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Notizie brevi 07/12/2010

La sciagura di Lamezia Terme: i dati ufficiali e il punto della situazione
Ecco i dati ISTAT relativi al 2009 e ciò che all’estero viene fatto
La rabbia della FIAB: se ne parla solo perché ci sono tanti morti tutti insieme, ma è uno stillicidio continuo

Dal 2008 al 2009, le vittime sono in aumento
 

Una tremenda immagine scattata a Monterrey (Messico): nell’incidente, avvenuto nel giugno 2008,
morì un solo ciclista mentre altri 10 restarono gravemente feriti. (Jose Fidelino Vera Hernandez / AP)

(ASAPS) 6 dicembre 2010 –  Sarà lutto cittadino, a Lamezia Terme, dopo il giorno nero del ciclismo amatoriale e quello ancor più nero della sicurezza stradale in Italia, che ha coinciso con uno degli eventi più tragici che si siano mai verificati sulle nostre strade, se si eccettuano quelli che hanno visto coinvolti autobus o che hanno avuto come scenario le carreggiate autostradali in caso di nebbia. La Mercedes condotta da un cittadino marocchino di 21 anni, risultato aver assunto sostanze cannabinoidi e senza patente perché precedentemente ritirata, è piombata su un gruppo di ciclisti amatoriali, ammazzandone sette, di cui sei sul colpo ed uno poche ore più tardi, durante il disperato tentativo dei medici di salvargli la vita. La sciagura è avvenuta nei pressi di Marinella, a Sant’Eufemia: è sulla Statale 18 che il conducente della macchina, durante un sorpasso ad alta velocità, avrebbe centrato i ciclisti, facendone strage. Anch’esso ferito, è stato prima ricoverato in ospedale in stato di arresto e poi trasferito al centro clinico del carcere di Catanzaro, con l’accusa di omicidio colposo plurimo aggravato dallo stato di ebbrezza: la Polizia Municipale, che ha effettuato i rilievi, ha già trasmesso alla Procura della Repubblica di Lamezia il referto ospedaliero che lo riguarda e che attesterebbe l’assunzione di droga, mentre il suo precedente ritiro di patente sarebbe motivato a un sorpasso vietato. Tra i feriti ci sono anche un altro ciclista, sembra l’unico superstite del gruppo, e un bambino di 8 anni, nipote dell’immigrato. Le vittime sono Fortunato Bernardi,  Rosario Perri, Francesco Stranges , Vinicio Pottin, Giovanni Cannizzaro, Pasquale De Luca, Domenico Palazzo, tutti di età compresa tra i 35 e i 58 anni. La scena è da attentato mediorientale: la Mercedes, intraversata su un muretto laterale, e sette lenzuola bianche disseminate sulla carreggiata, tra ciò che resta delle bici da corsa. La città di Lamezia Terme ha già decretato il lutto cittadino per il giorno dei funerali, sulla cui data si deciderà quando il Pubblico Ministero scioglierà le riserve.
Il Presidente della Federazione Ciclistica Italiana, Renato Di Rocco, ha espresso il suo cordoglio alle famiglie delle vittime, mentre una presa di posizione molto dura è arrivata da Stefano Gerosa, vice presidente della FIAB, la Federazione Amici della Bicicletta. “La notizia è terribile – scrive Gerosa sul sito dell’associazione – e, per la sua gravità ed enormità, questa volta fa scalpore.  Purtroppo rientra in una tragica serie, visto che sono ormai quotidiane le notizie dei ciclisti uccisi o gravemente feriti sulle nostre strade”. Le cause, secondo Gerosa, sono attribuibili “all’eccessiva velocità delle auto, anche nei centri urbani, al mancato rispetto delle  regole del CdS, alla mancanza di Piste Ciclabili e dei dispositivi di moderazione della velocità. Queste cose noi della FIAB le diciamo da sempre (nella quasi indifferenza generale), magari adesso ci toccherà ribadirle e ripeterle a beneficio del teatrino mediatico di turno, che poi tornerà a dimenticare il problema”.
Anche l’ASAPS, da sempre in prima linea a difesa delle utenze deboli, ha detto la sua, con un comunicato stampa.
“Quella delle biciclette,  vittime seriali sulla strada, è la categoria più esposta ai rischi della circolazione, assieme ai pedoni”, ha dichiarato il presidente Giordano Biserni, illustrando i dati dell’ISTAT che l’ASAPS rielabora per la redazione dell’Annuario della Sicurezza Stradale 2011.
Nel corso del 2009 i ciclisti che hanno perso a vita sulle strade italiane, secondo i dati ufficiali recentemente pubblicati, sono stati in tutto 295 (quasi due gruppi di corridori del Giro d’Italia) di cui 243 uomini e 51 donne fra i conducenti, con 14.804 feriti: gli incidenti ai velocipedi rappresentano il 3,9% del totale, ma le due ruote senza motore  fanno totalizzare l’8,3% dei morti complessivi e il 5,2% dei feriti.
Rispetto al 2008, quando le vittime accertate furono 288, si è registrato un aumento del 2,4%: in quell’anno gli incidenti che hanno visto coinvolte le biciclette erano stati in tutto 15.636. Solo leggermente meno del 2007 quando gli eventi infortunistici furono, per chi pedala, 15.713.
Dunque, il netto miglioramento rilevato nel rapporto tra il 2008 e il 2007, quando le vittime erano state 352, non è stato confermato nel dato rilevato nel 2009, segno che la strada da percorrere a tutela delle utenze deboli della strada (pedoni 667 vittime e ciclisti 295), è ancora lunga. Infatti, l’indice di mortalità medio per categoria di veicolo è pari allo 0,9% mentre risulta più che doppio per le biciclette (1,9%); analogamente, l’indice di lesività per i velocipedi è pari al 93,3%, mentre quello medio è attestato al 71,3%.
