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Giurisprudenza di legittimità Giugno 2003

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE
Sez. IV, 27 novembre 2002, n. 40121


Guida in stato di ebbrezza " Estinzione del reato
Oblazione " Applicabilità " Sussistenza

 

a cura di Franco Corvino

 

Il reato di guida in stato di ebbrezza, previsto dall’art. 186, comma 2, c.s., in quanto sanzionabile, se giudicato dal giudice di pace, ai sensi del combinato disposto degli artt. 4, comma 2, lett. q), e 52, comma 2, lett. c), del D.L.vo 28 agosto 2000 n. 274 (salvo che ricorra la recidiva qualificata di cui al comma 3 dello stesso art. 52), con pena pecuniaria ovvero con quella della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità (entrambe assimilate, per ogni effetto giuridico, dall’art. 58, comma 1, alla pena detentiva originariamente prevista), deve ritenersi ricompreso tra le contravvenzioni punite con pena alternativa, relativamente alle quali può trovare applicazione, salvo espressa deroga, l’oblazione prevista dall’art. 162 bis c.p.

 

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione 1." Il 25 febbraio 2002 il Tribunale di Pordenone, in composizione monocrativa, dichiarava non doversi procedere nei confronti di P. C. per imputazione di cvi all’art. 186.2 c.s. perché estinto il reato per oblazione. Rilevava il giudice del merito che doveva trovare applicazione il più favorevole trattamento sanzionatorio di cui D.L.vo n. 274/2000, "nonché l’art. 162 c.p., in quanto non perequabile il "lavoro di pubblica utilità" dell’arresto, che costituisce il presupposto " se alternativo all’ammenda " dell’oblazione speciale ex art. 162 bis c.p.".

2.0 " Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Triste, denunziando il vizio di inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, per avere la sentenza impugnata illegittimamente "ammesso l’imputato a definire il reato ascrittogli (…) mediante oblazione ai sensi dell’art. 162 bis c.p.". Richiamato il sistema sanzionatorio ora previsto per il reato in questione, ai sensi dell’art. 52, lett. c), del D.L.vo n. 274/2000, deduce che "la scelta del legislatore appare di tutta evidenza, se si tengono presenti i principi di immediatezza e semplicità del rito innanzi al giudice di pace ed, ancor più, il principio di effettività ispiratore delle pene che tale organo ha facoltà di irrogare. Il ritenere " in maniera assolutamente semplicistica " che il reato è ora punito con pena alternativa e quindi per esso troverebbe applicazione l’istituto dell’oblazione ex art. 162 bis c.p., significa, oltre che eccedere nell’utilizzo dei principi ermeneutici, stravolgere completamente l’impianto della nuova normativa faticosamente messa a punto dal D.L.vo 274/2000".
Prosegue rilevando che il reato in questione "non può semplicisticamente ritenersi punito con pena alternativa poiché oltre alla sanzione pecuniaria non vi è solo la pena paradetentiva della permanenza domiciliare ma anche quella "certamente non detentiva " del lavoro di pubblica utilità (…)"; né varrebbe al riguardo il riferimento agli artt. 52 e 58.1 del novellante disposto normativo, "in quanto tali disposizioni hanno l’evidente funzione di consentire "ad ogni effetto giuridico " la compatibilità di tali nuove sanzioni penali con l’intero sistema giuridico penale"; soggiunge che "appare (…) evidente che il condannato " proprio in virtù del principio di effettività che è uno dei pilastri portanti della nuova disciplina " dovrà necessariamente scontare la pena", alla luce di tale principio dovendo "comprendersi la scelta del legislatore nell’impianto della nuova disciplina (…): operare attraverso nuove sanzioni meno afflittive (…) ma allo stesso tempo effettive e quindi idonee a garantire la tutela della collettività", e "che il principio di effettività sia basilare nella nuova normazione lo si evince chiaramente " oltre che dai lavori preparatori " anche dagli artt. 60 e 62 del D.L.vo 274 che escludono l’applicabilità alle sanzioni del giudice di pace della sospensione condizionale e delle sanzione sostitutive previste dalla L.689/81". Soggiunge, inoltre, che "va ancora considerato che, se la nuova disciplina è più favorevole (…), allora essa si pone ulteriormente in condizione di specialità rispetto alle analoghe norme precedenti di favor rei, nelle quali certamente è da ricomprendere anche l’art. 162 bis c.p.". Conclude rilevando che, "ove si ritenesse applicabile l’oblazione, poiché tale istituto estingue il reato e nessun effetto penale ne consegue (…), ne deriverebbe che coloro i quali abitualmente guidano in stato di ebbrezza e costituiscono sicuramente il pericolo maggiore per la collettività, mediante l’oblazione eviterebbero costantemente anche la possibilità di vedersi aggravare la pena per recidiva e quindi tale istituto verrebbe a vanificare totalmente il principio di effettività"; e, "se si ritenesse applicabile l’oblazione, non potrebbero neppure essere applicate le sanzioni amministrative accessorie previste dagli artt. 222 ss. c.s. (…), ed infatti il giudice di prìme cure non ha applicato misure accessorie".

