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Corte di Cassazione 23/06/2005

Giurisprudenza di legittimità - Le punizioni umilianti ai figli possono costituire abuso dei mezzi di correzione È reato umiliare i bambini

Cass. Pen.,sez.sesta,3 maggio 2005,n.16491

Le punizioni umilianti ai figli possono costituire abuso

dei mezzi di correzione
È reato umiliare i bambini
(Cassazione 16491/05)
 

Infliggere ai figli minori punizioni umilianti può costituire reato ogniqualvolta non si rispetti la dignità dei bambini. Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando la sentenza di condanna della Corte di Appello di Torino nei confronti di un padre che aveva chiuso in cantina il figlio di due anni sottoponendolo a continue umiliazioni anche verbali. La Suprema Corte ha chiarito in proposito che, per configurare il reato di "abuso dei mezzi di correzione e di disciplina" previsto dal Codice Penale non sono richiesti solo abusi fisici, ma anche gli abusi psichici, cioè quelli che possono causare disturbi allo sviluppo del bambino, comportano conseguenze penali. Così, le continue umiliazioni alle quali aveva sottoposto il bambino rinchiuso in cantina sono costati al padre - denunciato dalla madre - tre mesi di reclusione.(22 giugno 2005)

 

Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, sentenza n.16491/2005

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
VI SEZIONE PENALE
SENTENZA
RITENUTO IN FATTO

 

La Corte di appello di Torino, con la decisione impugnata, ha confermato la sentenza 12/6/2001, con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Acqui Terme, all’esito di giudizio abbreviato, condannò alla pena di tre mesi e 10 giorni di reclusione C. C. per il delitto di abuso dei mezzi dicorrezione (art. 571 cod. pen.) [1] in danno del figlio minore M.
Così il giudice di primo grado aveva riqualificato il fatto, originariamente contestato come delitto previsto dall’art. 572 cod. pen., per aver maltrattato il figlio M., dall’età di 18 mesi a quella di due anni e mezzo, sottoponendolo ad un regime educativo e di convivenza familiare contrassegnato da quotidiana sofferenza e disagio, per il bambino traumatizzante a causa degli abituali comportamenti sadici ed aggressivi del C.; regime che determinava nel bambino un vero e proprio stato di terrore anche per la semplice presenza fisica del padre e di conseguenza il pericolo concreto per l’incolumità psicofisica del bambino, dallo stesso come tale avvertito e sofferto.
I maltrattamenti era consistiti: nel tenere abitualmente il bambino legato alla tavola durante i pasti; nel costringerlo a mangiare anche il cibo da lui rigurgitato per qualunque motivo; nel tenerlo legato ad una sedia bendato durante la proiezione in tv di programmi di cartoni animati in modo che potesse ascoltare il sonoro, ma non vedere le immagini; nel costringerlo ad immergere il viso nelle proprie deiezioni in caso di incontinenza; nel chiuderlo al buio nella propria stanza o in cantina in caso di punizione.
Tale situazione aveva dapprima reso necessario, per iniziativa della madre A. L., l’allontanamento del bambino dall’abitazione coniugale, con affidamento di fatto ai nonni materni L. L. e G. G., successivamente, con provvedimento del Tribunale per i minorenni di Torio del 7/9/1999, l’affidamento legale del minore ai predetti nonni con sospensione dei rapporti con il padre.
La condanna è stata fondata dai giudici di merito sulle dichiarazioni della L., dei testimoni G. (che riferì anche dell’indicazione della dott. D. B. circa la necessità di una presa in carico psicoterapeutica del bambino), R., S., P., nonché su talune dichiarazioni dello stesso imputato, che aveva fatto riferimento a metodi educativi severi ereditati dai suoi genitori.
Ricorre per cassazione l’imputato, che deduce inosservanza delle norme penali (artt. 571 e 572 c.p.) e processuali (artt. 530, 521 e 522 c.p.p.).
Sul piano processuale egli lamenta che i giudici abbiano accertato i fatti addebitati soltanto sulle dichiarazioni della L. e si duole che abbiano derubricato l’originaria imputazione di maltrattamenti in quella di cui all’art. 571 cod. pen., anziché dichiarare l’insussistenza del fatto originariamente contestato, con eventuale trasmissione degli atti al PM.
Sul piano del diritto sostanziale, il ricorrente deduce l’insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato di cui all’art. 571 c.p., rilevando che oil carattere episodico della chiusura in cantina e l’aver occasionalmente sfregato i pantaloni umidi sul viso di M. non può integrare il reato addebitato, in quanto da tali fatti non deriva alcun pericolo di malattia del corpo o della mente.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

