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Corte di Cassazione 20/07/2012

Reato di fuga - sinistro stradale - sosta momentanea - senza consentire l'identificazione

(Cass. Pen., sez.IV, 10 luglio 2012, n. 27055)

(Omissis)

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza del tribunale di Catania, sezione distaccata di Belpasso, con la quale P.A. , in esito a rito abbreviato, è stato ritenuto colpevole del reato di cui all'articolo 189, commi 1,6 e 7, del codice della strada e, con la diminuente del rito, condannato a sei mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali.
Il (OMISSIS) , nel percorrere con lo scooter la via XXXXX del centro abitato dei comune di XXXXXXXX, il P. urtava con lo specchietto retrovisore il fianco destro di un pedone, l’appuntato dei carabinieri F. , mentre questi si accingeva ad attraversare la strada sulle strisce pedonali; il carabiniere veniva sbattuto violentemente contro una vettura parcheggiata lì vicino e poi si accasciava terra; il collega presente, chiamava il P. , avendolo riconosciuto, ma predetto non si fermava e pronunziava parole ingiuriose all'indirizzo dei carabinieri.

 

2.Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell'imputato. Con un primo motivo deduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'articolo 189; secondo il difensore quanto avvenuto avrebbe dovuto essere inquadrato unicamente nella fattispecie di lesioni colpose. Peraltro l'articolo 189 configura il reato di omessa assistenza solo si è se vi è effettivo bisogno dell'investito di soccorso e non nel caso in cui altri, come avvenuto nella specie, abbia già provveduto in tal senso e non risulti più necessario l'aiuto; fa presente che dalla stessa annotazione di polizia giudiziaria risultava che il carabiniere urtato dal P. era insieme ad altri due colleghi e che soltanto dopo essere rientrato in caserma era stato accompagnato presso l'ospedale, pe r eventuali cure. Quindi, contrariamente a quanto affermato in sentenza, non vi era necessità di soccorso per la conclamala presenza di altri potenziali soccorritori e per l'assenza di danni immediati o ferite evidenti; doveva anche considerarsi che P. non si era dato alla fuga ma anzi era ritornato sul posto per accertarsi delle condizioni del carabiniere, allontanandosi solo dopo aver constatato che non aveva bisogno di aiuto. Con un secondo motivo si deduce carenza di motivazione con riferimento al diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche; l'imputato è stato erroneamente accusato di avere numerosi e gravi precedenti penali, che però non sono stati specificati; ma in realtà il medesimo ha a suo carico un solo precedente penale; è stato poi trascurato che il P. si era presentato spontaneamente in caserma rendendo ampia e specifica confessione; avrebbe quindi meritato un trattamento sanzionatorio pi&ugr ave; mite.

 

Considerato in diritto


1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi dedotti.
P. è stato ritenuto responsabile per non essersi fermato a prestare soccorso dopo l'incidente da lui stesso causato, anche se in realtà, pur essendo stato al medesimo contestato sia il comma 6 che il comma 7 dell'articolo 189, la pena è stata poi determinata in relazione ad un unico reato. La statuizione, che certamente non può essere rivisitata a sfavore dell'imputato in assenza di impugnazione del pubblico ministero, è comunque, quanto ai presupposti della responsabilità, corretta.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare che integra il reato di cui all'art. 189, commi primo e sesto, c.d.s. (cosiddetto reato di "fuga"), la condotta di colui che - in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato un danno alle persone - effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea (nella specie "per pochi istanti"), senza consentire la propria identificazione, né quella del veicolo. Infatti il dovere di fermarsi sul posto dell'incidente deve durare per tutto il tempo necessario all'espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell'identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto, perché, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire né l'identificazione del conducente, né quella del vei colo, né lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell'incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica (così sez. IV 25.1.2001 n. 20235 rv. 234581).
Il P. dunque, che dopo aver urtato e fatto cadere il F. e pur sollecitato a fermarsi, si è invece rifiutato ha violato la disposizione in questione.
Quanto poi all'obbligo di prestare assistenza, è pacifico che l'elemento soggettivo del detto reato ben può essere integrato dal semplice dolo eventuale, cioè dalla consapevolezza del verificarsi di un incidente, riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, non essendo necessario che si debba riscontrare l'esistenza di un effettivo danno alle persone. E nella specie il P. si era certamente accorto di aver fatto cadere la persona che aveva urtato; giova al ricorrente invocare una sorta di esimente affermando di aver ritenuto che non vi fosse bisogno del suo aiuto perché vi erano altre persone che potevano prestare soccorso. La sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata non è elemento costitutivo del reato che è integrato dal semplice fatto che , in caso d'incidente stradale con danni alle persone, l'investitore non ottemperi all'obbligo di prestare assistenza. Tale condotta, come pure questa Corte ha già precisato (sez. IV 7.2.2008 n.8626 rv. 238973), va tenuta a prescindere dall'intervento di terzi, poiché si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell'incidente medesimo.
Le censure sulla determinazione del trattamento sanzionatorio sono inammissibile perché non denunciano apprezzabili vizi di legittimità.

 

2. Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e da ciò deriva l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore delle cassa delle ammende che, in considerazione dei motivi dedotti, stimasi equo fissare, anche dopo la sentenza della Corte Cost. n. 186 del 2000, in Euro 1.000,00 (mille/00).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento di 1.000,00 Euro in favore della cassa delle ammende.
(Omissis)

 

da Polnews

Venerdì, 20 Luglio 2012
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