'Lei non sa chi sono io...' e' frase minatoria
Annullata assoluzione di chi l'aveva pronunciata in una banale lite tra vicini
ROMA 08.07.2012 - Gli italiani, potenzialmente, sono tutti a rischio di finire condannati per minaccia perché tutti, prima o poi, pronunciano la fatidica frase - cara a Totò - 'lei non sa chi sono io, questa gliela faccio pagare!': la Cassazione ha, infatti, stabilito che l'espressione ha un contenuto in grado di limitare la "libertà psichica" altrui se scappa di bocca in un "contesto di alta tensione verbale". Per questo la Suprema Corte ha deciso di annullare l'assoluzione di un signore di Salerno che aveva così inveito contro una conoscente, la signora Licia C., alla quale era legato da vecchia ruggine. Contro il verdetto di proscioglimento di Antonio G., distinto sessantenne, graziato dal giudice di pace che - con il suo verdetto del 27 aprile 2010 - aveva ritenuto "l'inidoneità offensiva" della locuzione ora incriminata, il Procuratore generale della Corte di Appello di Salerno ha protestato in Cassazione inoltrando un ricorso inneggiante alla condanna. A nulla sono valse le memorie difensive con le quali il legale del povero Antonio G. ha lamentato la "persecuzione giudiziaria" in atto ai danni del suo cliente che, in fin dei conti, non aveva detto nulla di così spaventoso.
I supremi giudici - con la sentenza 11621 - hanno sottolineato che sì, a ben vedere, "l'espressione deve essere valutata nel suo complesso e il giudice di pace non si è soffermato adeguatamente a considerare il contesto in cui si inseriva, escludendone ogni idoneità minatoria". Invece - prosegue l' Alta Corte - "l'espressione andava, e andrà valutata dal giudice del rinvio, nel concreto ambito nel quale era stata pronunciata, in un contesto cioé di alta tensione verbale, da persona che utilizzando l'espressione che 'l' avrebbe fatta pagaré essendone capace ('non sai chi sono iò) colorava e riempiva di contenuti minacciosi la frase pronunciata, perché nulla ne circoscriveva il significato all'adozione di iniziative lecite". A sostegno della sua tesi, la Cassazione ricorda che "nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l'indeterminatezza del male minacciato purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente". Ora la vicenda - che risale al 13 gennaio 2006 - si riapre davanti al giudice di pace. Nulla è dato sapere della cornice di acceso diverbio nella quale Antonio G. ha perso le staffe, ma si capisce che si tratta di attriti ripetuti e di vecchia data. Forse banali questioni di vicinato o di posto macchina. Quelle nelle quali, in realtà, nessuno si limita più a dire 'lei non sa chi sono io!...'.
da ansa.it