Al modello della circolazione normale, che è quello delle aree pianeggianti ed urbane del nostro paese, in cui le piste ciclabili sono ancora limitate agli illuminati esempi nel nord Italia, con eccellenze in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, si aggiunge il fattore di rischio del cicloturismo sportivo domenicale: questo fenomeno è in forte espansione ormai da anni ed è caratterizzato da proprie peculiarità e caratteristiche, come ad esempio la circolazione in gruppo, e che ha come scenario principale le strade statali e provinciali, che, come è noto, rappresentano il luogo più letale in assoluto: la SS18 a Lamezia Terme, dove è avvenuta la sciagura, ne è una piena dimostrazione. Sulle strade extraurbane si sono registrati nel 2009 ben 1.995 morti: 1.892 sono i decessi in ambito urbano e 350 in quello autostradale. Mentre l’indice di mortalità medio è di 2,0, e sulle strade urbane 1,2, sulle statali e provinciali raggiunge la cima di 5,1. Non sembri banale, ma ritorna sempre con la consueta drammaticità il tema dei controlli su strada mirati alle condizioni psicofisiche dei conducenti  e a quelle di manutenzione del veicolo.
Nonostante tutti questi morti, la bici, in Italia, serve a percorrere appena il 3,8% degli spostamenti urbani. Lo dice una ricerca di Legambiente, uscita a gennaio 2009. I capofila dell’uso delle due ruote rimangono Olanda (27%) e Danimarca (18%), seguiti da Svezia (12,6%), Belgio e Germania (10%), Svizzera (9%), Finlandia (7,4%) e Irlanda (5,5%). Dopo di noi la Francia (3%) e Regno Unito (2%). L’estensione delle piste ciclabili, nel nostro Paese, è più che raddoppiata tra il 2000 e il 2007, passando dai poco più di mille chilometri iniziali agli oltre 2.400 km, ma di pedalare di più non se ne parla. Milano ha visto crescere del 150% l’uso del velocipede, almeno tra il 1995 ed il 2005, ma le distanze percorse in Italia sono inferiori, e parecchio, rispetto a quelle delle città europee più ciclabili: secondo Legambiente, nello Stivale si pedala mediamente per 400 metri al giorno; i danesi lo fanno per 2,6 km, gli olandesi per 2,3.  Se in Italia si serra la vite, a Londra è arrivato, a metà settembre, il via libera per i ciclisti a percorrere contromano le strade della City. I segnali di divieto saranno ritoccati con l’aggiunta “eccetto che per i ciclisti”. Il messaggio è chiaro: chi usa la bicicletta non va punito ma premiato. Per ora il progetto sarà sviluppato al “Royal Borough di Kensington e Chelsea”, anche se per il futuro c’è la volontà di estenderlo all’intera rete viaria di Londra. Nel caso l’esperimento dovesse avere successo, potrebbe essere introdotto anche in altre città britanniche. Dal Cyclists’ Touring Club è arrivata anche la proposta di limitare la velocità delle macchine a 20 chilometri all’ora nelle strade interessate al progetto.
Esempio britannico a parte, se l’uso della bici in Italia è così limitato e limitante, perché è così pericoloso andarci?
Un’interessante pubblicazione dal titolo “Gli incidenti stradali relativi ai veicoli a due ruote”, messa on-line sul portale ISTAT a partire dal 22 gennaio 2007, ha evidenziato che  ogni giorno del 2005 , in Italia, aveva visto il coinvolgimento di un veicolo a due ruote in almeno 256 eventi infortunistici dei 617 quotidianamente rilevati, con la morte giornaliera di 5 persone ed il ferimento di altre 295. In sostanza, il 41% del totale, permettendoci di affermare che le due ruote, nel 2005, “hanno ucciso” 1.852 persone, mentre altre 107.670 hanno subito lesioni di varia gravità. Tanti, tantissimi, ma operando una opportuna differenziazione tra i veicoli motorizzati (motocicli e ciclomotori) e quelli a trazione umana (velocipedi), scopriamo che per un ciclista, incorrere in un incidente mortale è sempre più frequente.
Secondo i dati illustrati da Federmobilità, l’associazione che riunisce gli assessorati ai trasporti di livello Regionale, Provinciale e Comunale, nel corso del workshop organizzato presso il CNEL nel 2009 “per una mobilità urbana più sicura e sostenibile”, andare in bicicletta nelle città italiane è 9 volte più pericoloso rispetto allo spostamento in auto, mentre camminare a piedi aumenta la possibilità di incidente del 7%. Potremmo osservare che le attenzioni per i ciclisti ed i pedoni, nonostante i timidi (ma importanti) segnali di mutazione della coscienza, restano al momento casi più unici che rari.
Infatti, pirati ed ubriachi a parte, le attenzioni sono tutte per i motociclisti, senza che si riesca a far convergere sull’utenza più pacifica e meno inquinante di tutti alcun interesse mediatico. Per dare una misura del dramma, è sufficiente pensare all’equivalente di due gruppi del Giro d’Italia eliminati dalla gara della vita.
Tra le cause di questa continua crescita del numero di incidenti ai velocipedi, è probabile che ci sia un atteggiamento degli altri utenti – automobilisti in testa – sempre meno attento verso questa categoria debole. Con una parte di responsabilità, sia chiaro, anche  degli stessi ciclisti, spesso inosservanti delle più elementari regole della strada che pur vigono anche per questa categoria, ma vengono interpretate in modo molto approssimativo e disinvolto. Si pensi alla mancanza delle luci. (ASAPS)

 

Martedì, 07 Dicembre 2010
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