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Articoli 04/08/2010

I suicidi della strada
Quando la tragedia è doppia

L’abuso di alcolici e le relative conseguenze per la patente, con il percorso di verifica, sono la prima causa scatenante
 



E’ possibile che una persona arrivi a voler morire per aver perso la patente di guida? La risposta la fornisce la cronaca con una serie di dati secchi ed eloquenti: sì. Sembra però, dalle nostre ricerche, che a porre in atto condotte suicide siano solo quelli che hanno perso il diritto a guidare a seguito di controlli alcolemici. E anche se per un solo fatto tragico come questo ne contiamo migliaia causati da persone in stato di ebrietà, abbiamo deciso di analizzare questa particolare nicchia di violenza stradale chiaramente alcol correlata. Perché non si toglie la vita chi ha superato i limiti di velocità, ha sorpassato in curva oppure, e sono tanti, chi ha percorso la corsia d’emergenza in autostrada? Eppure, a conti fatti, il risultato è più o meno lo stesso. L’unica differenza apparente è che l’ebbro colto in flagranza di guida, finisce nelle maglie del processo penale: ci si deve affidare ad un legale, si subisce l’onta del processo, si entra in un circuito per riottenerla che fa davvero spavento. Ed è proprio quest’ultimo aspetto, del percorso per poter tornare a circolare, che sembra rendere diverso, in peggio, il ritiro alcolico da quello velocistico. Alla Commissione Medica Locale per le patenti di guida, dove ci si deve presentare prenotando una visita, le liste d’attesa sono lunghissime. Per avere una data, si devono compilare moduli, pagare bollettini per un importo di circa 30 euro. Quando ci si presenta, ci si trova in file chilometriche, con numerini da prendere e percorsi non sempre molto chiari da seguire. In genere si comincia con una visita anamnestica ed un controllo oculistico classico, ma è solo l’inizio. Successivamente bisogna presentarsi al Ser.T. di zona: parliamo del Servizio Tossicodipendenze, dove l’esame dell’urina servirà a ricercare l’eventuale presenza di sostanze stupefacenti. Si pagano ancora un ticket, in genere di 55 euro, e poi tocca all’esame del sangue. Coi risultati ci si deve presentare all’U.O. di Psichiatria, ma un secondo prelievo ematico precede un ulteriore colloquio con il medico psichiatra. Quando anche il secondo referto del prelievo è pronto, in genere trascorrono un paio di giorni, lo psichiatra dà il nullaosta, ma bisogna riportarlo alla Commissione Medica, che riesamina la pratica e se tutto è a posto rinnova la patente. Per due anni. Il circuito è lungo e sono in molti a criticare l’asprezza di un percorso che, una volta provato sulla propria pelle, potrebbe anche costituire un valido deterrente. Per i tanti recidivi che decidono di sostenere più di una volta un percorso del genere, si potrebbe invocare la revoca del titolo alla guida per sopraggiunta infermità mentale, oltre che per le problematiche alcol correlate. Comunque la si veda, c’è chi considera questo percorso un classico della farraginosa burocrazia di uno stato apparato e chi, invece, una delle poche grane vere alle quali va incontro chi commette un reato.

