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Corte di Cassazione 23/04/2002

In caso di incidente mortale si rischia la condanna per omicidio colposo Vietato mettersi alla guida con sintomi di sonno-VIETATO METTERSI ALLA GUIDA CON SINTOMI DI SONNO

Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, sentenza n. 41097 del 19 novembre 2001

CASSETTO:GIURIDICO
FILE:           2001-41097
file: 0004



In caso di incidente mortale si rischia la condanna per omicidio colposo

Vietato mettersi alla guida con sintomi di sonno 

(Cassazione 41097/2001) 
 



E’ vietato mettersi alla guida se si hanno sintomi di sonno. Il cosiddetto "colpo di sonno fisiologico" è un’evenienza del tutto prevedibile che deve consigliare di non porsi affatto alla guida in quelle condizioni e a non proseguire la marcia iniziata. Il monito agli automobilisti arriva dalla Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna per omicidio colposo per un giovane ufficiale. Il ragazzo, dopo una serata in discoteca, pur avendo mostrato segni di stanchezza si era messo alla guida dell’auto, portando con sé un amico; a seguito di un colpo di sonno, era finito contro un albero, e a causa dell’incidente l’amico era morto sul colpo. Condannato per omicidio colposo in primo ed in secondo grado, invano si era difeso in Cassazione. La Suprema Corte, respingendo il ricorso, ha confermato la responsabilità del giovane ufficiale nell’incidente, in quanto, di fronte alla ’’stanchezza’’ e al “pregresso affaticamento”, non avrebbe dovuto mettersi alla guida dell’automobile. (11 febbraio 2002) 
 


 

 

Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, sentenza n. 41097

del 19 novembre 2001

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

IV SEZIONE PENALE

 

SENTENZA

 

Il 4 luglio 1997 il Pretore di La Spezia, Sezione Distaccata di Sarzana, condannava Massimiliano Bonanno, riconosciutegli le attenuanti generiche, a pena ritenuta di giustizia (condizionalmente sospesa nella sua esecuzione, e col beneficio della non menzione della condanna) per imputazione di omicidio colposo; condannava, altresì, l’imputato e il responsabile civile, s.p.a. la Fondiaria Assicurazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore delle costituite parti civili (Elmo Scarpato, Emilia Tortora e Vincenzo Scarpato), cui assegnava delle provvisionali.

Sul gravame dell’imputato e del responsabile civile, la Corte di Appello di Genova, con sentenza del 16 novembre 2000, riduceva la pena inflitta in prime cure, con la prevalenza delle attenuanti generiche di cui al cpv. art. 589 c.p. [1], e confermava nel resto.

Per come si legge in tale sentenza ed in quella integrativa di primo grado, verso le 4,30 del mattino del 10 luglio 1994, l’autovettura Fiat Tempra condotta dall’imputato (e sulla quale viaggiava anche Tommaso Scarpato), giunta all’altezza di un incrocio, aveva deviato verso sinistra, finendo la propria corsa contro un albero posto oltre il margine che delimitava il lato opposto della carreggiata, rispetto a quello di percorrenza del veicolo; dopo la collisione, l’autovettura aveva roteato su se stessa, andando ad urtare un muro di cinta posto oltre l’albero; dopo l’impatto, l’imputato era stato trovato seduto in terra nei pressi dell’autoveicolo; Tommaso Scarpato era all’interno dell’autovettura e per liberarlo dalla lamiera era stato necessario l’intervento dei Vigili del Fuoco: questi era poi deceduto per le lesioni riportate.

Sul posto non vennero riscontrate tracce di pneumatici; il tratto di strada (con carreggiata di 6,9 metri) era rettilineo ed in lieve ascensione, asciutto, la zona era ben illuminata; prima dell’incr9ocio vi era un passaggio pedonale, la velocità massima consentita era di 50 Km/h.

