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Articoli 18/02/2013

Il poliziotto che sbrocca è un eroe
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Di Lorenzo Borselli
Il poliziotto che ha protestato al corteo - fotogramma tratto dal video de Il fatto quotidiano

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Un poliziotto che sbrocca, dopo essere rimasto lunghi minuti a fare da bersaglio a sputi, uova marce, ortaggi e bengala (in altre occasioni anche bombe carta o molotov), fa notizia. Perché il poliziotto che sbrocca, in genere quello che piace tanto agli amanti di Youtube o di Youreporter, afferra il manganello, lo rovescia e lo tira in testa a chi gli capita davanti. In questo modo i titoli dei giornali, i lunghi reportage d’approfondimento, gli opinionisti e quelli che in genere bersagliano le divise di sputi, uova marce, ortaggi e bengala (anche bombe carta o molotov), sono tutti contenti. E l’attenzione si sposta.
Un poliziotto che sbrocca a parole, che non si fa scudo di un sindacato, che è rimasto impassibile a prendersi tutto quell’odio virtuale e materiale insieme alla sua squadra di celerini da parte di un gruppo di studenti incazzati a prescindere contro tutti, è un poliziotto che si è evoluto, che ha maturato dentro la convinzione che quello che fa non interessa a nessuno.
Deve farlo, perché lo pagano (quattro soldi) per stare ore su un gippone malandato ad aspettare che qualcuno gli dica di scendere e di stare lì a fare da bersaglio.
A volte, dopo ore di quella tortura, qualcuno decide che è il momento di caricare e allora, se l’equilibrio gli si è rotto, qualcuno si fa male.
Stona, lo sappiamo bene, tirare in ballo Pasolini e quel suo scritto che aveva come titolo “Io sto coi poliziotti”.
Stona, perché a dire che Pasolini aveva ragione (su quella sua giornata a Valle Giulia) si passa per revisionisti, come quelli che negano la Shoà.
Invece noi, che stiamo coi poliziotti perché lo siamo, ripensiamo a quel suo scritto, lo rileggiamo più spesso di quanto crediate, ma troviamo sempre meno persone disposte a stare dalla nostra scomodissima parte.
Che è sempre quella sbagliata, a prescindere.
È legittimo il disagio di chi protesta e che sbrocca nel branco, per colpa di quelli che oggi ignorano il disagio del poliziotto. Insomma, un cortocircuito del sistema che passa sempre inosservato: a chi interessa parlare del poliziotto pieno di sputi e uova marce?
Lo sfogo del sovrintendente che sbrocca, con ogni probabilità, sarà considerato solo come lo sfogo di un povero cristo, destinato a un richiamo disciplinare che lo rispedirà nei ranghi, ma che per i “suoi ragazzi” avrà il valore di una medaglia.
Almeno per i giornalisti, però, avere avuto per qualche minuto un siparietto su cui scrivere dovrebbe condurre tutti a una profonda riflessione, anche semantica, del senso che la notizia di un poliziotto sbroccato dovrebbe avere: un uomo che parla, che si sfoga, che dimostra la maturità propria e della  sua squadra, è un’occasione che lo Stato non deve perdere. Non deve perderla la collettività, non devono perderla i benpensanti, gli opinionisti e chi decide le sorti di un popolo: si sappia che quando i celerini vengono investiti da getti di letame o da gavettoni di urina, quello che piove loro addosso si chiama in realtà “merda” e “piscio”.
Avete mai pensato a cosa significhi stare ore con quelle lordure addosso? Tornare a casa e mettere quella roba in lavatrice?
Avete mai pensato che ogni sputo è una stilla d’odio e di disprezzo che ti si cuce addosso come un tatuaggio?
Avete mai pensato alle pressioni di un essere umano in un lavoro come questo?
Dare la caccia a un latitante, in fondo, può anche ripagare. Ma farsi il turno in quinta di volante, con auto scassate, divise strappate, caserme fatiscenti e sporche, con bagni intasati per settimane, senza carta igienica o riscaldamento, è diventata una maledizione, altro che professionalità.
Si. Quel celerino è un eroe.

 

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Lunedì, 18 Febbraio 2013
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