La "patente a punti" dopo la sentenza n. 27/2005 della Corte
Costituzionale.
di Roberto Sapia
(Dirigente presso l’ACI - Automobile Club d’Italia)
(Sullo
stesso tema si segnalano anche i commenti di Luca Guerrini, Paolo Franzì,
Renato Amoroso e la discussione scaturita sul FORUM di Altalex)
La sentenza n. 27/2005 della Corte Costituzionale, che ha stabilito
l’illegittimità di una parte dell’articolo 126-bis
del codice della strada, ha suscitato nella stampa quotidiana un clamore
forse spropositato rispetto alla sua reale portata, conducendo anche
qualche "tecnico della materia" a conclusioni ingiustificate,
come se l’intero sistema della "patente a punti" fosse
in pericolo fino a toccare persino la possibilità di continuare
ad elevare contravvenzioni senza "contestazione immediata"
e conseguente identificazione "sul posto".
In realtà,
la sentenza ha inciso solo marginalmente sul regime generale della patente
a punti né si è spinta oltre quello che era l’oggetto
vero e proprio della controversia.
Il pronunciamento della Corte era stato sollecitato da undici ordinanze
di Giudici di Pace, riunite in un unico giudizio, che complessivamente
censuravano l’art. 126-bis principalmente per due aspetti:
1) la previsione, al comma 2, della detrazione di punti a carico del
proprietario-persona fisica qualora questi, in mancanza di "contestazione
immediata" della violazione e quindi di identificazione del conducente,
non comunichi gli estremi anagrafici e della patente del conducente
"reale" del veicolo qualora diverso da lui, nel termine di
trenta giorni dalla notifica della violazione; tale conseguenza non
si verifica invece, a carico eventualmente del rappresentante legale,
nel caso in cui proprietario del veicolo sia una persona giuridica,
applicandosi invece la sanzione pecuniaria di cui all’art. 180;
2) la determinazione stessa del termine di 30 giorni per fornire tali
elementi identificativi, in contrasto con il termine di 60 giorni per
il ricorso al GdP o al Prefetto, in quanto ciò (nell’opinione
del Giudice rimettente) potrebbe portare all’irrogazione di una
sanzione accessoria (la detrazione di punti) in mancanza di un giudicato
sulla violazione che la determina.
Ma anche
ulteriori aspetti erano stati posti, contestualmente, all’attenzione
della Corte:
3) l’obbligo
ex art. 204-bis di far precedere il ricorso al GdP dal versamento "cautelare"
di una somma pari al doppio della sanzione minima, considerato preclusivo
della tutela giurisdizionale;
4) l’entrata in vigore della disciplina della patente a punti ben
prima che, con decreto ministeriale, fossero stabiliti i programmi e
le modalità dei corsi per il recupero dei punti sottratti, rendendone
impossibile la frequenza ai trasgressori sanzionati in quell’intervallo
temporale;
5) la possibilità di irrogare sanzioni per violazioni alle norme
sulla circolazione (compresa la sottrazione di punti dalla patente)
senza "contestazione immediata", considerata dal GdP rimettente
quale ulteriore manifestazione di una violazione del diritto di difesa.
Investita
di tali problematiche, la Corte, per mano del relatore Quaranta, ha
provveduto innanzitutto a sceverare le questioni inammissibili o palesemente
infondate. In questa fase sono state rigettate le obiezioni riguardanti
gli ultimi tre aspetti sopra elencati.
Riguardo al punto 3, l’obbligo previsto dall’art. 204-bis
era già stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza
n. 114/2004, pertanto la questione è stata dichiarata inammissibile.
Riguardo al punto 4, la Corte ha ritenuto che l’esistenza di un
intervallo tra l’entrata in vigore del regime della patente a punti
(30 giugno 2003) e la pubblicazione sulla G.U. del DM di regolamentazione
dei corsi di recupero (avvenuta il 6 agosto 2003) non poteva recare
pregiudizio, poiché l’iscrizione ai corsi è comunque
subordinata alla definizione del procedimento sanzionatorio, determinata
o dal pagamento della sanzione o dall’inutile decorso del termine
per ricorrere o dal giudicato sul ricorso; il momento della "definizione"
sarebbe caduto quindi ben oltre l’intervallo lamentato. La motivazione
del rigetto è un po’ … ottimistica su un piano meramente
fattuale, tenuto conto che i corsi di recupero furono effettivamente
"disponibili sul mercato" vari mesi dopo la pubblicazione
del DM, quando già per molti conducenti la procedura di ablazione
dei punti si era conclusa con provvedimento definitivo. Più penetrante
appare la seconda motivazione di rigetto, basata invece sulla considerazione
che il ritardo imputabile alle autorità amministrative nel porre
in atto gli adempimenti di una normativa non può tradursi in
una ragione di illegittimità della normativa stessa. Si può
dedurre, da tale ultima motivazione, che se il ricorrente intendeva
lamentare danni (la cui consistenza sarebbe comunque da provare), derivanti
dal ritardo nell’attuazione della normativa sul recupero dei punti,
tale doglianza doveva essere rivolta (con gli ordinari strumenti giurisdizionali)
nei confronti delle autorità amministrative responsabili di tale
ritardo.