L’imputato e la vittima si erano intrattenuti in una discoteca; l’imputato aveva dichiarato di essere un sottufficiale della Marina Militare, imbarcato su una nave: aveva svolto l’ultimo servizio di guardia la notte precedente quella del fatto che qui occupa, dalle ore 20 alle 24; era, quindi, sbarcato, verso le 14; aveva incontrato l’amico, col quale si era dato appuntamento in quella discoteca, per le ore 23; ivi aveva bevuto bevande non alcoliche, in quanto astemio; riferiva di non essersi sentito stanco e che altre volte aveva svolto turni di guardia e mai si era addormentato in servizio; di aver avuto un vuoto di memoria circa i fatti successivi alla partenza dal distributore, vicino alla discoteca, e fino a quando era già in ospedale.

Nel pervenire alla resa statuizione, rilevano i giudici del gravame che correttamente il primo giudice ha escluso la rilevanza causale sull’evento della velocità tenuta dall’imputato…; che l’assenza di frenata o di altra manovra di emergenza prova che la perdita di controllo dell’auto dipese da uno stato di incoscienza del conducente, che la difesa ha attribuito a un malore improvviso, mentre la pubblica accusa e la parte civile hanno attribuito a un colpo di sonno; che la tesi difensiva del malore improvviso era rimasta non solo priva di alcun elemento di sostegno, ma era da escludere per una serie di considerazioni, e cioè: un malore così grave da determinare perdita di coscienza è ipotizzabile solo con riferimento a persone anziane o affette da qualche patologia, mentre appare inspiegabile in un giovane di ventidue anni, sottufficiale della Marina, certamente di sana costituzione fisica e immune da patologie; nella cartella clinica dell’ospedale ove l’imputato era stato ricoverato dopo il fatto, sotto la voce patologia remota, era annotato era annotato no patologia degna di nota; ciò conferma l’integrità fisica e psichica del Bonanno e rende del tutto inverosimile l’ipotesi del malore improvviso, mai sostenuta dall’imputato prima del processo, ne all’atto del ricovero ne successivamente durante la degenza; un malore tale da comportare perdita di coscienza è normalmente preceduto da qualche segno premonitore, che nella specie, in sostanza, non si era evidenziato; gli esami di laboratorio, effettuati sul Bonanno in ospedale (analisi del sangue e delle urine) non evidenziato alcuna anomalia di rilievo.

Concludevano, quindi, che sotto nessun profilo appare … sostenibile la tesi del malore improvviso, dovuto a causa imprecisata, neppure sospettata dalla difesa a titolo di ipotesi.

Rilevavano che, per contro, la ricostruzione del sinistro operata dal primo giudice, che ha attribuito la perdita di controllo dell’autovettura ad un colpo di sonno, è supportata da precisi elementi di prova sotto il profilo logico: l’impatto si era verificato nelle prime ore del mattino, quando maggiormente si avverte la stanchezza e il bisogno di dormire si fa impellente; l’imputato non dormiva da oltre 21 ore…; è indubbio che egli si pose alla guida dell’autovettura… in condizioni fisiche di grande spossatezza.

Questo stato di affaticamento, aggravato dal viaggio in auto e dalle ore trascorse in discoteca, fu la causa del colpo di sonno e comunque dell’improvviso obnubilamento fisiologico della coscienza, che a sua volta determinò la perdita di controllo dell’autovettura, tale ricostruzione dell’evento, in sostanza, essendo l’unica compatibile con le risultanze di causa, mentre la tesi del malore improvviso è contraddetta dalle riscontrate condizioni fisiche ottimali del Bonanno.

Rilevavano, quindi, che la colpa dell’imputato va ravvisata nel fatto di essersi messo alla guida dell’autovettura o nell’aver proseguito la marcia, nonostante che le sue condizioni psico- fisiche non fossero ottimali, di idoneità alla guida e comunque tali da non costituire pericolo per la circolazione e l’altrui incolumità, tanto sostanziando anche la colpa specifica per violazione dell’art. 115 C.d.S. [2].