Il ricorso è manifestamente infondato.
Correttamente, con adeguata e esaustiva motivazione, i giudici di merito hanno assunto a base della ricostruzione dei fatti le dichiarazioni della mamma della piccola vittima, valutate anche con riferimento a riscontri costituiti dalle dichiarazioni di testi de relato e dai provvedimenti via via adottati dal Tribunale per i minorenni, a tutela del piccolo M.
Del tutto inconsistente è poi la denunciata violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p.: i fatti ritenuti in sentenza sono conformi alla contestazione originaria, salva la diversa definizione giuridica, operata nell’ambito della competenza a norma dell’art. 521 comma 1 c.p.p.
Sul piano sostanziale, il ricorrente non ha davvero motivo di dolersi, a differenza di quanto avrebbe potuto più fondatamente fare il PM: il fatto commesso dall’imputato, qualificato dai giudici come abuso dei mezzi di correzione (art. 571 c.p.), è al limite del più grave delitto di maltrattamenti verso il figlio, ritenuto da questa Corte (in una fattispecie concreta molto prossima a quella oggi in esame) con la sentenza Cambia del 1996 (v. Cass. 4904/1996, in Cass. Pen. 1996), la quale ha evidenziato l’inaccettabilità d’interpretazione dell’art. 571 c.p. (abuso dei mezzi di correzione) e dell’art. 572 c.p. (maltrattamenti verso i fanciulli) secondo canoni e contesti socio culturali propri del 1930 c.p.
È, infatti, culturalmente anacronistico e giuridicamente insostenibile un’interpretazione degli artt. 571 e 572 cod. pen. fondata sulle concezioni ideologiche espresse nella relazione al codice penale (come, ad es., la vis modica è mezzo di correzione lecito), proprie di una superata epoca storico sociale, impregnata di valori autoritari anche nelle strutture e nelle funzioni della famiglia.
Va, per contro, ribadito che nell’ordinamento italiano, incentrato sulla Costituzione della Repubblica e qualificato dalle norme in materia di diritto di famiglia (introdotte dalla L. n. 151/1975) e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino (approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con L. n. 176/1991), il termine correzione, utilizzato dall’art. 571 c.p., va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo.
E poiché da tale processo va bandito ogni elemento contraddittorio rispetto allo scopo ed al risultato che il nostro ordinamento persegue, in coerenza con i valori di fondo assunti nella Costituzione della Repubblica, non può più ritenersi lecito l’uso della violenza, fisica o psichica, sia pure distortamente finalizzato a scopi ritenuti educativi: ciò sia per il primato attribuito alla dignità della persona del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, tolleranza e convivenza, utilizzando mezzi violenti e costrittivi che tali fini apertamente contraddicono.
Con specifico riferimento alle espressioni linguistiche utilizzate nell’art. 571 cod. pen., va ancora precisato che la nozione giuridica di abuso dei mezzi di correzione non può ignorare l’evoluzione del concetto di abuso sul minore, che si è andato via via evolvendo e specificando nel tempo.
Da una sorpassata e limitativa nozione di abuso, inteso come comportamento attivo dannoso sul piano fisico per bambino, l’attuale letteratura e clinica psicologica e psicopatologica qualificano come abuso anche le omissioni di cure e l’abuso psicologico, correlato allo sviluppo di numerosi e diversi disturbi psichiatrici.
Costituisce abuso punibile a norma dell’art. 571 cod. pen. (e che, nella ricorrenza dell’abitualità e del necessario elemento soggettivo, può integrare anche il delitto di maltrattamenti) anche il comportamento doloso, attivo od omissivo, mantenuto per un tempo apprezzabile, che umilia, svaluta, denigra e sottopone a sevizie psicologiche un bambino, causandogli pericoli per la salute, anche se è compiuto con soggettiva intenzione correttiva o disciplinare.
Per l’integrazione della fattispecie prevista dall’art. 571 cod. pen. è sufficiente il dolo generico, non essendo dalla norma richiesto il dolo specifico, cioè un fine particolare e ulteriore rispetto alla consapevole volontà di realizzare il fatto costitutivo del reato, ossia la condotta di abuso.
