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Corte di Cassazione 22/11/2011

Danni da insidia: custodia ex art. 2051 c.c. anche per le strade statali

(Cass. Civ., sez. III, 18 ottobre 2011, n. 21508)

La Corte di Cassazione aggiunge un nuovo e ulteriore tassello all’opera esegetica rivolta a segnare la progressiva equiparazione tra privato e pubblica amministrazione in tema di responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia.

Il questo caso, la Suprema Corte, si occupa del danno subito da un motociclista che, percorrendo una strada statale, incappava in fango, sterpaglie e sabbia, accumulatisi in conseguenza delle piogge cadute nei giorni precedente e non rimossi né segnalati dall’ente gestore, tenuto alla manutenzione della strada.

A fronte delle difese dell’ente, rivolte ad evidenziare l’inapplicabilità dell’art. 2051 c.c. in considerazione della notevole estensione della strada e delle modalità indiscriminate di fruizione della stessa da parte dell’utenza, i Giudici di Piazza hanno richiamato lucidamente i propri precedenti approdi giurisprudenziali.

E’ stato nuovamente chiarito, in particolare, che il fattore discriminante al fine di stabilire l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. sia da ricercarsi nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali da cui sia derivato il danno.

La notevole estensione del bene, la sua collocazione fuori dalla perimetrazione urbana e la destinazione ad un uso generalizzato da parte dell’utenza sono certamente circostanze sintomatiche, di cui tener conto nel complesso giudizio rivolto ad accertare se, nel caso concreto, sussista effettivamente la possibilità di esercitare un potere di controllo idoneo a fondare l’applicazione dell’art. 2051 c.c., ma non costituiscono l’oggetto stesso del giudizio e, pertanto, non determinano alcuna automatica esclusione.

Insieme alle circostanze testé richiamate, infatti, dovranno considerarsi anche le caratteristiche, la posizione della strada e le sue dotazioni e, ancora, i sistemi di assistenza apprestati alla luce del progresso tecnologico.

Il tratto più interessante della pronuncia, tuttavia, è da ricercarsi nel passaggio motivazionale in cui i giudici di Piazza Cavour individuano specificamente, tra le circostanza sintomatiche della possibilità per il gestore di effettuare un controllo concreto sul bene demaniale, la “natura e della tipologia delle cause determinanti il danno”.

In altri termini, non è possibile stabilire a priori – sulla base delle caratteristiche intrinseche, della posizione, delle modalità di fruizione, dei sistemi di assistenza apprestati e/o apprestabili, ecc. – quali siano le strade suscettibili di custodia ex art. 2051 c.c. e quali no, poiché l’esistenza del rapporto di custodia tra gestore e res andrà specificata anche tenendo conto del fattore causale che, nel caso concreto, ha prodotto il danno.

Tale accertamento deve essere compiuto avuto riguardo alla luce della prevedibilità o meno, per il custode, della causa del danno.

Ne deriva che, in relazione al medesimo tratto di strada, sarà possibile affermare l’esistenza di un rapporto di custodia in relazione a alcune tipologie di insidia e negarlo con riferimento ad altre.

Benché un simile orientamento, che si va peraltro consolidando, risponda all’esigenza di innalzare il livello di tutela dell’utente danneggiato, sul piano logico giuridico residuano alcune perplessità.

Proprio alla luce dei più recenti indirizzi giurisprudenziali, infatti, il concetto di custodia sotteso all’art. 2051 c.c., pur non identificandosi necessariamente in una situazione di proprietà o di possesso tecnicamente inteso, assume una accezione squisitamente oggettiva, concentrata sul rapporto di fatto tra il soggetto e la res.

Una discriminate fondata sul riferimento alla “conoscenza o conoscibilità” dello specifico fattore causale di pericolo rischia di minare alla base la struttura logica su cui si regge la fattispecie speciale di responsabilità oggettiva definita dall’art. 2051 c.c., producendo uno sbilanciamento forse eccessivo tra gli interessi contrapposti in gioco.

Probabilmente, il riferimento alla conoscenza o conoscibilità del fattore causale di danno troverebbe una sua più naturale collocazione nello schema risarcitorio generale, delineato dall’art. 2043 c.c., quale elemento sintomatico della colpa del gestore, piuttosto che elemento idoneo a fondare il rapporto di custodia.

(Nota di Raffaele Plenteda. Per approfondimenti sul tema, si veda il volume "Danni da insidie stradali. Analisi e casistica" di R. Plenteda e O.V. Maggiulli, Altalex Editore, 2011 )

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 27 settembre – 18 ottobre 2011, n. 21508

(Presidente Filadoro – Relatore Giacalone)

 

In fatto e in diritto

 

1.1. L'A.N.A.S. S.p.A. propone ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro del 13 giugno 2009, che, riformando quella di primo grado, ha accolto la domanda degli A., volta ad ottenere il risarcimento dei danni riportati nel sinistro stradale occorso il **** in ****, lungo la S.S. ****, che ritenevano attribuibile all'ente proprietario della strada per non aver fatto rimuovere fango sterpaglie e sabbia accumulatisi a seguito delle notevoli piogge cadute nei giorni precedenti, così determinando lo sbandamento della Vespa 50 su cui viaggiavano A.L. e V.. Gli intimati resistono con controricorso e chiedono il rigetto del ricorso.