Riguardo al punto 5, la Corte se ne è liberata semplicemente
osservando che la deroga al principio di "contestazione immediata"
è stata introdotta dall’art. 4, comma 4, del DL n. 151/2003
convertito con legge n. 214/2004, che però non costituiva oggetto
del giudizio di legittimità richiesto dal rimettente.
Anche l’eccezione di costituzionalità, sopra indicata con
il numero 2, relativa alla disparità tra il termine per la comunicazione
dell’identità del conducente "reale", se diverso
dal proprietario, ed il termine per il ricorso al GdP o al Prefetto,
viene facilmente superata dalla Corte. Nell’argomentazione del
giudice rimettente, l’irrogazione della sanzione accessoria costituita
dalla decurtazione di punti avverrebbe in mancanza (essendo ancora pendenti
i termini per il ricorso) di un giudicato sull’infrazione stessa,
con compromissione quindi del diritto di difesa sancito dall’art.
24 della Costituzione. Ma, ribatte la Corte, l’argomentazione è
infondata: la detrazione dei punti a carico del proprietario non avviene
"a seguito" della omessa comunicazione dell’identità
del conducente "reale", ma solo dopo che si sono conclusi
i procedimenti di ricorso contro il verbale di infrazione oppure quando
si è esaurito il termine per ricorrere. Pertanto, quella comunicazione
o la sua omissione non precludono minimamente la possibilità
di ricorrere per ottenere il riconoscimento della infondatezza della
asserita infrazione, al quale consegue la non detraibilità di
punti.
Al vaglio
critico - e demolitorio - della Corte sopravvive, alla fine,
solo il dubbio di costituzionalità riguardo alla detrazione di
punti a carico del proprietario-persona fisica, qualora ometta di comunicare
i dati anagrafici e della patente relativi al conducente "reale",
nell’ipotesi in cui sia persona diversa dal proprietario medesimo.
E, ancor più specificamente, la "irragionevole differenza
di trattamento" (quale profilo di una violazione dell’art.
3 della Costituzione) di questa ipotesi rispetto a quella in cui proprietario
è una persona giuridica, in cui la conseguenza della omessa comunicazione
è la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 180.
La censura di incostituzionalità, per questo particolare aspetto,
viene accolta dalla Corte sulla base di argomentazioni tra loro connesse:
a) la detrazione di punti, nell’ipotesi in discussione, costituisce
una sanzione del tutto sui generis in quanto, pur essendo di natura
personale (assimilabile per più aspetti alla sospensione della
patente), non è riconducibile ad uno specifico comportamento
del proprietario in violazione di regole sulla circolazione stradale;
b) l’art. 3 della legge di depenalizzazione 689/81 fissa il principio
generale del carattere personale della responsabilità amministrativa,
ammettendo tuttavia, nell’art. 6 (integralmente recepito dall’art.
196 del codice della strada), la solidarietà passiva del "proprietario
della cosa che servì a commettere la violazione" (che, in
questa materia, è il veicolo) ma solo rispetto alla sanzione
pecuniaria; questo non esclude che la stessa Corte, sulla base del principio
di solidarietà, abbia ammesso (con ordinanze n. 323 e 319/2002
e n. 33/2001) l’applicabilità di una sanzione non strettamente
pecuniaria quale il fermo amministrativo nei confronti del proprietario
non conducente, sussistendo tuttavia anche in questo caso un carattere
di "patrimonialità" che non è possibile ritrovare
nella detrazione dei punti dalla patente, incidente invece sulla legittimazione
soggettiva alla conduzione di veicoli.
Da entrambe
le considerazioni emerge la "irragionevolezza" (come violazione
dell’art. 3 della Costituzione) della scelta operata dal legislatore,
nell’art. 126-bis, con la detrazione di punti a carico del proprietario
anche quando non ne sia accertata la responsabilità nell’infrazione
stradale. E quindi, di conseguenza, l’illegittimità della
norma in quella parte specifica.
Ma, precisa la Corte, nel caso il proprietario ometta di dare la comunicazione
richiesta, è applicabile la sanzione di cui all’art. 180,
comma 8. Ed in questo modo viene anche sanata la disparità di
trattamento tra persone giuridiche e persone fisiche e, tra quest’ultime,
indipendentemente dal possesso o meno di patente.
Se questo
è, per sommi capi, l’iter logico della sentenza, occorre
rilevare che da essa si traggono ulteriori elementi interpretativi della
norma in discussione:
a) sembra essere ormai acquisito che la detrazione di punti costituisce
"sanzione accessoria", venendo pertanto assoggettata al regime
previsto dagli artt. 210 e ss. del codice. In passato, la qualificazione
giuridica della detrazione era rimasta alquanto incerta, a cominciare
dalle circolari del Ministero dell’Interno di luglio e di agosto
2003 che le attribuivano "carattere cautelare", come se si
trattasse di un tertium genus, tutt’affatto particolare, tra le
sanzioni pecuniarie da un lato e quelle accessorie nominativamente indicate
dal codice dall’altro.
b) la deroga al principio della "contestazione immediata"
è, nel sistema del codice stradale, ammessa e quantomeno non
ne è stata richiesta la valutazione da parte della Corte.