La più recente ed autorevole ricerca e clinica e neuropsichiatrica infantile sottolinea la maggiore pericolosità e incidenza sugli aspetti strutturali della psiche infantile (nonché l’alto potenziale patogenico) della violenza psicologica, anche rispetto a quella fisica, pur con l’avvertenza della difficoltà di individuare i confini tra vera e propria violenza da meri atteggiamenti pedagogici rigidi o inadeguati per incuria.
Ed a tale proposito, costituisce accertamento di fatto, insindacabile in questa sede, la sussistenza sia di condotte dell’imputato comportanti violenza e costrizione psichica verso il bambino sia dell’elemento soggettivo doloso, motivatamente ritenuta dai giudici di merito.
Anche alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche, il Collegio ritiene corretta la valutazione dei giudici di merito, secondo cui gli atti compiuti dall’imputato hanno realizzato traumi psicologici per la piccola vittima e, perciò, fatti da cui deriva pericolo di una malattia nella mente della parte offesa.
Invero, a tale espressione, utilizzata dal legislatore negli artt. 571 e 582 cod. pen. con riferimento alla vittima del reato, non può certamente assegnarsi significato identico, analogo o assimilabile a quello di infermità mentale (rectius stato di mente per infermità), utilizzata dagli artt. 88 e 89 c.p. in tema di imputabilità penale dell’autore del reato.
Sussiste il pericolo di malattia nella mente ogni qualvolta ricorre il concreto rischio di rilevanti conseguenze sulla salute psichica del soggetto passivo.
Ed è opinione comune nella letteratura scientifico- psicologica che metodi di educazione rigidi ed autoritari, che utilizzino comportamenti punitivi violenti o costrittivi, come quelli realizzati dall’imputato, siano non soltanto pericolosi, ma anche dannosi per la salute psichica.
È ormai nozione corrente che i traumi psicologici, ossia gli scatenamenti di emozioni violente prodotte da cause esterne, sono responsabili di una serie di disturbi variegati e complessi: dallo stato d’ansia all’insonnia e alla depressione, fino, quando il trauma si è verificato nei primi anni di vita, a veri e propri disturbi caratteriali e comportamentali nell’età adulta.
Ed il termine disturbo non connota una patologia di livello inferiore a quello di malattia, trattandosi invece di espressione linguistica utilizzata da approcci psicologici comportamentali o cognitivi ai problemi di natura clinica, che prediligono una terminologia più propriamente psicologica, rifiutando quella di malattia mentale, anche al fine di superare paradigmi e approcci esclusivamente medici ai problemi della sofferenza psichica.
Nell’ambito della psicologia dello sviluppo è pensiero condiviso che la relazione tra il genitore e il bambino segna, positivamente o negativamente, lo sviluppo psicologico di quest’ultimo.
In particolare, viene evidenziato l’abuso come fattore di rischio specifico per molteplici manifestazioni psicopatologiche (depressione, disturbi dell’alimentazione, comportamenti autoaggressivi, disturbo dell’attenzione con iperattività, alcolismo e abuso di droghe, comportamenti sessuali inappropriati e comportamenti antisociali, etc.).
In campo clinico sono stati evidenziati collegamenti fra l’abuso e lo sviluppo di alcune patologie psichiatriche: è emerso, per esempio, che il maltrattamento fisico o emotivo ha un ruolo eziologico importante nello sviluppo del disturbo dissociativo, ritenuto un grave disturbo psichiatrico.
È, infine, significativo che l’osservazione clinica di bambini abusati evidenzi comportamenti violenti nella storia familiare di almeno uno dei genitori, già vittima a sua volta di esperienze di violenza fisica o psicologica in età infantile: il bambino abusato ha perciò probabilità di diventare un individuo predisposto a relazione violente in cui reitera l’antica esperienza di abuso; divenuto genitore, egli potrà assumere con i propri figli comportamenti abusanti, ovviamente anche diversi da quelli sperimentati, come dimostra proprio la drammatica vicenda umana e familiare, oggetto del presente procedimento, in cui l’imputato ha evocato i metodi di trattamento ereditati dai suoi genitori.
Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna alla spese processuali e alla pena pecuniaria, determinata in 1000 Euro in relazione alla natura delle questioni dedotte.

 

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento di 1000 euro in favore della cassa delle ammende.


Roma, 7/2/2005.

 

Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2005.



Giovedì, 23 Giugno 2005
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