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso l’imputato ed il responsabile civile, il primo personalmente, il secondo per mezzo del difensore, con identiche argomentazioni denunziando: il vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Assumono che illogicamente i giudici del merito avevano disatteso la tesi difensiva sul rilievo che l’insorgenza del malore fosse ipotizzabile solo con riferimento a persone anziane o affette da qualche patologia, e che un malore comportante perdita di coscienza sia normalmente preceduto da qualche segno premonitore, laddove è incontroverso che il malore possa invece insorgere in ogni momento, in qualsiasi soggetto di qualunque età, anche sano, e senza essere preceduto da alcun segno premonitore e che, dopo la risoluzione del malore, la persona possa tornare nella stessa situazione di normalità nella quale si trovava prima dell’insorgenza del disturbo; il vizio di motivazione sotto altro profilo: i giudici del gravame, deducono, avevano riconosciuto possibile che l’imputato si sia posto alla guida dell’autovettura senza rendersi conto delle sue menomate condizioni fisiche e del pericolo cui esponeva se stesso e l’amico trasportato, e, assumono i ricorrenti, in tal senso deporrebbero le dichiarazioni di due testi.

Ciò posto, soggiungono, il giudice stesso implicitamente esclude qualsiasi profilo di colpa nella condotta dell’imputato, giacchè, se per un qualsiasi difetto di percezione l’imputato non si è reso conto delle sue menomate condizioni psico- fisiche non ha neppure potuto rappresentarsi la situazione di pericolo…; e, ritenendo, altresì, i giudici del merito che la colpa dell’imputato andava ravvisata nell’essersi posto alla guida dell’autovettura o nell’aver proseguito la marcia nonostante che le sue condizioni psico- fisiche non fossero ottimali, nessuna prova era stata data che l’imputato avesse avvertito segni di stanchezza mentre guidava; il vizio di violazione di legge, in riferimento all’art. 606, 1° comma, lett. b), c.p.p..

Deducono a tal riguardo che, avendo la sentenza impugnata ritenuto che la colpa dell’imputato era consistita in un errore di valutazione sul proprio stato di salute, ciò comportava la esclusione della punibilità dell’agente, ai sensi dell’art. 47, 1° comma, c.p. [3], cadendo l’errore sul fatto (il proprio stato di salute); soggiungono che l’aver sostenuto l’esistenza della colpa in maniera alternativa (o perché si è posto alla guida dell’autovettura o perché ha proseguito la marcia) significa ineluttabilmente che, per la Corte, l’errore (essersi posto alla guida) non è colposo; e, ammesso e non concesso che il giudice intendesse l’errore come dovuto a colpa, manca ogni indicazione per comprendere in cosa questa colpa sarebbe consistita…; il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 606, 1° comma, lett. c), c.p.p., giacchè, avendo la Corte territoriale ritenuto la sussistenza di una colpa specifica, per violazione dell’art. 115 C.d.S., aveva conseguentemente modificato in peius l’originaria imputazione, ritenendo la più grave fattispecie di cui all’art. 589, 2° comma, c.p..

Deducono che il primo giudice aveva escluso la sussistenza della colpa specifica ritenendo conseguentemente applicabile la fattispecie di cui al primo comma dell’art. 589 c.p.; la sentenza di secondo grado aveva, invece, ritenuto la sussistenza della fattispecie di cui al predicato 2° comma dell’art. 589 c.p., in violazione dell’art. 597 c.p.p., a nulla rilevando che siano state, poi, riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sulla ritenuta aggravante.

 

I ricorsi sono infondati.

 

Quanto, invero, ai primi tre profili di doglianza, è d’uopo premettere che, segnatamente in tema di circolazione stradale e di responsabilità del conducente di autoveicolo, il malore dello stesso (che è uno scompenso prevalentemente collegato ad una situazione organica, ma che può essere anche espressione di una sindrome funzionale: cfr. Cass., Sez. Un., n. 12093/1980, ric. PM in proc. Felloni), repentinamente ed improvvisamente insorto, è pur sempre un’infermità, ovvero uno stato morboso, ancorché transitorio, ascrivibile alla previsione di cui all’art. 88 c.p.: esso incide sulla potenzialità intellettiva e volitiva del soggetto, ma, con la perdita o il grave perturbamento della coscienza, spezza il collegamento tra il comportamento del soggetto medesimo e le .funzioni psichiche che allo stesso presiedono, determinando così movimenti o stati di inerzia corporei inconsapevoli ed automatici, cioè privi di caratteri tipici della condotta, secondo lo schema dell’art. 42 c.p. (Cass., Sez. Un., cit.).