2.1 " L’imputato ha prodotto memoria difensiva, per mezzo del suo difensore, con la quale confuta la fondatezza del gravame, del quale chiede il rigetto.

3. " E’ d’uopo, innanzitutto, saggiare la esatta qualificazione del mezzo di impugnazione proposto. La L. 24 novembre 1999, n.468, recante, tra l’altro, delega al Governo in materia di competenza penale del giudice di pace, nel suo art. 17, lett. N.), aveva indicato "la previsione della appellabilità delle sentenze emesse dal giudice di pace, ad eccezione di quelle che applicano la sola pena pecuniaria e di quelle di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria", stabilendo, poi, alla successiva lett.O), i limiti della appellabilità di tali sentenze da parte dell’imputato.

 

In attuazione di tale delega, l’art. 36 del D.L.vo n.274/2000 reca, nel suo primo comma, che "il pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria e contro le sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena alternativa", e nel suo secondo comma che "il pubblico ministero può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze del giudice di pace". Posto, dunque, che avverso le sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena alternativa (come quello che qui interessa) è dato al P.M. di proporre appello, quel disposto normativo deve, nondimeno, essere ragguagliato con le altre disposizioni generali e codicistiche sulle impugnazione, e così, non solo (quanto, specificamente, al gravame del P.M.) con l’art. 608, primo, secondo e terzo comma, c.p.p. (che riconosce il potere di ricorso del pubblico ministero avverso le sentenze di condanna o di proscioglimento pronunziate in grado e le sentenze inappellabili); ma anche con l’art. 569 c.p.p. (peraltro espressamente richiamato dall’art.608, quarto comma), a termini del quale "la parte ha diritto di appellare la sentenza di primo grado può proporre direttamente ricorso per cassazione", salvi i "casi previsti dall’art. 606, comma 1, lett. D) ed e) ", nei quali "il ricorso eventualmente proposto si converte in appello".

Gli artt. 63, 64 e 65 del D.L.vo n. 274/2000 hanno, tuttavia, dettato disposizioni finali e transitorie. L’art. 64, in particolare, dispone che le norme di tale decreto legislativo (recante "Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre, n.468", entrato in vigore il 2 gennaio 2002 per effetto dell’art. 1, secondo comma, del D.L. 18 aprile 2001, n.91, convertito con modificazioni in L. 3 maggio 2001, n.163) si applicano ai reati commessi dopo la sua entrata in vigore e che, "ferma l’applicabilità dell’art.2, comma terzo, del codice penale, nei procedimenti relativi a reati commessi prima dell’entrata in vigore del presente decreto legislativo si osservano le disposizioni dell’art. 63, commi 1 e 2 (…)". Soggiunge, nel secondo comma, che quando si tratta di reati commessi prima della entrata in vigore di tale testo normativo ma "dopo la pubblicazione del presente decreto (6 ottobre 2000), si osservano anche le disposizioni del titolo I (tra le quali l’art. 36) se alla data di entrata in vigore non è ancora avvenuta l’iscrizione della notizia di reato".