Le conseguenze
pratiche della sentenza possono sintetizzarsi in questo modo:
1) resta salva la possibilità di procedere alla contestazione
dell’infrazione senza procedere all’identificazione del conducente,
nelle ipotesi previste dall’art. 4 del DL 121/2002, convertito
con legge 168/2002, con invio del verbale al proprietario o agli obbligati
in solido ai sensi dell’art. 196 del codice;
2) quando si tratti di violazione che implica detrazione di punti, il
proprietario o l’obbligato in solido - siano essi persona
fisica o persona giuridica - che non siano autori della violazione hanno
davanti l’alternativa o di comunicarne i dati anagrafici e quelli
della patente oppure di assoggettarsi alla sanzione di cui all’art.
180, oltre a quella relativa alla violazione specifica; nel secondo
caso, non vengono detratti punti.
Non sembrano
quindi esservi motivi che giustifichino le "fibrillazioni"
di cui ha dato conto la stampa, sia da parte delle autorità amministrative
sia da parte degli utenti, come se la sentenza avesse dichiarato la
illegittimità dei verbali non determinati da "contestazione
(ed identificazione) immediata". Certo, l’applicazione dell’art.
180 implica una sconfitta dell’intento educativo della detrazione
di punti dalla patente, ma sembra francamente improbabile che, per sfuggire
ad essa, vi facciano massicciamente ricorso i proprietari effettivamente
colpevoli nel caso che il suo "costo marginale" (attualmente
pari a 358 € nel suo importo minimo) sia nettamente superiore alla
"utilità marginale" costituita dalla difesa di una
minima quantità di punti.
In effetti, un carattere poco commendevole del regime attuale della
patente a punti è la sua "banalizzazione", cioè
la previsione di punteggi di minima entità per un numero eccessivo
di violazioni, che spesso hanno poca attinenza con la sicurezza; se
questa doveva essere la finalità principale di una nuova "sanzione
accessoria personale", sarebbe stato probabilmente più opportuno
circoscriverne l’applicazione a poche fattispecie di una certa
gravità, in cui la valenza "ammonitiva" della detrazione
di punti potrebbe meglio manifestarsi e per le quali sarebbe ben auspicabile
un maggiore impegno di risorse per l’immediata identificazione
del responsabile.
La nuova configurazione che ora assume l’art. 126-bis evidenzia
il ruolo dell’art. 180, dal primo esplicitamente richiamato. I
requisiti di contenuto della comunicazione, affinché sia valida
per scongiurare la sanzione ex art. 180, sono l’indicazione dei
dati personali e della patente del conducente. Nel modulo attualmente
impiegato dalle forze di polizia vengono richiesti il nome e cognome,
il luogo e la data di nascita, l’indirizzo completo, il numero
della patente, la data ed il luogo di emissione. A sua volta, l’art.
180, comma 8, ammette il "giustificato motivo" quale esimente
per l’omessa presentazione agli uffici di polizia o per la fornitura
di informazioni richieste.
Potrebbe sorgere questione se, considerati il ritardo notevole con il
quale vengono spesso notificati i verbali e l’intercambiabilità
dei conducenti in certi contesti famigliari, sociali od aziendali, essi
non possano essere da un GdP considerati "giustificato motivo"
per l’impossibilità di risalire ai dati personali del conducente
ed a maggior ragione ai dati della patente, soprattutto, per questi
ultimi, con il grado di dettaglio richiesto. Riguardo ai dati sulla
patente, occorre segnalare che, da una circolare del 14/9/2004 del Ministero
dell’Interno, si deduce che il numero di patente deve essere riportato
"se noto", potendo evidentemente le forze di polizia far ricorso
a procedure interne di consultazione dell’archivio patenti sulla
base dei soli dati anagrafici; le uniche utilizzabili, d’altra
parte, per ricavare gli estremi della patente posseduta dal proprietario
rimasto "silenzioso" quando si tratta di applicare a lui la
detrazione.
Inoltre, la medesima circolare stabilisce che, recepita la comunicazione,
l’ufficio procedente deve rinnovare la notifica al conducente così
individuato, al fine di consentirgli la possibilità di ricorrere
- nei termini di legge - al GdP o al Prefetto; simmetricamente,
fino alla conclusione di questo secondo procedimento le somme eventualmente
pagate dal proprietario non sono considerate pagamento in misura ridotta,
quindi non precludono il ricorso da parte del conducente.
Sembra comunque inevitabile che la sentenza induca a mutamenti normativi
nella materia, che però, secondo le intenzioni riportate dalla
stampa, potrebbero risultare semplicemente in un inasprimento della
sanzione di cui all’art. 180. Risultato singolare, in un Paese
in cui non si riesce a perseguire la "sordo-cecità"
di testimoni di efferati delitti avvenuti in piazze affollate di persone,
ed il cui effetto potrebbe essere l’incremento di quella ricerca
di "capri espiatori" all’interno dell’ambito famigliare
che già sta portando ad esiti talvolta ridicoli