Il malore improvviso, quindi, non ascrivibile alla categoria del caso fortuito, di cui all’art. 45, c.p., giacché questo, descrivendo una fattispecie in cui l’uomo, pur essendosi verificato un fatto a lui riferibile, materialmente psicologicamente, non ne risponde per l’intervento del fattore causale imprevedibile, presuppone pur sempre un’azione umana cosciente e volontaria, mentre il malore improvviso tali connotazioni di coscienza e volontarietà esclude, non realizzando così quelle condizioni minime che l’art. 42 c.p. richiede perché un fatto umano, astrattamente costitutivo di reato, divenga penalmente rilevante.

A tanto consegue che, pur incombendo al riguardo sull’imputato un onere di allegazione ed indicazione di specifici elementi di valutazione (cfr. Cass., Sez. IV, n. 1729/1985; id., Sez. IV, n. 5952/1989; id, Sez. IV, n. 6317/1989; id, Sez. IV, n. 8357/1989; id, Sez. IV, n. 1945/1990) e dovendo il malore improvviso annoverarsi tra gli elementi intrinseci, positivi, del reato, il giudice deve procedere all’accertamento della sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 42 c.p., anche con conseguente possibilità di pervenire ad una statuizione di assoluzione nei casi ora indicati dall’art. 530.2 c.p..

Giova, altresì, rilevare che il malore improvviso, perché sia idoneo ad escludere i caratteri tipici della condotta, secondo lo schema dell’art. 42 c.p., postula pur sempre la imprevedibilità dell’evento che ha cagionato la perdita di coscienza e la incontrollabilità della condotta, le quali, perciò, non possano più essere addebitate ad un soggetto consapevole e responsabile: deve, quindi, trattarsi di una accidentalità non conoscibile e non eliminabile con l’uso della comune prudenza e diligenza, che opera imprevedibilmente e non può in alcun modo, neppure a titolo di colpa, farsi risalire all’attività psichica dell’agente (così, da ultimo, Cass., Sez. IV, n. 11638/1999, ric. Scilipoti).

Anche il sonno determina la perdita della coscienza; ma può rientrare nella nozione di malore improvviso soltanto il sonno patologico sopraggiunto senza sintomi premonitori e per una infermità che non poteva aver dato segno di se in passato.

Ne restano per converso esclusi, pere difetto del carattere della subitaneità, i casi di soggetti consapevoli della loro infermità, esposti colposamente al pericolo dell’addormentamento, o di soggetti sani che, insistendo nella guida prolungata, siano stati colti da sonno di affaticamento (così Cass., Sez. Un. Cit.): situazione, quest’ultima, cui è da equiparare quella di chi si ponga alla guida di un’autovettura in condizioni di grave affaticamento e di pregressa prolungata insonnia.

Ciò posto, pure deve rilevarsi che la mera allegazione dell’imputato, vieppiù se non sorretta dalla indicazione di specifici elementi di valutazione, che assuma di essere stato colto da improvviso malore, non può, ovviamente, essere ritenuta di per se assorbente ed esaustiva, al fine di escludere la sussumibilità del fatto entro il paradigma dell’art. 42 c.p.: il giudice del merito, nel contesto dei compiti e delle facoltà attribuitegli dall’ordinamento, deve pur sempre verificare la veridicità dell’allegazione medesima ed ove, in conclusione di tale esame, non dubiti della insussistenza della circostanza allegata, legittimamente perviene a giudizio di responsabilità: tale divisamento, di merito, è incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato e quindi esente dai vizi di cui all’art. 606, 1° comma, lett. e), c.p.p..

Nella specie, i giudici del merito hanno, in sostanza, innanzitutto escluso che l’allegato malore improvviso (peraltro significativamente mai sostenuto dall’imputato prima del processo, ne all’atto del ricover0o ne successivamente durante la degenza) fosse riconducibile a causa organica veruna, rilevando che l’imputato era un giovane di ventidue anni …, certamente di sana e robusta costituzione fisica…, che nessuna patologia era emersa dagli accertamenti medici eseguiti nell’immediatezza del fatto, che perfettamente normali erano le sue condizioni fisiche, come riscontrate poi all’uscita dalla discoteca e quindi subito prima del fatto medesimo.

