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Articoli 30/07/2012

Casco per ciclisti, è polemica
#Salvaciclisti: "Non serve"
Quattroruote ha lanciato la proposta di renderlo obbligatorio per salvare la pelle a chi pedala. Durissima contestazione dell'associazione. E replica del Direttore del mensile dei motori. Ecco tutta la storia

di Vincenzo Borgomeo

Il titolo non lascia dubbi: "La lobby dell'auto attacca il rinascimento ciclistico". Così l'associazione #Salvaciclisti risponde a Quattroruote che fra le sue tante campagne legate alla sicurezza stradale si era dichiarata favorevole all'introduzione del casco per i ciclisti. Non vogliamo entrare nella polemica, per cui riportiamo qui sotto integralmente la posizione di #Salvaciclisti e quella del direttore Quattroruote, Carlo Cavicchi, che abbiamo interpellato sul tema.

Solo una cosa però: siamo stupiti dai toni dell'associazione di chi pedala. Una violenza inaudita e inaspettata da chi pratica la filosofia dolce della pedalata, del rispetto della natura e degli altri. Toni e temi - fra l'altro - identici a quelli della lobby delle moto e degli scooter che per anni ha contrastato l'introduzione del casco per i cinquantini. Toni e temi, per concludere, che non sembrano cercare una qualche forma di dialogo. Un dialogo necessario da tirar fuori quando in Italia muoiono sulle nostre strade ogni anno il doppio dei ciclisti che partecipano al giro d'Italia.

Ecco la presa di posizione di #Salvaciclisti

Conforta sapere che persino il mensile di riferimento dell'automobilismo italiano, "Quattroruote", si interessa al rinascimento ciclistico del nostro paese.

Una strana sensazione, vedere l'ampio articolo che la rivista dedica al ciclismo urbano: avremmo detto che, così come quotidianamente per strada, anche in edicola chi usa la macchina e persino ne scrive non si sarebbe mai accorto
di noi.
Certo, il mensile lo fa a modo suo. Dopo aver rilevato l'enorme crescita dello shift modale dalle 4 alle 2 ruote a pedali, sottolinea i troppi rischi a cui noi ciclisti quotidiani siamo esposti. E prospetta una soluzione per la sicurezza di chi usa la bici.
Indovinate quale?
Esatto. Quella.
Il casco obbligatorio.

Sfugge, alla pomposa testata, che la causa di morte in strada per i ciclisti sono gli impatti contro l'oggetto-feticcio di cui si occupa con dedizione degna di miglior causa, ovvero l'automobile condotta male come la si conduce male in Italia.
Sono tante le cose che sfuggono, chissà quanto per distrazione, a "Quattroruote". Proviamo a elencarle in ordine sparso.
Nei pochi luoghi del pianeta in cui il casco è obbligatorio (Australia, per esempio) la quota di ciclisti quotidiani si è dimezzata, e le morti non sono diminuite in percentuale: un ottimo incentivo all'abbandono della bici, e come conseguenza all'acquisto dell'automobile.

Su 1.000 utenti fragili della strada uccisi in Italia dalle automobili, 750 sono pedoni e 250 sono ciclisti: mettiamo il casco ai pedoni?.
Nei paesi ad alta densità ciclistica l'obbligo non è mai stato neanche contemplato, persino nei tempi pioneristici dell'Olanda anni '60. Come noto, in Danimarca e Olanda sono tutti morti a causa di questa colpevole svista legislativa.
A noi non sfugge invece che questa ovvia azione di pura lobby, decisamente immatura e cialtronesca, sia stata resa pubblica in piena estate, quando le anime sono vacanziere e l'attenzione cala.

Assicuriamo i lobbisti e chi li sostiene che qui, da #salvaiciclisti, l'attenzione non cala mai: è una nostra seconda natura, dovuta al fatto che se la nostra attenzione cala qualche macchina ci ammazza e non esiste armatura che tenga contro una tonnellata lanciata a 80 km/h sul tuo corpo. Quindi la nostra attenzione deve essere sempre ben alta e lubrificata, e perciò ci accorgiamo -come effetto secondario- anche di queste meschine manovre volte a disincentivare l'uso della bici attraverso argomenti solo apparentemente positivi e ragionevoli, mentre sono in realtà viscidi tentativi di soffocare sul nascere un vero cambiamento stradale e tentare di rivitalizzare un mercato ormai defunto e nocivo. E non contengono, sia ripetuto, un briciolo di rispondenza a realtàad impatti superiori a 23 km/h il caschetto è ininfluente per la sicurezza, e a volte provoca lesioni gravi a atlante ed epistrofeo, con conseguente lesione del midollo spinale e relativa paralisi motoria.

L'era dell'automobile è conclusa, ma continuerà a far danni ancora per un po' di tempo. Sta a noi tutti riportare questo paese fuori controllo entro termini di civiltà già altrove operanti ed efficaci.
Anche deridendo, e denunciando pubblicamente, manovre ridicole come quella di "Quattroruote".

Ed ecco la risposta di Carlo Cavicchi, direttore di Quattrotuote
Parlare di lobby degli automobilisti per attaccare un articolo il cui scopo era solo di proteggere la salute dei ciclisti è davvero una forzatura. Se si è convinti che il casco non serva a nulla bastava obiettare questo: peraltro lo avevano fatto a lungo anche i motociclisti salvo poi convenire che il casco ha salvato tante vite e ridotto tante lesioni tanto è vero che adesso nessuno lo mette più in discussione.

Quattroruote ha pubblicato dei numeri che si possono contestare, spiegare, confutare ma non cancellare. Chiedere che i ciclisti siano più protetti non è volere loro male, semmai è proprio il contrario; e augurarsi che il costo sociale che deriva dalle conseguenze dei loro incidenti si riduca è nell'interesse di tutti. In quanto al florilegio d'insulti, molti dei quali davvero scomposti, che ci sono stati rovesciati addosso vorrei pensare ad un infortunio di chi ha poca pratica con lo scrivere. O anche solo col leggere: perché se avesse letto con più attenzione quanto scritto da Quattroruote sarebbe stato più prudente nelle reazioni; semmai ci avrebbe dovuto dare la tessera onoraria di #Salvaciclisti.

 

da repubblica.it/motori

Lunedì, 30 Luglio 2012
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