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Corte di Cassazione 03/07/2012

Guida in stato di ebbrezza - prelievi effettuati al pronto soccorso ai fini diagnostici - utilizzabili - irrilevante il successivo consenso dell'indagato

(Cass. Pen., sez.IV, 24 maggio 2012, n. 19607)

(omissis)

 

RITENUTO IN FATTO

 

Il Tribunale di Roma, in sede di giudizio ordinario, condannava omissis per il reato di cui all'articolo 186 del codice della strada per guida in stato di ebbrezza di un motoveicolo omissis con tasso alcolemico rilevato di 300 mg/dl (3 g/l) omissis.
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Roma confermava la pronuncia di condanna. Osservava la Corte distrettuale che la responsabilità dell'imputato emergeva chiara dalla analisi ematica svolta da cui risultava il suo elevato tasso alcol emico. Quanto alla legittimità delle analisi, esse erano state svolte in occasione di esami clinici ospedalieri, dopo l'incidente in cui il omissis era stato coinvolto, di tal che era irrilevante la presenza o meno del consenso dell'interessato.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il difensore dell'imputato deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle valutazioni probatorie; il ricorrente, muovendo dal rilievo che i verbalizzanti non avrebbero potuto constatare un eventuale stato di ebbrezza del omissis al momento dell'incidente essendo giunti sul posto alcuni minuti dopo l'incidente, sostiene che i verbalizzanti stessi non avrebbero avuto neanche la possibilità di sollecitare l'accertamento con prelievo per il sospetto di stato di ebbrezza: di tal che la richiesta di prelievo da parte della centrale della Polizia Municipale sarebbe stata acquisita tardivamente; la difesa pone anche in dubbio l'attendibilità della deposizione del sanitario circa le modalità ed i motivi del prelievo, e sostiene dunque la inutilizzabilità dell'accertamento perché eff ettuato senza il consenso del omissis.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO


Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza delle censure dedotte che, sostanzialmente, si incentrano sulla asserita inutilizzabilità dell'esito dell'accertamento previo prelievo ematico, perché effettuato in mancanza del consenso dell'interessato.
E' circostanza pacifica che il omissis fu coinvolto in un incidente stradale ed è altrettanto pacifico che egli, avendo riportato lesioni personali, fu soccorso e trasportato in ospedale per gli accertamenti e le cure del caso, così venendo sottoposto anche a prelievo ematico che consentì di accertare la presenza nel suo organismo di un elevato tasso alcolemico.
Orbene, secondo il consolidato indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, e in particolare nell'ambito di questa Quarta Sezione della Corte di Cassazione, "i risultati del prelievo ematico, effettuato durante il ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica a seguito di incidente stradale, sono utilizzabili nei confronti dell'imputato per l'accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, trattandosi di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica e restando irrilevante, ai fini dell'utilizzabilità processuale, la mancanza del consenso" (in termini, Sez. IV, n. 1827 del 04/11/2009 Ud. - dep. 15/01/2010 - Rv. 245997; conf., ex plurimis - Sez. IV, n. 10286 del 04/11/2008 Ud. - dep. 06/03/2009 - Rv. 242769; Sez. IV, n. 22599 del 13/05/2005 Ud. - dep. 16/06/2005 - Rv. 231976; Sez. IV, n. 37442 de l 12/06/2003 Ud. - dep. 02/10/2003 - Rv. 226257). Né possono assumere rilievo i dubbi palesati dal ricorrente circa i tempi e le modalità della richiesta di accertamento avanzata dalla Polizia Municipale ai sanitari della struttura presso la quale era stato ricoverato il omissis: e ciò, anche a prescindere da qualsiasi considerazione circa la fondatezza o meno delle riserve espresse dal ricorrente - anche per quel che riguarda l'attendibilità del sanitario sentito come teste, in ordine alla quale il ricorrente ha formulato dubbi e perplessità - che, peraltro, non trovano concreto riscontro documentale in atti, così come evidenziato anche dalla Corte territoriale nella parte conclusiva del suo percorso motivazionale: trattasi, invero, di formalità la cui eventuale inosservanza mai potrebbe incidere sulla utilizzabilità dell'esito dell'accertamento eseguito nel rispetto del protocollo di pronto soccorso. Per come s i rileva dall'impugnata sentenza, fu proprio la rilevata presenza dell'alcool nell'organismo del omissis che tranquillizzò i sanitari dispensandoli dal compiere più impegnativi accertamenti come una TAC o una risonanza magnetica.