2.1. Con il primo motivo, l'ente ricorrente deduce falsa applicazione dell'art. 2051 c.c. e formula alla Corte il seguente quesito: "se la responsabilità dell'ente tenuto alla gestione ed alla manutenzione delle strade pubbliche per danni verificatisi agli utenti sia sempre ed in ogni caso inquadrabile nell'ipotesi di responsabilità speciale prevista dall'art. 2051 c.c., come ritenuto dalla Corte di Appello, ovvero se spetti al giudice del merito valutare prioritariamente, caso per caso, l'estensione della strada e la modalità di fruizione da parte dell'utenza, giungendo ad escludere l'inquadramento nell'art. 2051 c.c. in tutti i casi in cui l'evento si sia verificato in strade pubbliche di notevole estensione e grandemente trafficate, nelle quali risulta impossibile operare un controllo ed una vigilanza costanti ed uniformi".

2.2. la censura è infondata. In realtà, l'Ente ricorrente invoca un orientamento giurisprudenziale ormai superato e che non tiene conto dell'evoluzione della giurisprudenza in sibiecta materia a partire dalla nota pronuncia n. 156 del 10.5.1999 della Corte costituzionale. Questa, infatti, affermò il principio che alla P.A. non era applicabile la disciplina normativa dettata dall'art. 2051 c.c., solo allorquando "sul bene di sua proprietà non sia possibile - per la notevole estensione di esso e le modalità di uso, diretto e generale, da parte di terzi - un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti". Ne deriva che, secondo tale autorevole interprete, il fattore decisivo per l'applicabilità della disciplina ex art. 2051 c.c. debba individuarsi nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l'impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all'uso generale e diretto da parte dei terzi, da considerarsi meri indici di tale impossibilità, ma all'esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, che tenga in debito conto innanzitutto gli indici suddetti. In questa direzione si è orientata negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato
3.1. Con il secondo motivo, l'ente deduce insufficiente motivazione sul fatto controverso e decisivo della riconducibilità del sinistro verificatosi al comportamento imprudente della conducente del motociclo così come allegato e provato dall'ente medesimo; si tratterebbe di fatto decisivo, perché la sua prova costituisce elemento idoneo ad escludere la responsabilità di esso ente gestore della strada ai sensi dell'art. 2051 c.c..

3.2. La censura ed il relativo momento di sintesi sono privi di pregio, non potendo il dedotto vizio di omessa motivazione consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello prospettato dalle parti. Si deve, infatti, ribadire che, quanto alla valutazione delle prove adottata dai giudici di merito, il sindacato di legittimità non può investire il risultato ricostruttivo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, (Cass. n. 12690/10, in motivazione; n. 5797/05; 15693/04). Del resto, i vizi motivazionali denunciabili in Cassazione non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. n. 6064/08; nonché Cass. n. 26886/08 e 21062/09, in motivazione).

4.1. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione dell'art. 2059 c.c. e chiede alla Corte "se in caso di risarcimento del danno patrimoniale derivante da lesioni riportate a seguito di atto illecito, astrattamente rientrante in fattispecie di reato, il giudice possa riconoscere il risarcimento del danno biologico, e, in percentuale su quest'ultimo, il risarcimento del danno morale, così come operato dalla Corte di Appello ovvero se si debba ritenere che, in tali fattispecie, il danno morale costituisce una componente normale del primo, per cui, ne è precluso il risarcimento quante volte si sia proceduto al risarcimento del danno biologico".

4.2. Con il quarto motivo, l'ente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2059 e 2697 c.c. perché la Corte territoriale, liquidandolo in una percentuale di quello biologico, avrebbe considerato il danno morale sussistente in re ipsa, senza tenere conto che nessun elemento probatorio, neanche di carattere presuntivo, era stato allegato dai danneggiati.

4.3. Le censure - che possono trattarsi congiuntamente, data l'intima connessione - si rivelano entrambe infondate. I principi espressi dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 26972 del 2008 e con le ulteriori coeve decisioni - in ordine alla funzione solo descrittiva delle categorie di danno non. patrimoniale tradizionalmente individuate ed all'esigenza di evitare duplicazioni risarcitorie -non autorizzano la conclusione che siano per ciò stesso da riformare tutte le sentenze contenenti liquidazioni che a quelle categorie abbiano fatto riferimento. Quel che rileva é che non siano state risarcite due volte le medesime conseguenze pregiudizievoli, ad esempio ricomprendendo la sofferenza psichica sia nel danno "biologico" che in quello "morale"; ma se, liquidando il complessivo danno non patrimoniale attraverso il riferimento a tradizionali sottocategorie anche tabellari, il giudice abbia avuto riguardo a pregiudizi diversi, la decisione non può considerarsi erronea in diritto (Cass. n. 6750/11) senza contare che anche di recente si è ribadito peraltro nulla vieta che il danno morale sia liquidato in proporzione al danno biologico (Cass. n. 702/10). Nella specie non si sostiene che la sofferenza psichica fosse stata già considerata nella liquidazione del danno "biologico", come inteso prima delle richiamate sentenze delle Sezioni unite.

5. Ne deriva il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.800, di cui Euro 1.600, per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

 

 

da Altalex

Martedì, 22 Novembre 2011
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