L’art. 63, a sua volta, stabilisce che "nei casi in cui i reati indicati dall’art.4, commi 1 e 2, sono giudicati da un giudice diverso dal giudice di pace, si osservano le disposizioni del titolo II del presente decreto legislativo (artt.52"62), nonché, in quanto applicabili, le disposizioni di cui agli artt. 33, 34, 35, 43 e 44": ne rimane, quindi, esclusa, l’applicabilità, per tali reati commessi anteriormente alla entrata in vigore della legge, dell’art.36.

Nella specie, ancorché nella imputazione trascritta in sentenza non venga indicata l’epoca del commesso reato, questo, riportandosi in epigrafe della sentenza medesima che il procedimento è stato iscritto al "n. 859/00 R.G. notizie di reato", deve ritenersi commesso prima della entrata in vigore del D.L.vo n. 274/2000 (come del resto dà contezza la ritenuta competenza del giudice a quo) e la relativa iscrizione nel registro delle notizie di reato è avvenuta prima della entrata in vigore dl decreto legislativo in questione.

Ne consegue che, non essendo evocabile nella specie, per come s’è detto, l’art. 36 del D.L.vo in questione, deve trovare, invece, applicazione all’art. 593.3 c.p.p., a termini del quale "sono inappellabili (…) le sentenze di proscioglimento o di non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa" (e tale ultima ipotesi ricorre nel caso di specie, come più oltre si dirà). Il proposto ricorso deve, dunque, ritenersi ritualmente esperito, ai sensi del precitato art. 593.3 c.p.p.

4. " Il P.G. ricorrente si duole, specificamente, del fatto che il giudice del merito abbia dichiarato la estinzione del reato per oblazione ai sensi dell’art. 162 bis c.p. salvo quanto più oltre si dirà sulla inesattezza di tale richiamata circostanza, quanto alle dedotte censure che investono, più in generale, la questione se sia applicabile o meno ai reati di competenza per materia del giudice di pace l’istituto della oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162 bis c.p., giova, anzitutto, premettere che, com’è noto il D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, ha attribuito alla competenza per materia del giudice di pace i reati di cui all’art. 4 di tale testo normativo, tra i quali (secondo comma, lett. q, l’art. 186, comma 2 del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285 (c.d. codice della strada), ferma restando la competenza del tribunale per i minorenni.

Ha, altresì, modificato, nell’art. 52, il regime sanzionatorio per tali reati, tra l’altro stabilendo, nel secondo comma, lett. c), per quanto nella specie interessa, che "quando il reato è punito con la pena della reclusione o dell’arresto congiunta con quella della multa o dell’ammenda, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da lire un milione e cinquecentomila (ora euro 774,69) a cinque milioni (ora euro 2.258,28) o la pena della permanenza domiciliare da venti giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da un mese a sei mesi". Stabilito nell’art. 52 il contenuto dell’obbligo della permanenza domiciliare (e, tra l’altro, la sua durata minima, sei giorni, e massima, quarantacinque giorni), ha disciplinato nel successivo art. 54l a pena del lavoro di pubblica utilità, stabilendo, tra l’altro (primo comma) che tale pena può essere applicata "solo su richiesta dell’imputato" (con D.M. 26 marzo 2001 sono state determinate le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità).

Con l’art. 58, poi, sono stati indicati gli effetti delle sanzioni (nuove rispetto alla previsione di cui all’art. 17 c.p.) ed i criteri di ragguaglio, stabilendosi che "per ogni effetto giuridico la pena dell’obbligo di permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria".

