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Articoli 29/03/2004

Cento anni di cinture

Cento anni di cinture

di Michele Leoni*


Interessante servizio sulle cinture di sicurezza, la loro storia, la loro funzione. E’ uscito su “la Repubblica Salute” del 23.10.2003, pagina 19, per la ricorrenza del centenario dell’esistenza di tale accessorio.
A questo rimandiamo per chi volesse approfondire l’excursus storico che l’articolo traccia al riguardo. Qui traiamo solo qualche spunto per variamente argomentare. Innanzitutto, colpisce il fatto che le cinture di sicurezza furono inventate (nel senso di brevettate) nel lontano 1903 (dal francese Gustave Desirè Liebau, che le chiamò “bretelle di sicurezza”), e che, invece, solo nel 1957 s’iniziò a montarle su qualche auto.
Addirittura, solo dopo il 1960 esse divennero di serie. Pare di ripercorrere la già troppo attuale vicenda del famoso carburatore all’idrogeno, di cui si parla apertamente dal 1974 perché esiste, perché è già stato inventato, ma che ancora oggi, trent’anni dopo, resta un fantasma per l’utente normale del mercato.
Qualche sperimentazione, nessun investimento massiccio in questi tre decenni per renderlo applicabile in serie. Grande ritardo e poca spesa, sul fronte della industrializzazione dell’idrogeno come carburante, che pure è pulito e non inquinante. Perché’? A qualcuno forse sta bene accanirsi sul petrolio fino all’ultima goccia disponibile, con tutto quello che ne consegue? Torniamo alle cinture di sicurezza.

Nonostante fin dal 1903 fosse ben chiaro che erano uno strumento, appunto, di sicurezza, per lunghi anni (di nuovo, decenni) si pensò che la soluzione migliore per arginare il dilagante e montante fenomeno delle morti in macchina (che cresceva in corrispondenza con il diffondersi delle automobili e l’aumento della circolazione e del traffico) fosse migliorare le serrature delle portiere, per evitare che chi occupava l’auto fosse sbalzato fuori in caso di incidente. Ossia, era giusto e ottimale tenere relativamente imprigionati conducenti e occupanti nell’abitacolo, anche con la possibilità, lì dentro, che essi venissero sbataccchiati da tutte le parti, si schiacciassero il costato, la faccia, volassero sul vetro, s’infilzassero sul volante e altro. Forse era una questione di preminenti ragioni industriali, i profitti delle industrie costruttrici di portiere andavano privilegiati sui profitti di chi poteva costruire cinture? Strano.
Sono tecnologie che una medesima impresa del settore può coltivare parallelamente senza problema. Cattiva voglia nell’investire in ricerche sull’assetto e il funzionamento migliore delle cinture? Strano anche questo. Non sembra, quello delle cinture (fra l’altro, si ripete, già brevettate e quindi pronte per l’uso industriale) un terreno ove occorressero stanziamenti ciclopici. Qualche crash test, studi di ingegneria dinamica, e poi, che altro? Costo eccessivo di materiali? Non pare.
Di sicuro, è più costoso progettare di convertire l’acqua in idrogeno su scala industriale. Mistero. Forse, si è trattato solo di ignoranza. Sta di fatto che per circa sessant’anni questo preziosissimo strumento salva-vita è rimasto nell’empireo delle idee “impossibili”.
Ciò è ancora più inverosimile se si pensa che, dagli anni Sessanta in poi, le modifiche funzionali e tecnologiche che hanno caratterizzato l’evoluzione e la progressiva applicazione delle cinture di sicurezza sono state assai poche (sistemi di regolazione automatica, dotazione di pretensionatori, spie lampeggianti e sonore per avvertire che non sono state inserite), segno che, evidentemente, anche alle origini esse non erano un arnese così rudimentale, macchinoso o stravagante. Che le cinture di sicurezza, poi, siano così pregnanti e centrali nella prevenzione dei danni da incidente stradale, oggi, c’è una ovvia giurisprudenza che ce lo insegna. A cominciare da una lapidaria sentenza della Suprema Corte, laddove si è negato il riconoscimento del concorso di colpa a un soggetto imputato di omicidio colposo del proprio trasportato perché egli, conducente, non aveva insistito affinché il deceduto indossasse la cintura (e neppure ne aveva rifiutato il trasporto a seguito della sua renitenza a indossarle) (Cass. 9904/1996). E recentemente, i giudici di pace non sono stati da meno. Secondo la loro giurisprudenza, dichiaratamente, deve ritenersi concausa della determinazione del danno alla persona il mancato utilizzo della cintura di sicurezza (Giud. pace Bologna 6.12.1999, att. Vecchi). Non solo.
Il concorso di colpa in caso di non uso della cintura è tranquillamente identificabile nella misura del trenta per cento per il passeggero (Giud. pace Catanzaro 4.10.2000, att. Scalzo). Insomma, è talmente scontato che la cintura salvi la vita e preservi dal danno (quanto meno, ulteriore), che in diritto addirittura si prescinde dalla prova rigorosa, se pure in via ipotetica sulla base di calcoli e nozioni di esperienza applicate, e si sentenzia tranquillamente sulla base di presunzioni.
* G.I.P. presso I Tribunale di Forlì

di Michele Leoni

da "Il Centauro" n. 85
Lunedì, 29 Marzo 2004
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