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Notizie brevi 29/09/2011

L'idea di due studenti dell'Università di Pittsburgh
In bici di notte: ciclisti protetti dalle ruote luminose

Led multicolori applicati sui cerchi alimentati da una dinamo integrata nel mozzo anteriore

MILANO - È sera, un ragazzo se ne sta seduto sul divano a guardare la tv. Si alza, scende in strada e sale sulla sua bicicletta avviandosi per strade buie e pericolose. Rischia di essere travolto da un'auto o da un mezzo pesante. Ma le due ruote del suo mezzo si illuminano, rendendolo visibile grazie a una serie di led applicati sui cerchi e alimentate da una dinamo integrata nel mozzo anteriore.

LED LUMINOSI MULTICOLORI - L’idea è semplice ma geniale. L’intensità della luce varia. Si va dal rosso nei momenti di maggiore tranquillità, fino al bianco che appare quando il mezzo prende velocità. A inventare il sistema, due studenti di industrial design alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Ethan Frier e Jonathan Ota, che hanno messo a punto il concept Project Aura. Sul loro blog raccontano nei dettagli come hanno fatto a realizzare la loro invenzione e quali ostacoli hanno incontrato per rendere più sicure le loro bici. Ma non solo. I due hanno aperto un dibattito sulla sicurezza stradale dei ciclisti. «Le luci anteriori e posteriori non sono sempre il modo più efficace per rendersi visibili a tutti gli automobilisti, soprattutto di lato», ha spiegato Frier. Che ha aggiunto: «La causa principale degli incidenti è la mancanza d’informazioni da entrambe le parti. Il nostro design può salvare una vita». L’idea di Ethan e Jonathan permette dunque anche ai guidatori meno esperti e attenti, quali possono essere i minorenni, di migliorare la qualità della loro mobilità. Secondo i dati citati dai due studenti statunitensi, l’8 per cento degli incidenti che coinvolgono cicli e motocicli avviene agli incroci. Mentre la fascia oraria più a rischio sarebbe proprio quella che va dalle 6 alle 9 di sera, momento in cui i ragazzi tornano a casa oppure escono dopo cena per un saluto agli amici.

OCCHIO ALLA TESTA - Tutto ciò riguarda anche l’Italia. Se infatti si inizia a parlare di bike revolution anche nel Bel Paese, con un forte incremento di ciclisti e di persone interessate alla versione elettrica, secondo gli ultimi dati disponibili di Asaps, nel 2008 in Italia si sono verificati 288 morti e 14.377 ferimenti in bicicletta. Di questi, gli incidenti mortali hanno interessato i ragazzi con età inferiore ai 14 anni in modo marginale: dieci casi su 288, equivalenti al 3%. Poi sempre marginale ma leggermente più alta, la quota di giovani feriti (7%). Sebbene le percentuali siano modeste, la maggiore incidenza di traumi alla testa è riscontrata però proprio tra i giovani: il 17% nella fascia d'età fino ai 14 anni. Secondo l’Istat, infine, sono le strade statali e provinciali (spesso meno illuminate) quelle più pericolose. Qui nel 2009 ben 1.995 morti (il dato è globale, comprende anche pendoni e automobilisti), con 1.892 i decessi in ambito urbano e 350 in quello autostradale, con un indice globale di lesività che è del 93,3% per le biciclette.

LA SOLUZIONE È IL CASCO?
- Letti i dati, c’è da sottolineare che i rischi aumentano soprattutto quando scende il buio, che le strade periferiche sono quelle più insidiose e che è la testa la parte del corpo più vulnerabile per i ciclisti. Come soluzione al problema è difficile dunque non pensare, oltre al classico faro di notte o ai led luminosi come quelli realizzati dai due studenti, anche all’utilizzo del casco, poco amato e non ancora reso obbligatorio dalla legge per i maggiori di 14 anni (per i minori vige il divieto di circolare senza). Il tutto con Fulvio Scaparro che proprio martedì 27 settembre sulle pagine del Corriere proponeva di renderlo obbligatorio per tutti, esattamente come le cinture di sicurezza delle automobili. Il caschetto però non convince in pieno. E c’è chi, come John Franklin per la European Cyclists' Federation, ha indicato sistemi alternativi. Tanti preferiscono infatti le limitazioni di velocità dei veicoli motorizzati (zone a 30 km all'ora, rispetto dei limiti in città) e di tutela degli spazi della mobilità dolce (piste ciclabili in sede protetta e continuità delle stesse nelle aree extraurbane). E se il dibattito impazza, per il momento certo è che andare in bicicletta può comportare dei rischi. Così, nell’attesa che la legge faccia la sua parte per tutelare chi privilegia un mezzo di trasporto a basso impatto ecologico, idee simili a quella degli studenti di Pittsburgh possono contribuire a rendere il viaggio più sicuro.

 

da Corriere.it

Giovedì, 29 Settembre 2011
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