D'altra parte, l'indirizzo interpretativo quale appena illustrato trova supporto negli interventi della Corte Costituzionale. Il Giudice delle leggi, con la sentenza n. 238 del 1996, ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 224 comma 2, c.p.p., "nella parte in cui consente che il giudice, nell'ambito delle operazioni peritali, disponga misure che comunque incidano sulla libertà personale dell'indagato o dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste nei "casi" e nei "modi" dalla legge"; trattasi di principio a maggior ragione da valere, all'evidenza, anche per gli atti di indagine. Mette conto sottolineare che la Corte Costituzionale è pervenuta a detta pronuncia di illegittimità per arginare l'utilizzo di provvedimenti coercitivi atipici, astrattamente riconducibili alla nozione di " ;provvedimenti ...necessari per l'esecuzione delle operazioni peritali", senza che fosse prevista alcuna distinzione tra quelli incidenti e quelli non incidenti sulla libertà personale, così cumulandoli in una disciplina, connotata da assoluta genericità di formulazione e totale carenza di ogni specificazione dei casi e dei modi in presenza dei quali soltanto poteva ritenersi legittima l'esecuzione coattiva di accertamenti peritali mediante l'adozione, a discrezione del giudice, di misure restrittive della libertà personale. Orbene, la stessa Corte, nella motivazione della sentenza, nel censurare la genericità della disciplina del rito penale, ha segnalato come invece, ".... in un diverso contesto, che è quello del nuovo codice della strada (artt. 186 e 187del codice della strada), il legislatore - operando specificamente il bilanciamento tra l'esigenza probatoria di accertamento del reato e la garanzia costituzional e della libertà personale - abbia dettato una disciplina specifica (e settoriale) dell'accertamento (sulla persona del conducente in apparente stato di ebbrezza alcoolica o di assunzione di sostanze stupefacenti) della concentrazione di alcool nell'aria alveolare espirata e del prelievo di campioni di liquidi biologici, (prevedendo bensì in entrambi i casi la possibilità del rifiuto dell'accertamento, ma con la comminatoria di una sanzione penale per tale indisponibilità del conducente ad offrirsi e cooperare all'acquisizione probatoria); disciplina - questa - la cui illegittimità costituzionale è stata recentemente esclusa da questa Corte (sentenza n. 194 del 1996, citata) proprio denegando, tra l'altro, la denunziata vulnerazione dell'articolo 13, comma 2, Cost. atteso che la dettagliata normativa di tale accertamento non consente neppure di ipotizzare la violazione della riserva di legge". Lo stesso giudice delle leggi ha riconosciuto, dunque, con i suoi interventi, la legittimità della disciplina del codice della strada, anche laddove nell'indicare le modalità degli accertamenti tecnici per rilevare lo stato di ebbrezza, non prevede alcun preventivo consenso dell'interessato al prelievo dei campioni. Ciò che può essere opposto è il rifiuto al controllo; ma la stessa sanzione penale che accompagna tale condotta, sancendone il disvalore, risulta incompatibile con la pretesa di un esplicito consenso al prelievo dei campioni. Nel caso di specie, il prelievo è stato eseguito nel rispetto delle norme vigenti all'epoca dei fatti (dopo la riforma introdotta dal D.L. n. 151/2003, conv. in L. n. 214/2003), ed il omissis era rimasto coinvolto in un incidente stradale a seguito del quale era rimasto ferito e quindi trasportato in ospedale.


In presenza di gravame inammissibile per causa originaria di inammissibilità (trattandosi di doglianze manifestamente infondate) non è consentito a questa Corte esaminare la questione, prospettata dal difensore del ricorrente all'odierna udienza di discussione, concernente la prescrizione del reato, alla luce dei principi enunciati in materia dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. SSUU 22/11/2000, omissis, e 27/6/2001, omissis); il che rende altresì superfluo il controllo degli atti per la verifica di eventuali periodi di sospensione del decorso del termine di prescrizione durante i giudizi di merito.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
(omissis)

 

da Polnews

 

 

Martedì, 03 Luglio 2012
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