Foto Blaco – archivio Asaps (ASAPS) – Rischia di finire in carcere per resistenza a
pubblico ufficiale chi, a bordo di un ciclomotore, non si ferma a un posto di
blocco e poi scappa per non farsi raggiungere dalle forze dell’ordine. A
stabilirlo è stata la Sesta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione
che, con la sentenza n. 35826, ha annullato con rinvio, una decisione
pronunciata nel 2005 dal Gip del Tribunale di Palermo. Tale sentenza dichiarava
il non luogo a procedere nei confronti di un ragazzo, all’epoca ventenne che non
rispettò l’alt intimatogli dai Carabinieri, “perché il fatto non
sussiste”. Il ragazzo, secondo l’accusa, era poi fuggito “ad altissima velocità
per le strade strette del centro storico, ponendo così in pericolo l’incolumità
dei militari e degli utenti della strada". Il giudice per le indagini
preliminari ritenne, invece, non ravvisabili in tale condotta gli estremi della
resistenza, dato che l’imputato non aveva messo in atto “alcuna attività
minacciosa o violenta nei confronti dei militari”. Il reato, secondo il
giudice, sarebbe stato ravvisabile se, il ragazzo “per forzare il posto di
blocco, avesse diretto il veicolo contro i Carabinieri che intendevano
fermarlo”. Contro tale decisione aveva proposto un ricorso il procuratore della
Repubblica del capoluogo siciliano, secondo il quale il reato di resistenza,
per essere configurabile, non richiede che la violenza o la minaccia sia
necessariamente diretta contro il pubblico ufficiale. E dello stesso parere si
è dimostrata la Corte di Cassazione secondo cui: “Ad integrare l’elemento
materiale del delitto in esame è sufficiente la violenza o la minaccia
cosiddetta impropria, che può essere esercitata anche su persona diversa dal
pubblico ufficiale operante o sulle cose e che comprende ogni comportamento idoneo
ad impedire, a ostacolare o a frustrare l’esplicazione della pubblica
funzione”. (ASAPS) |
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