Tuttavia, chi decide di togliersi la vita dopo un etilometro positivo, non lo fa quando si accorge della tortuosità del percorso che lo attende ma, parliamo sempre in linea generale, nelle ore immediatamente successive all’accertamento. Si osserva che esiste una forte componente di ostilità alla norma che cerca di porre un freno agli incidenti stradali nei quali sia presente almeno un conducente col gomito eccessivamente alto: c’è chi considera la soglia legale alcolica come un attentato alla cultura enologica dell’Italia, chi attribuisce alla crescente assiduità dei controlli una buona parte della crisi della ristorazione, e chi considera il conducente sorpreso in stato di ebbrezza come un cittadino ingiustamente vessato. In un articolo apparso il 27 novembre 2009 sul quotidiano “Alto Adige”, il partito autonomista Volkspartei è tornato a chiedere la provincializzazione delle forze dell’ordine (troppo poche quelle di lingua tedesca), l’attribuzione delle competenze del commissario di governo al presidente della provincia autonoma e una gestione meno severa dei controlli, sia quelli fiscali che relativi, appunto, all’ebbrezza.
È certamente difficile trovare leggi che possano andare bene a tutti ed è altrettanto difficile pensare che tutti i casi di violazione delle norme corrispondano ad un identico standard. Ma la forza di una società civile, ci sembra lo dicano tutte le costituzioni democratiche moderne compresa la nostra all’articolo 3, sta nelle regole che ha saputo darsi. Questo non toglie che a volte, per singoli casi, l’applicazione di una determinata legge possa avere risvolti terribili in chi quella norma l’ha violata; nello stesso modo ci viene difficile pensare che il legislatore possa trarre piacere dal rendere sempre più severa una norma, come quella della guida in stato di ebbrezza con tutti i risvolti di natura amministrativa che si aggiungono all’esercizio dell’azione penale. Legge odiosa, che, secondo molti, rappresenterebbe un’ingerenza indebita dello Stato sulla libertà individuale, contraria – come si è detto qualche mese fa nella trasmissione di Porta a Porta – ad un paese che reclama il bere consapevolmente (non solo culturalissimo vino, ma anche grappa alla fine del pasto); legge necessaria, che sancisce soprattutto la libertà di tornare a casa senza essere ammazzato o ferito da una persona ebbra. Leggasi “ebbra” e non “ubriaca”.

Se prendiamo per buono il dato statistico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, scopriamo che 3 incidenti su 10 sono dovuti all’assunzione di bevande alcoliche e spesso chi non torna a casa è l’innocente di turno: l’occupante o il conducente sobrio di un’auto che se ne andava per fatti suoi, il passeggero di un autista bevuto, un pedone sulle strisce, un ciclista, un motociclista. La lista è lunga ed evidenzia le possibilità più disparate. Il 26 febbraio 2009, mentre a Trento un uomo si suicidava per aver perso la patente ad un controllo alcolemico, a Rimini un uomo senza patente, perché già sospesa per ebbrezza, provocava un gravissimo incidente, ancora un volta in stato di ebbrezza. Lo scrive Maurizio Caprino nel suo blog sulla versione online de Il Sole 24 Ore, in un pezzo dal titolo “La norma è severa. Qualcuno si suicida, qualcuno se ne frega”. Caprino, sulla sua pagina, riporta la frase sentita da un anonimo ispettore della Polizia Stradale: “la strada è puttana”. “Insomma – scrive il giornalista blogger – una stessa norma può essere tanto severa da far suicidare qualcuno e tanto poco temuta da spingere qualcun altro a violarla senza ritegno. Dipende dalle persone e dalle situazioni”. La vicenda di Giuseppe Giunchi, in tal senso, è esemplare e straziante al tempo stesso. Giunchi, nel maggio 2008, era rimasto coinvolto in un incidente stradale nel quale persero la vita i coniugi Stefano Gramellini e Francesca Casadio, mentre le due figlie di 4 e 5 anni rimasero gravemente ferite. Gli fu riscontrato un tasso alcolemico di 1,19 g/l e venne rinviato a giudizio per duplice omicidio colposo, lesioni colpose gravi e guida in stato d’ebbrezza.

