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Articoli 17/09/2007

Considerazioni sul sistema sanzionatorio relativo al Codice della Strada alla luce del DL 117

(Documento consegnato il 13 settembre alla Consulta per la sicurezza stradale a Roma) (*)

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foto Blaco - archivio Asaps

Il sistema sanzionatorio italiano che riguarda le violazioni al Codice della Strada, è costituito da una gradualità e da una diversa tipicità delle pene che comprendono aspetti di carattere penale, amministrativo ed accessorio. Tuttavia, non sempre è possibile darvi piena applicazione e le difficoltà operative che spesso incontrano le forze di polizia stradale, rendono di fatto meno efficaci tali norme, oppure, ne limitano notevolmente l’effetto deterrente.
Taluni meccanismi, sia di origine giuridica che di natura burocratica, andrebbero rivisti anche attraverso provvedimenti legislativi attualmente lacunosi o che si prestano ad interpretazioni che naturalmente mutano a seconda del soggetto giudicante che deve darvi seguito.
Particolare incisività, nelle considerazioni che seguono, verrà data alla figura del Giudice di Pace. Ciò non per mera critica nei confronti di questo Istituto che indubbiamente ha garantito un’accelerazione di talune procedure giurisdizionali a favore del cittadino, quanto per non avere previsto un’adeguata regolamentazione delle possibilità al giudice ascritte nell’ambito del codice stradale.

Decurtazione dei punti della patente di guida
Allo stato attuale la normativa prevede la decurtazione dei punti per talune violazioni considerate particolarmente gravi; decurtazione che viene effettuata alla scadenza dei termini di pagamento della sanzione pecuniaria, salvo presentazione di un atto ricorsuale.
In quest’ultimo caso, non sussistono particolari problemi quando, al termine dell’esamina di opposizione da parte del Prefetto o del Giudice di Pace, il verbale di contravvenzione viene interamente confermato e l’organo di polizia stradale procede all’inserimento informatico per la decurtazione dei punti dalla patente di guida del trasgressore.
Il problema vero nasce per le violazioni di carattere penale (cioè più gravi) che prevedono il ritiro della patente di guida e la conseguente sospensione e/o revoca del documento. Questa la procedura:

 1) L’organo accertatore redige una “informativa di reato” destinata alla Procura della Repubblica competente territorialmente e l’Autorità giudiziaria che dovrà procedere all’irrogazione della sanzione è rappresentata dal Tribunale del luogo dov’è avvenuta la violazione.

2) Nel frattempo, la Prefettura (ora Ufficio Territoriale del Governo) provvede ad emettere una “ordinanza di sospensione” della patente di guida, che potrà essere impugnata davanti al Giudice di Pace, cioè da un’Autorità Giudiziaria diversa dalla prima.

3) Secondo il dettame legislativo, il Giudice di Pace dovrebbe limitarsi a verificare la sussistenza dei requisiti necessari per la formulazione dell’Ordinanza prefettizia, con particolare riguardo alla presenza di errori, vizi, ecc… Tuttavia, quasi sempre entra nel merito della violazione (che dovrà invece giudicare il Tribunale), anche a seguito di alcune opinabili interpretazioni giuridiche.

4) Nel contempo, la Procura emetterà un “decreto di condanna” a carico del contravventore, il quale avrà un periodo di tempo predeterminato per accettare la sanzione irrogata, ovvero, per scegliere la via dell’opposizione attraverso il dibattimento processuale. Nel frattempo, saranno trascorsi dalla data della violazione almeno 12/16 mesi.

5) Poniamo ora l’ipotesi migliore (per l’organo che ha proceduto alla contestazione), cioè che il contravventore accetti il decreto di condanna e paghi la sanzione pecuniaria che gli è stata inflitta; questi dovrà attendere la sentenza del Tribunale, il quale dovrà poi informare anche l’organo che ha accertato la violazione. Un simile meccanismo, comporta il trascorrere medio di altri 8/10 mesi.