L’art.60, inoltre, reca che "le disposizioni di cui agli artt. 163 e seguenti del codice penale, relative alla sospensione condizionale della pena, non si applicano alle pene irrogate dal giudice di pace". E l’art. 62 esclude l’applicabilità di altre misure sostitutive della detenzione, di cui alla L. 24 novembre 1981, n.689.

5. " Alla stregua, dunque, di tale sopravvenuta disciplina normativa, il reato di cui all’art.186.2 c.s. (tranne l’ipotersi di recidiva reiterata infraquinquennale, di cui all’art. 52.3, che nella specie non è contestata nel capo di imputazione) deve ritenersi ora punito con pena alternativa. In particolare, poiché l’obbligo di permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria, "ad ogni effetto di legge", il reato deve ritenersi punito con pena alternativa, pecuniaria o detentiva. Tale parificazione, attesa la sua applicazione "ad ogni effetto di legge", che non lascia margini a distinzioni o diverso apprezzamento al riguardo, non può non rilevare anche in riferimento agli istituti contemplati nella legislazione generale, podistica (esplicando, effetti, quindi, ad esempio, anche ai fini del computo del termine prescrizionale, ai sensi degli artt. 157 e 160 c.p.).

6. " Non può revocarsi in dubbio che l’istituto della oblazione, di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p., abbia carattere generale, e sia come tale applicabile a tutte le contravvenzioni per le quali la legge stabilisca la sola pena dell’ammenda (art. 162 c.p.), ovvero la pena, alternativa dell’arresto o dell’ammenda /art. 162 bis c.p.), salve eventuali espresse deroghe normative. In particolare, per quanto riguarda l’art. 162 bis c.p., giova richiamare che tale oblazione non è ammessa, per come recita la norma, nei casi previsti dagli artt. 99, terzo capoverso, 104, 105 c.p., o quando permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore, e che, "in ogni altro caso", il giudice può rigettare la relativa richiesta, "avuto riguardo alla gravità del fatto". Rispetto, dunque, all’analogo istituto disciplinato dall’art. 162 c.p., sono aggravate le condizioni di ammissibilità al beneficio (anche quanto all’importo da versare a titolo di oblazione, la metà del massimo dell’ammenda, anziché un terzo), peraltro sottoposte ad una conclusiva valutazione discrezionale del giudice quanto alla gravità del fatto, evidentemente valutabile secondo i criteri indicati dall’art. 133.1 c.p., senza, quindi, che possa operare l’automaticità del meccanismo estintivo di cui all’art. 162.

7. " Alla stregua delle nuova disciplina approntata dal legislatore, non vi sono ragioni per escludere l’applicabilità di tale istituto ai reati di competenza del giudice di pace.

Attesa la già ricordata portata generale dell’istituto, una siffatta esclusione, per vero, non è affatto prevista del testo normativo suindicato. La generalissima norma di cui all’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile (c.d. preleggi) reca che "nell’applicare la legge penale non si può ad essa attribuire altro significato che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore". Se (come è stato annotato in dottrina) la maggiore debolezza di tale norma sta nella omessa esplicitazione di un ordine gerarchico tra i canoni indicati, rimane che lo spazio interpretativo (semantico, logico"sistematico, teleologico, storico) non può comunque prescindere dalla significazione letterale, ancorché riguardata nella massima espansione linguistica del testo normativo.

