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Articoli 31/07/2004

All’origine del contromano

Comportamenti aggressivi alla guida, imperizia e distrazione

All’origine del contromano

Comportamenti aggressivi alla guida, imperizia e distrazione

di Francesco Albanese *

 

La grossa auto nera sfreccia a velocità folle, attraverso le strade della città. Il traffico non è intenso, ma un furgone che sta percorrendo la stessa corsia rallenterebbe la sua corsa, così, con una manovra brusca, l’auto nera si butta nella corsia opposta con un gran stridere di pneumatici. Le altre auto che se la trovano di fronte la evitano, chi buttandosi sulla destra ed andando ad urtare altre auto in sosta o la vetrina di un negozio, chi sulla sinistra, finendo la loro marcia con uno spettacolare testacoda, mentre l’auto nera continua la sua corsa nella direzione sbagliata, in un concerto di clacson e di allarmi antifurto.

Questa è la tipica sequenza di molti film americani d’azione, dove generalmente una fantomatica auto è inseguita dalla polizia o da qualche altra auto. Chiaramente, il modello che viene proposto non è reale, né realistico, ma viene comunque interiorizzato da alcuni guidatori, perché funzionale. Qualsiasi mezzo di locomozione che permette di raggiungere una velocità superiore a quella raggiungibile dal corpo umano è in grado di ingenerare nel guidatore la percezione di un potenziamento delle proprie capacità, fino ad essere sentito da alcuni come una vera e propria estensione del proprio corpo.

Vi sono alcuni fattori, generali e interpersonali, che contribuiscono e che favoriscono la formazione di questo tipo di percezione. Innanzitutto vi sono differenze di genere. I giovani maschi tendono a descriversi come nettamente superiori nella guida rispetto alle coetanee di sesso femminile, considerando abilità di guida il riuscire a manovrare l’auto ad alte velocità ed il farsi strada attraverso il traffico. Il fatto poi che le donne riportino un numero nettamente inferiore di incidenti rispetto agli uomini sembra confermare questa idea (Redshaw, 2000). Questa differenza di genere è riconducibile principalmente a fattori biologici, per i quali l’elevata presenza di testosterone nell’uomo determina in questo una maggiore aggressività rispetto alle donne, ed a fattori culturali, per i quali nell’immaginario collettivo l’uomo è ritratto come determinato, forte, potente. I fattori interpersonali, infine, fanno la differenza. L’immagine che ciascuno di noi ha di se stesso dipende dalla propria personale storia di vita, dalle esperienze vissute con successo e dai fallimenti, dalle conferme e dalle disconferme ricevute sin dal primo giorno di vita. Qualcuno di noi trova nella guida una conferma alla propria immagine ed alle proprie capacità. Ma è chiaro che perché la conferma sia efficace, perché sia formante, è necessario che le pratiche di guida siano portate all’estremo, dove altri non hanno il coraggio di spingersi, dove sia possibile arrivare a poter dire “io sono più bravo, più coraggioso, di te, di lui, di tutti voi”. E così si sta attaccati al paraurti dell’auto che ci precede, quasi a volerla spingere, si impreca verso il conducente che con la sua “guida da pensionato” ci sta limitando, sta limitando le nostre capacità di guida che potrebbero esprimersi in tutto il loro splendore, fino ad azzardare un sorpasso in condizioni impossibili, per eliminarlo dalla nostra strada. E mentre il motore ruggisce, l’adrenalina esplode in tutto il corpo in un delirio di onnipotenza che la simbiosi con l’autovettura ci ha regalato.

Comportamenti aggressivi del genere sono stati oggetto di uno studio in Israele (Yagil, 2001), che si prefiggeva di individuare gli antecedenti personali delle reazioni di aggressività dei conducenti in condizioni frustranti. I risultati hanno evidenziato che la tendenza a reagire in maniera aggressiva ad una condizione di guida percepita come frustrante è legata alle emozioni esperite dal guidatore in quella condizione e che, al manifestarsi del comportamento aggressivo, sembrano contribuire il personale grado di irritabilità e di competitività del guidatore.

Ma l’aggressività non è l’unica causa di pratiche scorrette di guida, tra le quali il contromano risulta avere un importante peso nel bilancio degli incidenti stradali di ogni anno. Spesso, condotte di guida pericolose vengono poste in essere per imperizia o per disattenzione. Adesso, nonostante il termine imperizia possa facilmente richiamare l’immagine del neopatentato, riteniamo che questa condizione sia in realtà un deterrente per pratiche di guida pericolose, come la guida in contromano, che non siano poste in essere volontariamente. Difatti, nel neopatentato la sequenza di comportamenti da adottare per la materiale guida del veicolo (vale a dire ad esempio il coordinare la frizione con l’acceleratore ed il cambio, dosare la giusta forza nel manovrare il volante, ecc.) deve ancora divenire automatizzata, cosa che avviene con la continua pratica di guida, e l’apprendimento di questa sequenza, in un contesto percepito come pericoloso, porta generalmente il neopatentato a dirigere la propria attenzione alla strada e alla segnaletica, così da poter evitare eventuali incidenti. Più pericolosa appare a prima vista, invece, la condotta di guida di chi, in là con gli anni, ha in passato acquisito un’elevata sicurezza ed abilità nella guida, ma che col tempo ha esercitato sempre meno questa capacità. Con l’andare del tempo, infatti, un comportamento automatizzato, come quello del guidare, se non costantemente rinforzato, perde la propria efficacia, non tanto nella sequenza di comportamenti relativi alla materiale guida del veicolo, quanto nell’associato insieme di comportamenti che investono il controllo dell’ambiente circostante, quali ad esempio le automatiche “occhiate” agli specchietti o ai cartelli stradali. Inoltre, con gli anni, si assiste ad un fisiologico calo delle capacità, sia cognitive che fisiche, dei processi attentivi e dei riflessi. In poche parole, si crea un divario tra le effettive abilità di guida della persona e la percezione delle abilità che la stessa persona ha riguardo se stessa, percezione questa che va ad incidere sull’immagine di sé che ognuno di noi ha. L’accettare un declino delle proprie competenze comporta una ristrutturazione della rappresentazione che abbiamo di noi stessi, ristrutturazione questa che può risultare in alcuni casi molto dolorosa.

La pratica di guida è un elemento del tutto soggettivo che si esprime in relazione alla personalità del guidatore. Ciascuno di noi ha una propria individualità, ma talvolta questa non comprende la componente di coscienza civica indispensabile per una pratica come quella della guida che, esercitata in un contesto sociale, può divenire pratica dannosa se lo strumento autovettura è utilizzato come arma impropria o, come spesso accade, con troppa leggerezza.

 

Riferimenti bibliografici

Redshaw, S. (2000) Can speed be justified? Visionato su http://www.aggressive.drivers.com

Yagil, D. (2001). Interpersonal antecedents of drivers’ aggression. Transportation Research Part F, 4, 119-131.

 

*Psicologo, operatore di Polizia Stradale

 

 

 


di Francesco Albanese

Sabato, 31 Luglio 2004
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