ALLARME DALL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’:
AUMENTA IL CONSUMO DI ALCOLICI FRA LE TEEN AGERS ITALIANE
Mai abbassare la guardia e in tempi di crisi ed insieme di ristrettezze economiche che limitano talune strategie operative consolidate nel tempo, si vanno a scoprire fianchi che in tempi nemmeno tanto lunghi rischiano di creare vere e proprie tragedie sociali. Lo si apprenderà fra non molto, quando l’Istituto Superiore di Sanità pubblicherà i dati sull’alcolemia con particolare riguardo al consumo di alcolici fra i giovani.
Ne ha fatto un’anticipazione Giovanni Ciullo, giornalista di Repubblica, che attraverso un colloquio con Emanuele Scafato (presidente della Società italiana di alcologia) ha tracciato
lo spaccato di una realtà davvero sconfortante: sono 300 mila, secondo i dati dell’I.S.S. i giovani italiani (di minore età) esposti al rischio alcolemia, vale a dire il 7,3 % della popolazione italiana. Un dato, questo, destinato a diventare ancor più drammatico se si inseriscono gli under 18 che fanno lievitare la percentuale quasi del doppio.
Il fenomeno della precocità del consumo (ed abuso) di alcol diventa ancor più preoccupante se si considera che sempre secondo l’istituto sanitario il “primo” bicchiere (quasi sempre di vino) viene ingerito a 11 anni, mentre a 14 si è già consumato il primo drink o bicchierino di superalcolico. Quando poi apprenderemo che il 13% delle intossicazioni riguarda minori e che gli incidenti stradali cosiddetti alcol-correlati sono la prima causa di morte dei giovani, allora il futuro non potrà che prevedere tinte nere, anzi, nerissime. Ma c’è un dato, più di tutti, che rimane davvero devastante e che Ciullo ha messo ben in evidenza sul periodico “D” di Repubblica: la fascia di età che sta mostrando maggiore esposizione ai problemi alcol-correlati è quella che riguarda i minori al di sotto dei 14 anni di sesso…femminile!
Infatti, a fronte di una percentuale media del 6% che riguarda le donne nel pieno della maturità, le adolescenti italiane hanno fatto registrare un percentuale del 12% circa la maggiore esposizione ai comportamenti a rischio, tanto che il consumo non controllato di alcolici eleva di una buona percentuale la possibilità di contrarre il cancro alla mammella se il consumo medio di alcolici è superiore a 2 bicchieri da 12 grammi di alcol al giorno (corrispondenti a 2 birre medie); dal terzo bicchiere in poi, invece, il rischio cancro aumenta notevolmente fino al 25% rispetto ad un soggetto femminile non bevitore. Insomma, nessuno se lo aspettava, ma le ragazzine italiane sono molto “propense” al consumo di alcolici e la tendenza è al graduale ma sostanziale incremento.
Il problema maggiore, fanno notare all’Istituto Superiore di Sanità, è che spesso si fa prevenzione sul fenomeno dell’alcolismo, quando invece si dovrebbe fare riferimento innanzitutto all’alcol, individuandone l’origine ed i componenti. L’alcol non è un alimento, non contiene elementi nutrienti e il corpo umano non ne sente la necessità. Ecco perché si è pensato, dal settembre scorso, di elevare l’età minima di somministrazione e vendita di alcolici dai 16 ai 18 anni. E non è neppure un caso se l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha categoricamente dato il proprio diniego all’ingerimento di alcolici fino a 15 anni, quando il corpo e le sue funzioni sono ancora troppo deboli per subire attacchi così “violenti” dal punto di vista biologico.
A favorire la diffusione del fenomeno alcolismo anche la maggiore disponibilità economica fra i giovani, la capacità della pubblicità di “convincere” i giovani della bontà (e della moda) dei propri prodotti e la diffusione di talune consuetudini come i free-drink, gli happy hour e via dicendo. Per le giovanissime questo è anche un modo per far notare le eguali capacità rispetto ai maschi ed assaporare meglio gli effetti degli alcolici e così si mangia di meno e si beve di più, la cosiddetta “drunkoressia”.
Proprio il consumo lontano dai pasti è un’altra delle pessime abitudini dei giovani e la seppur timida “protezione” del cibo durante il consumo di alcolici viene totalmente meno nel cercare di limitare le conseguenze al corpo ed alla mente. Secondo i dati che saranno fra poco resi pubblici, si apprende che nella fascia compresa tra i 14 ed i 17 anni il consumo di alcolici avviene fuori pasto quasi nel 20% dei casi, mentre fra i 18/24enni la stessa percentuale scende al 15%.
Altro dato preoccupante è quello che riguarda la pubblicità: su 310 milioni di euro spesi in tale settore, sono ben 65 quelli “investiti” in banner e pop-up sui più noti network. Basti pensare che la Nazionale di rugby ha per sponsor un superalcolico (che peraltro fa male a chi pratica sport a livello agonistico), mentre nei bar degli ospedali si vende senza difficoltà whisky, grappa e cognac, per non parlare di talune sedi della Caritas italiana che a Natale regalano agli indigenti bottiglie di vino o mignon di superalcolici per riscaldare anima e corpo!
Il problema alcol, dunque, è ben più grave di quel che appare. Ciullo ricorda che nel 1913 Giolitti tentò una prima regolamentazione della materia, proibendo la consegna delle paghe agli operai all’interno delle bettole (dove provvedevano a consumarne subito una buona parte in bicchieri di vino) e la revoca del mandato parlamentare agli eletti sorpresi due volte in evidente stato di ubriachezza. A distanza di cent’anni, dunque, il problema è rimasto e nella sostanza nulla è cambiato. Si consuma ancora oggi, le bettole ora si chiamano win-bar ed i parlamentari… beh, magari su questo lasciamo perdere.
Nel nostro Paese manca probabilmente il coraggio di affermare, senza reticenza alcuna, che l’alcol fa male, è un danno per la salute, uccide, proprio come è palesemente scritto sulle sigarette. Perché non metterlo anche sulle etichette di alcolici, allora…?
Sono troppi gli interessi in gioco: la tradizione (il nostro è il primo Paese al mondo nella produzione di vini), il guadagno economico (gravita attorno al settore un fatturato che rappresenta una larga percentuale del Pil italiano) e forse anche di mentalità (come sconfiggere la credenza che un buon bicchiere di vino non fa male…?).
Infine, occorre considerare anche un altro aspetto, non meno importante, cosiddetto “droga ponte”. I casi cronici di alcolismo riguardano persone over 30 che hanno cominciato a bere in età adolescenziale e la cui percezione di ebbrezza si attenua nel tempo, a fronte di un maggiore consumo di alcolici, fino a tramutarsi in desiderio di emozioni nuove date dal consumo di cannabis, marijuana e fino alla cocaina. Il passaggio da una droga all’altra (cioè il ponte) diventa così un automatismo.
Ecco perché nel mondo sono nati veri e propri ”riti” alcol-correlati: nel Regno Unito il pub’s crawl (visita nella notte in tutti i pub della città); in Spagna il botellon (bevute collettive nelle piazze); l’eye balling (consumo dell’intera bottiglia mentre l’ultima goccia si versa sugli occhi per aumentare lo stato di “sballo”); il balconing (il cinematografico e spettacolare tuffo da un balcone nella piscina sottostante). Cambiano i Paesi, cambiano i nomi, nascono nuovi riti e mode, ma gli effetti rimangono gli stessi: l’alcol fa male, è un danno per la salute, uccide. E’ ora di dirlo chiaramente.
Roberto Rocchi