Sotto il profilo della voluntas legis nel suo insieme, poi, ben è vero che " come richiama il ricorrente " l’art. 60 del D.L.vo n. 274/200 ha espressamente escluso il beneficio della sospensione condizionale delle pene irrogate dal giudice di pace e l’applicabilità si sanzioni sostitutive, ai sensi della L. n. 689/1981. Ma, quanto alla prima di tali previsioni, per intanto può osservarsi che, se l’intero testo normativo fosse improntato all’onnicomprensivo principio di effettività nei termini evocati dal ricorrente medesimo (nel senso, cioè, che una pena deve essere comunque irrogata e espiata: della sanzione amministrativa accessoria più oltre si dirà), tale disposizione (dettata solo in riferimento agli artt. 163 ss. c.p.) sarebbe, per verso, superflua ed inutilmente descrittiva solo di una delle ipotesi in cui verrebbe a concretarsi quel generale e cogente principio. Epperò, a ben vedere, la effettività della pena attiene al momento sanzionatorio del commesso reato, che consegue ad una intervenuta condanna; essa non è affatto estensibile " ed è anzi estranea " ai momenti che precedono l’intervento ed il dictum sanzionatorio e quindi alle ipotesi comportanti la estinzione del reato. E d’altra parte, la estinzione del reato che, ai sensi dell’art. 167 c.p., consegue alla osservanza degli obblighi da parte del condannato, nei termini stabiliti, opera su piano diverso dalla estinzione del reato disciplinata dagli art.. 162 e 162 bis c.p.: la prima comporta l’estinzione del reato dopo l’irrogazione della pena ed impedisce che questa abbia esecuzione, la seconda prescinde del tutto " siccome avviene in momento antecedente " da una pena irrogata ed esclude che, intervenuta a quel momento la estinzione del reato, una pena possa conseguentemente essere irrogata.

L’inserimento nel testo normativo della specifica disposizione di cui al citato art. 60 dà contezza, invece, della voluta deroga, predisposta dal legislatore, alla normativa dettata dagli artt. 163 e ss. c.p., deroga evidentemente " e peraltro secondo i principi generali in tema di interpretazione delle leggi e di estensione o limitazione di previsioni normative " ritenuta da necessariamente esplicitare per escludere la applicabilità di quella normativa generale, altrimenti applicabile anche a tali reati. Necessariamente conseguente ed ineludibile è la considerazione che si fosse inteso derogare anche all’istituto generale dell’oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162 bis c.p., tanto avrebbe egualmente costituito oggetto di specifica disposizione normativa. Né è possibile, per addivenire a diversa conclusione, evocare al riguardo un procedimento interpretativo di tipo analogico. Per vero, innanzitutto occorre considerare che " come pure rileva autorevole dottrina " interpretazione ed analogia, pur possedendo in sé una medesima struttura logica (anche l’interpretazione procede analogicamente), non sono fra loro sovrapponibili, giacché l’interpretazione presuppone pur sempre che si rimanga nei confini di una possibile significazione letterale, laddove l’analogia (argumentum a simili, ovvero il ricorso a casi "casi simili o materie analoghe", come recita l’art. 12.2 delle preleggi) va oltre la interpretazione e "si fonda su una lacuna dell’ordinamento, accertata proprio in sede di interpretazione della norma nel contesto del sistema" (cfr. anche Cass., sez. V, n. 9392/1991).
Ma il procedimento analogico in malam partem è precluso, in materia penale, dall’art. 14 delle preleggi, risultando incompatibile col principio di legalità sancito dall’art. 1 c.p., costituzionalmente garantito dall’art. 25.5 della Costituzione: e del resto neppure si appaleserebbe possibile la individuazione di un’area di similarità, definibile per identità di ratio, tra gli istituti di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p. da un lato e dagli artt. 163 ss. c.p. dall’altro. Quanto, poi, alla inapplicabilità delle altre misure sostitutive alla detenzione, di cui all’art. 62, tale disposto normativo è del tutto neutro rispetto alla questione che qui rileva: l’art. 60 della L. n.689/1981 già contiene (altre) esclusioni oggettive dalla applicabilità delle sanzioni sostitutive e la previsione dell’art. 62 del D.L.vo n. 274/200 non fa altro che aggiungere a quella previsione, così oggettivamente ampliandola, altri reati, quelli ora di competenza del giudice di pace, il tutto nel legittimo esercizio dell’esclusivo potere normativo al riguardo riservato al legislatore.

8. " Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno, in passato, già avuto modo di rilevare (sent. n. 10/1988) che, rientrando l’istituto dell’oblazione di cui all’art. 162 bis c.p. nella nuova filosofia generale dell’intervento penale, volto in maniera assai più accentuata che nel passato a realizzare la deprocessualizzazione attraverso una rapida uscita dal sistema penale di chi ha commesso violazioni che comportino minor danno sociale, non vi sono ragioni preclusive, né ostacoli ermeneutici, che impediscano l’ingresso di tale istituto nel settore penale speciale (si trattava, in quella occasione, di violazione finanziarie).

9. " Ad escludere l’applicabilità dell’istituto in specifico riferimento all’art. 162 bis c.p. non può valere la considerazione che nel lessico della norma si faccia riferimento alla pena alternativa "dell’arresto", non più prevista dall’art. 52 del D.L.vo n. 74/2002, che l’ha sostituita con la sanzione coercitiva dell’obbligo di permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità. Già s’è detto, difatti, che ai sensi dell’art. 58 del D.L.vo n. 274/2000, tali sanzioni si considerano "come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria" e tanto "per ogni effetto giuridico".
E, ben oltre anche il rilievo assorbente di tale dettato normativo, sotto un profilo di ordine generale e di voluntas legis sarebbe del tutto inaccettabile ritenere che nella volontà del legislatore l’istituto in questione sarebbe applicabile ove venga edittalmente prevista la pena dell’arresto, e sarebbe invece applicabile ove la previsione normativa contemplasse una sanzione sicuramente meno grave ed afflittiva, come le sanzioni coercitive suindicato.

10. " A diversa conclusione non può indurre neppure l’ulteriore rilievo del ricorrente, a termini del quale, "ove si ritenesse applicabile l’oblazione, poiché tale istituto estingue il reato e nessun effetto penale ne consegue, comprese le iscrizioni al casellario giudiziale, ne deriverebbe che coloro i quali abitualmente guidano in stato di ebbrezza e costituiscono sicuramente il pericolo maggiore per la collettività, mediante l’oblazione eviterebbero costantemente anche la possibilità di vedersi aggravare la pena per recidiva e quindi tale istituto verrebbe a vanificare totalmente il principio di effettività".
La tematica così indotta, difatti, non è affatto propria ed esclusiva dei reati di competenza del giudice di pace ma riguarda tutti i reati oggetto della previsione estintiva di cui all’art. 162 bis c.p., sicché non se ne può affatto inferire una sua autonoma e diversa valenza solo per i reati in questione: e se il principio di legalità si sostanzia, come si sostanzia, nel monopolio del potere legislativo nella formazione della legge penale (per mutuare l’espressione di autorevole dottrina), si appartiene esclusivamente al legislatore la disciplina dell’istituto e la sua estensione, in termini di politica criminale"giudiziaria e conseguenti opzioni normative, nei limiti dei principi consacrati nella Carta fondamentale e della ragionevolezza, e, di tanto preso atto, il giudice non può che limitarsi ad essere la bouche qui pronunce les paroles de la loi, per richiamare la celebre espressione del Montesquieu. Per altro verso, poi " già s’è detto ", l’art. 162 bis c.p. non postula affatto un meccanismo estintivo automatico, giacché il giudice può sempre rigettare l’istanza di oblazione "avuto riguardo alla gravità del fatto"; ed il meccanismo estintivo è del tutto escluso nelle ipotesi già indicate di cui agli artt. 99, terzo cpv., 14, 105 c.p.; anche all’infuori, quindi, di tali ultime ipotesi, l’ammissibilità dell’oblazione è pur sempre condizionata dal limite discrezionale della ritenuta gravità del fatto, ovvero della consistenza, obiettiva della violazione, residuando, quindi, cospicui poteri discrezionali del giudice del merito nell’accogliere o meno la proposta istanza di oblazione.