Vero è che, come s’è detto, il malore improvviso può anche essere espressione di una sindrome funzionale.

Ma nella specie, rimane, per intanto, che è stata esclusa la sussistenza di qualsiasi causa organica non solo pregressa, ma anche possa anche essere improvvisamente insorta nelle immediatezze del fatto; e che, per il resto, i giudici del merito hanno ritenuto che non solo non era stata difensivamente prospettata alcuna causa, neppure a titolo di ipotesi, in ordine all’allegato malore improvvisamente insorto (solo addotto, peraltro tardivamente, senza ulteriore altra specificazione al riguardo), ma, anche e soprattutto, che doveva ritenersi, invece, la diversa ipotesi accusatoria che ha attribuito la perdita di controllo dell’autovettura ad un colpo di sonno, questa essendo supportata da precisi elementi di prova sotto il profilo logico.

Hanno, infatti, rilevato che l’impatto mortale si era verificato nelle prime ore del mattino (h. 4,30), quando maggiormente si avverte la stanchezza ed il bisogno di dormire si fa impellente; che l’imputato non dormiva da oltre 21 ore, essendosi alzato alle 7 del mattino per svolgere attività di servizio sulla nave sino all’ora di pranzo; sbarcato nelle prime ore di pomeriggio, aveva trascorsa la rimanente giornata prima in famiglia e poi con l’amico Tommaso, senza mai riposare, e aveva concluso la serata in discoteca, trattenendosi in tale locale sino all’alba.

Alla stregua di tali accertate circostanze fattuali, non illogicamente (e l’art. 606.1, lett. e) vuole anche che la illogicità debba essere manifesta) i giudici del merito hanno ritenuto essere indubbio che egli si pose alla guida dell’autovettura per far ritorno a La Spezia, affrontando un tragitto di circa 50 chilometri, in condizioni fisiche di grande spossatezza e che questo stato di affaticamento, aggravato dal viaggio in auto e dalle ore trascorse in discoteca, fu la causa del colpo di sonno e comunque dell’improvviso obnubilamento fisiologico della coscienza, che a sua volta determinò la perdita di controllo dell’autovettura.

E pure giova richiamare che, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, bensì di stabilire se questi ultimi esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinare conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 29/1/1996, n. 930); e che, poiché il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, tanto comporta, quanto al vizio di manifesta illogicità, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per latro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a ,che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corretti sul piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, munite, in tesi, di eguale crisma di logicità (così Cass., Sez. Un., 14/12/1995, n. 30).

Quanto agli altri profili di censura sul punto dedotti, una volta ritenuto che l’evento sia riconducibile allo stato di affaticamento, alle condizioni fisiche di grande spossatezza nelle quali si trovava l’imputato allorché si pose alla guida dell’autovettura, e che indussero al colpo di sonno o all’improvviso obnubilamento fisiologico della coscienza, tanto logicamente desumendo dalle evidenziate circostanze fattuali accertate, è evidente la responsabilità del ricorrente nella causazione del fatto: il c.d. colpo di sonno fisiologico, difatti, dovuto a stanchezza, pregresso affaticamento, spossatezza, mancanza di riposo, ecc., è evenienza del tutto prevedibile che avrebbe dovuto consigliare l’imputato a non porsi affatto alla guida dell’autovettura in quelle condizioni e circostanze, a non proseguire la marcia iniziata nonostante che le sue condizioni psico- fisiche non fossero ottimali…, come correttamente annota la sentenza impugnata (i giudici del merito non hanno mancato di esaminare l’ipotesi che l’imputato si sia posto alla guida senza rendersi conto delle sue menomate condizioni fisiche e del pericolo cui esponeva se stesso e l’amico trasportato…, rilevando che in tal caso egli avrebbe dovuto arrestare la marcia al primo segno di stanchezza e non proseguire il tragitto avvertendo il bisogno fisiologico di dormire).