La Procura aveva proposto un patteggiamento non inferiore a quattro anni e sei mesi di reclusione, rifiutato dal legale dell’uomo, che, diabetico, si era nel frattempo chiuso in uno stato di depressione ed apatia che, alla fine, lo ha condotto alla morte, rifiutando ogni cura. Quando ha cessato di vivere, il 19 novembre 2009, pesava poco più di 30 chili. Era diabetico ed aveva sempre attribuito quel tasso così alto agli effetti dei farmaci sull’unico Campari che si era concesso quella sera. In casi come questo, è possibile affermare che l’incidente assuma effettivamente i connotati di violenza vera e propria, che travolge non solo la vita di chi subisce passivamente la condotta di un altro, ma anche la vita di colui che ha provocato lo stesso evento. Si chiama rimorso. Il suicidio, però, è altra cosa. Secondo gli esperti, sono pochissimi i casi in cui un suicida sia giunto a prendere una decisione del genere in maniera istantanea. Secondo un trattato del dr. Roberto Cavaliere, “ciò avviene solo in persone che hanno un grave disturbo psichiatrico (ad esempio depressione) o che si trovano ad affrontare situazioni di vita che ritengono estreme ed insopportabili (ad esempio un’improvvisa carcerazione). Uno studio di Luigi Manconi (“Suicidi e atti di autolesionismo”: i dati di una ricerca) che ha analizzato i dati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha rivelato che in carcere ci si ammazza 19 volte di più che in libertà. Sul complesso dei suicidi avvenuti in carcere nel 2000 e nel 2001, una percentuale significativa, superiore al 22%, riguarda detenuti per reati “di ridotto o ridottissimo rilievo penale e sociale”, tra cui guida senza patente. Secondo l’associazione “suicidiologia”, l’uso dell’alcol può rivelarsi fatale per una persona che soffre di depressione. “Tentare di alleviare i sintomi della depressione bevendo alcol o usando droghe può aumentare il rischio di suicidio alterando l’impulsività”, mentre uno dei più autorevoli esperti italiani in materia, il professor Maurizio Pompili, referente italiano della International Association for Suicide Prevention (IASP) e ricercatore alla Sapienza di Roma, sarebbero le nostre sicurezze, quando vacillano messe alla prova nella quotidianità della vita, a creare smarrimento e ad ingenerare “un sentimento di inquietudine, disperazione e sfiducia che avvolge le nostre emozioni”. Pompili, che ha molte pubblicazioni al suo attivo, nel suo “Perché il suicidio”, spiega che in alcuni casi non si riescano a superare ostacoli che finiscono con l’apparire insormontabili ed è a questo punto che “il suicidio è la migliore soluzione ad una vita che sembra non portare nulla di buono”. È evidente che, per una persona alla quale si tolga uno strumento come la patente di guida, l’immediato futuro si prospetti come impossibile da affrontare. L’agente di commercio privato della patente di guida, che non può contare su persone che lo aiutino nella sua professione, si trova privato della possibilità di lavorare e, dunque, di vivere. In questo senso, dunque, l’atto suicidario si prospetta come una reazione. Roberto Cavaliere, nel suo trattato, cita l’esempio dello studente che reagisce alla bocciatura dandosi la morte. “Quello che è importante non è tanto l’evento in sé, ma il significato che questo assume per la persona che sta male. Perciò, può succedere che quello che agli occhi del mondo può apparire come un piccolo insuccesso, abbia un effetto devastante sull’autostima in costruzione del giovane”. La domanda che viene da porsi, a questo punto, è: perché non si trovano, nella cronaca o nella nostra esperienza professionale, casi di suicidio legati al ritiro di patente di per sé, ma solo nei casi legati all’ebbrezza alcolica?
L’autore di questo articolo, che è operatore di polizia, ha soccorso, nel 1999, un autotrasportatore padroncino che, a seguito di un principio d’incendio del proprio camion, si era ustionato le mani nel tentativo (riuscito) di domare le fiamme. L’estintore di bordo si era esaurito ed allora lui provvide a soffocare il fuoco con la camicia.
L’uomo si giustificò dicendo che quel camion era la sua unica fonte di sostentamento. L’episodio è propedeutico agli scopi di questa ricerca, perché una delle infrazioni più diffuse per gli autotrasportatori è il divieto di sorpasso autostradale, fattispecie per la quale è prevista, tra le sanzioni accessorie, la sospensione di patente (art. 148/14° CDS) da uno a tre mesi, ma ciò nonostante non si ha notizia di trasgressori che si siano resi autori di atti anticonservativi di loro stessi. La mole di informazioni sul suicidio è impressionante e non consente, al ricercatore laico, di arrivare a conclusioni. Tuttavia l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) fornisce del suicidio l’enunciazione di un problema complesso, non ascrivibile ad una sola causa o ad un motivo preciso. Vi si arriva nella stragrande maggioranza di casi al termine di “una complessa interazione di fattori biologici, genetici, psicologici, sociali, culturali ed ambientali”.
Oltre il 90% dei soggetti che si tolgono la vita, hanno sofferto di malattie psichiatriche. Ciò corrisponde con l’apparentemente bassa incidenza del suicidio sul complesso dei conducenti colti in flagranza di stato di ebbrezza. L’unico fattore ricorrente, è l’alcol, messo in testa tra i fattori di rischio per il suicidio proprio dopo la patologia psichiatrica.
A Busca (Cuneo), il 6 giugno 2009, un 33enne disoccupato, sottrae l’auto della madre e provoca un incidente, dandosi poi alla fuga. I Carabinieri scoprono la sua identità e si recano presso la sua residenza, dove lo trovano impiccato con una corda legata alle travi di una tettoia, in cortile. Si era appena lasciato cadere da una sedia. I militari hanno sollevato il corpo e tagliato la fune, liberando il giovane e chiamando poi il personale del 118. Il giovane, che era in ebbrezza alcolica, si è salvato. Intanto i Carabinieri ritrovavano l’auto, nascosta alla periferia della cittadina e scoprono che era senza patente perché non l’aveva mai presa.
Ma allora: è possibile intervenire e ridurre il rischio che questi stress portino chi li subisce a commettere atti così definitivi?