11. " Quanto, infine, all’ultimo rilievo gravatorio, secondo cui, "se si ritenesse applicabile l’oblazione, non potrebbero neppure essere applicate le sanzioni amministrative accessorie previste dagli artt. 222 ss. c.s. (…), ed infatti il giudice di prime cure non ha applicato misure accessorie", deve, innanzitutto, rilevarsi che l’art. 218 c.s. reca che, "nell’ipotesi in cui il presente codice prevede la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo determinato, la patente è ritirata dall’agente o dall’organo di polizia che accerta la violazione", e, "il prefetto, nei quindici giorni successivi, emana l’ordinanza di sospensione, indicando il periodo cui si estende la sospensione stessa (…)".
Ed hanno al riguardo già rilevato le Sezioni Unite di questa Suprema Corte (sent. n. 2/2002) che "la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida è dotata " e lo sono le sanzioni accessorie in genere, come sottolinea a ragione la dottrina " "di un elevato grado di effettività, in quanto risulta arretrato il momento della loro applicazione sino a farlo coincidere, in alcune ipotesi, con quello dell’accertamento" e ciò perché "a fronte di un fatto che realizza una turbativa effettiva o potenziale dell’interesse pubblico alla sicurezza, il codice predispone, in sostanza, una reazione rigorosa e forte"(…)".

L’art. 224.3 dello stesso c.s., poi, nel disciplinare le sanzioni amministrative accessorie a sanzioni penali, stabilisce che solo la "declaratoria di estinzione del reato per morte dell’imputato importa l’estinzione della sanzione amministrativa accessoria", mentre, "nel caso di estinzione per altra causa, il prefetto procede all’accertamento della sussistenza o meno delle condizioni di legge per l’applicazione della sanzione amministrativa e procede ai sensi degli artt. 218 e 219 nelle parti compatibili".

È cosi, in tal guisa, assicurata la effettività, ed indefettibilità, della sanzione amministrativa accessoria nei casi di estinzione del reato per causa diversa dalla morte dell’imputato: e se per un verso non può dubitarsi che la estinzione a seguito di oblazione rientri nel novero dell’effetto estintivo per "altra causa", per altro verso a nulla rileva che, ai fini della sua concreta applicazione, la sanzione amministrativa accessoria venga applicata non dal giudice ma dal prefetto.

12. " L’argomentare gravatorio del ricorrente muove dal presupposto che, nella specie, il giudice del merito abbia dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta oblazione, ai sensi dell’art. 162 bis c.p. tale assunto è erroneo, giacché alla resa statuizione il giudice è pervenuto applicando non l’art.
162 bis c.p., ma l’art. 162 c.p., come è reso evidente non solo dal contenuto della esplicitata motivazione (come sopra richiamata), ma anche dalla circostanza che, come risulta dagli atti, a fronte dell’indicato massimo della sanzione in euro 2.582,30, ha determinato per l’oblazione la somma di euro 861, pari ad un terzo dell’importo massimo, come prescrive l’art. 162 c.p., non alla metà, come invece vuole l’art. 162 bis c.p.. Non v’è dubbio che, per tutto quanto s’è sopra detto, andava applicata, per la fattispecie in esame, tale ultima norma, non quella dell’art. 162 c.p.. Epperò sul punto ne verbum quidam in ricorso: e poiché ai sensi dell’art. 609.1 c.p.p. il ricorso attribuisce alla corte di legittimità la cognizione del procedimento "limitatamente ai motivi proposti", e non si versa in ipotesi di cui al secondo comma di tale norma, la relativa statuizione non è in questa sede tangibile ex officio.

13. " Il ricorso va, dunque, rigettato. (Omissis). [RV"0301]

 

 

Lunedì, 30 Giugno 2003
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