con etilometro, in quanto riscontravano elementi sintomatici della assunzione da parte sua di sostanze alcoliche: la prima prova era eseguita alle ore 18.32 e dava il risultato di un tasso alcolico di gr/l 2,84 e la seconda prova era eseguita alle ore 18.43 e dava come risultato un tasso alcolico di gr/l 2,98 (cfr. documenti in atti).

Nel corso del suo esame S. ha riferito che effettivamente egli era alla guida dell’autovettura che si era scontrata con quella di U.: l’imputato ha dichiarato che non si sentiva bene durante la guida e che per questa ragione aveva avuto l’incidente; ha anche detto di aver deciso in un secondo momento di non ritornare sul luogo del sinistro, preso da un attacco di panico, in quanto l’automobilista che lo aveva seguito lo aveva accusato di stare scappando.

Inoltre S. ha ammesso di aver assunto sostanze alcoliche una volta ritornato in casa e di aver dichiarato agli agenti della Polizia Municipale, che erano a casa sua, di aver commesso una stupidaggine, per aver bevuto.

Lo stesso agente G., nel riferire quanto dichiarato dall’imputato in casa, ha detto che S. non aveva detto specificamente se avesse bevuto sostanze alcoliche prima dell’incidente o dopo di esso, in casa sua.

Così brevemente riassunto il fatto, ritiene il giudicante che non sia stata raggiunta la prova circa la sussistenza del reato di cui al capo a), vale a dire di guida in stato di ebbrezza.

Il test con l’etilometro, infatti, è avvenuto a distanza di un’ora o più dall’incidente ed è stato eseguito presso l’abitazione di S., nella quale gli agenti della Polizia Municipale sono giunti pochi minuti prima di sottoporre l’uomo all’alcoltest (il teste G. ha detto di essere giunto in Via Giovenale intorno alle ore 18.20).

Dalle considerazioni svolte dal consulente dott. C. è emerso – e l’affermazione è condivisibile - che l’assunzione di sostanza alcolica da parte di S. era avvenuta verosimilmente non prima dell’incidente: ciò si desume dal fatto che i due test alcolemici presentano valori crescenti e non decrescenti e l’assorbimento dell’alcol nel sangue, ha riferito il medico, avviene entro un’ora dall’assunzione.

I riscontri temporali, pertanto, non consentono di escludere che al momento della guida S. non fosse in stato di ebbrezza.

Del resto la versione dell’imputato a proposito del suo stato di depressione è confortata dalla documentazione sanitaria prodotta dalla difesa: ciò lascia intendere che non può essere considerata esclusivamente di comodo la tesi dell’imputato e cioè che egli fosse in stato confusionale per effetto della sua condizione ansioso-depressiva e che poi abbia assunto alcol in casa per vincere l’attacco di panico dal quale era stato assalito, dopo l’incidente.

Quanto ai reati di cui ai capi b) e c), i dati relativi all’incidente sono tali per cui non può dirsi raggiunta con certezza la prova della consapevolezza in capo a S. delle due condotte di reato ascrittegli.

Le due condotte punite dall’art. 189 comma 6 e comma 7 del Codice della strada, infatti, hanno carattere doloso ed occorre che l’imputato sia consapevole - “in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento” (questa l’espressione piuttosto infelice del comma 1 dell’art. 189) - di non aver ottemperato all’obbligo di fermarsi in presenza di un danno alle persone e di non aver ottemperato “all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite”.

Nel caso di specie, le fotografie prodotte dalla difesa rivelano che l’automobile di U. è stata sì danneggiata nell’urto cagionato da S., ma le ammaccature della carrozzeria non sono rivelatrici di un urto particolarmente violento; al contrario, è piuttosto evidente che l’urto è avvenuto con l’auto di S. che è scorsa di fianco rispetto a quella di U..

S. non ha riportato alcun pregiudizio alla sua integrità fisica e l’autovettura di U. è stata condotta, anche se lentamente per quanto riferito dallo stesso testimone, in carrozzeria, senza bisogno del carroattrezzi.

U., poi, ha detto di essere sceso immediatamente dalla sua autovettura e che a lui e sua moglie era stato “consigliato” di andare in ospedale per effettuare controlli.

I referti del pronto soccorso, del resto, prodotti il 24.11.2010, non evidenziano segni esteriori di lesioni e le stesse prognosi di guarigione sono molto contenute (rispettivamente 10 giorni e 5 giorni); inoltre, nel referto l’esame obiettivo dei pazienti A. C. e U. D. non evidenzia in capo ad entrambi alcuna contusione: la contusione attribuita alla A. C., infatti, è riportata solo come notizia anamnestica, ma non è confermata nell’esame obiettivo di questa paziente.

E’ quindi da escludere che nel caso di specie l’incidente riconducibile alla condotta di guida di S. abbia provocato il ferimento di persone, che avessero bisogno di assistenza.

Anche che vi siano stati danni alle persone è emerso in seguito all’accesso al pronto soccorso, nel quale, circostanza non trascurabile, i tre occupanti dell’automobile investita sono andati a qualche ora di distanza dal fatto e con mezzi privati (non condottivi da mezzi di soccorso, non intervenuti neppure sul posto del sinistro).

Gli elementi descritti inducono pertanto a ritenere che l’imputato abbia potuto verosimilmente e in buona fede credere che dall’incidente stradale, che aveva provocato, non fossero scaturite conseguenze lesive per gli occupanti dell’altra automobile e che quindi egli non sia tornato sul luogo del sinistro, dopo essersi fermato poche centinaia di metri oltre, preso da attacco di panico, come da lui stesso riferito, per il fatto che gli veniva attribuita una condotta fortemente negativa, quella di essere scappato, che, viceversa, egli reputava di non aver tenuto, proprio per la modestia dell’incidente causato.

Per i capi b) e c) deve, conseguentemente, essere pronunciata sentenza di assoluzione, ai sensi dell’art. 530 comma 2 cpp, perché il fatto non costituisce reato.

Va conseguentemente disposta la restituzione di quanto in sequestro all’imputato.

Giorni novanta ex art. 544 comma 3 cpp per il deposito della motivazione.

 

P.Q.M.

 

Visto l’art. 530 comma 2 c.p.p.,

assolve

S. L. dal reato ascrittogli al capo a), perché il fatto non sussiste e dai reati ascrittigli ai capi b) e c), perché il fatto non costituisce reato.

Dispone la restituzione di quanto in sequestro all’imputato.

Giorni novanta per il deposito della motivazione.


Rimini, 28 maggio 2012.

Il Giudice
Andrea Piersantelli

 

 

da Altalex

 

 

 


 

Lunedì, 20 Maggio 2013
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