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Foto Coraggio - archivio Asaps

Secondo Monica Zermiani, Claudia Rimondo e Giovanni Serpelloni – autori del rapporto “Servizio di counselling:la gestione di un disagio negli interventi su strada” nell’ambito del progetto “Drugs on street: no crash” – il ritiro della patente di guida per uso di alcol e sostanze stupefacenti (tutte, comunque, psicoattive), “può costituire un fattore che scatena una crisi nel soggetto sia per la conseguente riduzione di autonomia di spostamento, sia per lo stress che la procedura di controllo comporta”, riferendosi alla specificità del controllo operato ed alla conseguenza in termini amministrativi e penali della condotta accertata. Per chi, il ritiro, comporta anche la perdita del posto di lavoro, lo stress diviene crisi vera e propria. “Generalmente – dicono i tre ricercatori – si parla di crisi per descrivere un grave evento, un momento critico o un periodo di grande pericolo e difficoltà nel corso della vita di un individuo”. È vero che certi eventi possono costituire una condizione critica per alcuni soggetti, ma si tratta di casi effettivamente rari, se non rarissimi. La Polizia Stradale, nel solo 2008, ha denunciato 29.854 persone per guida in stato di ebbrezza alcolica e 2.561 per guida sotto l’effetto di stupefacenti. Eppure, nello stesso periodo, abbiamo trovato traccia di soli tre eventi suicidari legati al ritiro di patente per questi motivi.
Si tratta di un fenomeno raro, dunque, ma che non deve per questo essere trascurato. Secondo Zermiani, Rimondo e Serpelloni, “le evidenze dimostrano che chi riceve un immediato appoggio sociale nei confronti della conseguenza derivante da una crisi sta meglio di chi viene lasciato solo a gestire la situazione”. Trasformare gli operatori di polizia in assistenti sociali? Assolutamente no ma, su questo concordiamo, è possibile ottimizzarne la professionalità e raggiungere, come avviene in molti stati del Nord Europa, un atteggiamento non aggressivo, che informi i conducenti di come il controllo si articolerà ed a cosa siano finalizzate le procedure. Ciò, e questo è il parere dei tre ricercatori, al fine di ridurre i livelli di ansia che si generano vivendo tale esperienza. Alcune pattuglie della Sottosezione Polizia Stradale di Firenze Nord, che vantano un forte impegno nel contrasto alle ebbrezze nell’ambito di attività spesso congiunta con le polizie locali in prossimità degli svincoli di competenza, hanno empiricamente sperimentato questa attività di counselling sia prima dei controlli etilometrici (dunque di pre-counselling) sia al termine degli stessi (post-counselling), aiutandosi con la riproduzione di filmati illustrativi, power point e animazioni, sulle conseguenze della guida in stato di alterazione su pc portatili personali, ottenendo un abbassamento dei toni ed una riduzione a livelli di zero assoluto di reati alcol-correlati, in primis la resistenza a pubblico ufficiale.
Quel che è certo, è che il suicidio da ritiro di patente è un atto che viene posto in essere da persone già affette da altre patologie, a volte note, altre volte no, quasi sempre in concomitanza all’uso di bevande alcoliche o di sostanze stupefacenti. Dunque, un’infarinatura sui segni premonitori di questo disagio, non stonerebbe.

da Il Centauro 140



di Lorenzo Borselli

L’inchiesta dell’Asaps
Mercoledì, 04 Agosto 2010
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