E soffermandosi il ricorrente sul rilievo che non sarebbe comprovato che egli avesse avvertito segni di stanchezza durante la guida, omette di considerare che, quand’anche il colpo di sonno, pur sempre fisiologico, fosse intervenuto repentinamente, senza alcun segno premonitore (come , invece, di solito avviene), nondimeno esso non potrebbe affatto ritenersi imprevedibile, rivestendosi, al contrario, di connotazioni di consapevole prevedibilità, quale circostanza fisiologica prevedibilmente, appunto, indotta dalle sue condizioni fisiche, di eccezionale spossatezza.

Gravatoriamente deducendosi, poi, che, una volta ammesso che possa esserci stato in errore di valutazione sul proprio stato di salute, tanto comporterebbe che, cadendo l’errore sul fatto (il proprio stato di salute) che costituisce il reato, la punibilità dell’agente è esclusa ai sensi dell’art. 47, 1° comma, c.p., deve, di contro, assorbentemente rilevarsi che, ai sensi del primo comma di tale disposto normativo, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa quando il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo: e, nella specie, di certo riconducibile a colpa dell’imputato sarebbe la circostanza di non essersi egli avveduto delle sue precarie condizioni fisiche, pure oggettivamente indotte da ritenute circostanze fattuali del tutto a lui note; di non aver egli considerato, secondo i canoni della comune prudenza e diligenza, dell’avvedutezza dell’uomo medio, che quelle condizioni fisiche di eccezionale spossatezza, quella mancanza di sonno da oltre 21 ore, potessero, in quell’ora del mattino, quando maggiormente si avverte la stanchezza ed il bisogno di dormire, determinare un improvviso colpo di sonno fisiologico, ovvero un improvviso obnubilamento fisiologico della coscienza.

Quanto, infine, al quarto motivo di ricorso, all’imputato era stato contestato il reato di cui all’art. 589 c.p., per colpa consistita in imprudenza, imperizia ed eccessiva velocità …, e quindi per profili di colpa generica, oltre che specifica (la eccessiva velocità).

Il primo giudice aveva escluso tale ultimo profilo di colpa specifica e la sentenza impugnata (dall’imputato e dal responsabile civile, non anche dal PM) ha ritenuto la sussistenza di altro profilo di sola specifica (la violazione dell’art. 115 C.d.S.), con giudizio di prevalenza delle già riconosciute attenuanti generiche sull’aggravante, ed ha diminuito la pena.

In particolare, i giudici del gravame, nel rideterminare la sanzione, hanno ritenuto che la pena base inflitta dal primo giudice di un anno di reclusione, poi diminuendola a mesi sei per le dette attenuanti ,generiche.

Ai sensi dell’art. 597.3 c.p.p., quando appellante è il solo imputato il giudice d’appello ha la facoltà di dare una definizione giuridica più grave (purché non venga superata la competenza del giudice del primo grado), ma non può (tra l’altro) irrogare una pena più grave, per specie o quantità.

Nel caso che occupa, in aderenza a tale dispositivo normativo, i giudici del merito hanno ritenuto la sussumibilità del fatto nella previsione di cui al secondo, e non al primo, comma dell’art. 589 c.p.p., ma non hanno inflitto una pena più grave, al contrario hanno sensibilmente diminuito, dimezzandola, la sanziona inflitta in prime cure, contenendola (tenuto conto delle riconosciute attenuanti generiche) in termini del tutto prossimi al minimo edittale.

Hanno, infatti, innanzitutto diminuito la pena base inflitta dal primo giudice e su questa, poi, hanno applicato la diminuzione per le riconosciute attenuanti generiche, sicché, in sostanza, l’aver ritenuto la sussistenza dell’aggravante specifica che comportava la sussumibilità del fatto nella previsione di cui all’art. 589.2 c.p., non ha poi concretamente inciso sulla determinazione della pena: a quella misura, infatti si sarebbe egualmente pervenuti anche in mancanza della circostanza aggravante specifica, atteso il giudizio di minus valenza datone.

I ricorsi vanno, dunque, rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento.

 

PQM

 

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

 

Roma, 30 ottobre 2001.

 

Depositata in Cancelleria il 19 novembre 2001.

 

Martedì, 23 Aprile 2002
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