Da ciò, se ne deduce che il comando di polizia stradale che dovrà procedere all’inserimento informatico che riguarda la decurtazione, verrà posto in condizioni di farlo dopo oltre 24 mesi dalla data in cui si è verificata la violazione (per la verità vi sono province dove le sentenze di condanna vengono notificate all’organo accertatore anche dopo 3 o 4 anni!).
Poiché, secondo l’articolo 126 Bis del Codice della Strada, trascorsi due anni dall’ultima violazione che ha comportato una decurtazione di punti dalla patente di guida, al conducente vengono ripristinati 20 punti, se ne rileva che:

1) L’organo accertatore, all’atto dell’inserimento della decurtazione dei punti al conducente responsabile della violazione, vedrà ripristinare immediatamente il punteggio pieno in virtù del tempo trascorso (di oltre 2 anni) e della norma sopra richiamata;

2) L’efficacia del sistema deterrente della patente a punti risulta applicabile per le sanzioni non penali (dunque meno gravi) piuttosto che per talune, di elevata gravità quali la guida in stato di ebbrezza o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti che, paradossalmente, “garantiscono” al conducente la mancata decurtazione dei punti;

Se poi si considera l’altra ipotesi, ovvero, che il conducente risultato ebbro voglia andare al dibattimento per dimostrare la sua innocenza, allora, in caso di conferma della condanna, l’Autorità giudicante (in virtù delle norme penali) non è tenuta ad inviare la sentenza all’organo accertatore, che ne dovrà invece fare specifica richiesta.
Inoltre, proprio in virtù delle norme che regolano la procedura penale, il dibattimento può trascinarsi nel tempo e persino sfociare in una non procedibilità per intervenuta prescrizione (nonostante una trafila di questo genere comporti non poche spese legali per l’interessato…).

Congruità della pena
Fra i “meccanismi” di inceppamento del sistema sanzionatorio del Codice della Strada, se ne rileva uno particolarmente frequente in sede giudicante e relativo all’articolo 142, ovvero, il superamento (anche elevato) dei limiti di velocità.
La patente di guida, opportunamente ritirata e inviata alla Prefettura competente per la successiva sospensione, viene restituita all’interessato pochi giorni dopo a seguito della presentazione di un atto ricorsuale davanti al Giudice di Pace, chiedendo allo stesso di sospendere ogni effetto sanzionatorio fino a giudizio e la restituzione del documento di guida per necessità lavorative.
Una volta giunti alla trattazione del ricorso (diversi mesi dopo), si assiste con una certa frequenza alla conferma dell’atto contravvenzionale, ciononostante il giudice delibera la “congruità” del periodo di sospensione avvenuto precedentemente la presentazione dell’atto ricorsale, che generalmente è di 7/8 giorni. Da ricordare, che il Codice della Strada prevede una sospensione minima di 30 giorni!

Competenza territoriale
In maniera del tutto analoga, diversi Giudici di Pace si attribuiscono anche la competenza territoriale di verbali di contravvenzione redatti a centinaia di chilometri di distanza dalla loro sede giurisdizionale.
Nonostante l’organo accertatore comunichi al giudice interessato tale irritualità, alcuni giudici continuano a trattenere l’atto ricorsuale e si verifica, ad esempio, che il conducente di un’auto contravvenzionato a Milano presenti ricorso presso il giudice della sua località di residenza (che potrebbe anche essere Agrigento).

Difficoltà di appello
Taluni dei casi sopra evidenziati, potrebbero trovare facile risoluzione mediante l’appello delle sentenze presso il Tribunale competente ad opera degli Uffici Territoriali del Governo (chiamati alla rappresentanza passiva davanti ai Giudici di Pace).
Tuttavia, sia per motivi di carattere burocratico e di impiego di personale, sia per la difficoltà a reperire le risorse economiche del caso, sono davvero poche le sentenze appellate e le garanzie previste per il contravvenzionato non trovano eguale applicazione per l’organo che ha accertato la violazione.

Il nuovo decreto legge sulla sicurezza stradale
Il decreto legge nr.117 entrato in vigore all’inizio dello scorso agosto, prevede per i casi più gravi quali la guida senza avere conseguito la patente, ovvero, in stato di ebbrezza o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, sanzioni sia penali che accessorie di significativo rilievo.
In particolare, ai fini di garantire la sicurezza degli altri utenti della strada e sottrarre all’interessato il veicolo che potrebbe utilizzare in condizioni psico-fisiche non idonee, la norme prevede (a seconda delle situazioni) la possibilità di provvedere al sequestro preventivo del veicolo, ovvero, al fermo amministrativo.
Il primo, di competenza dell’Autorità giudiziaria, è stato oggetto di lunghe discussioni nelle varie Procure della Repubblica di tutto il Paese e si è giunti alla conclusione (da parte dei procuratori) che è difficilmente applicabile se non in casi estremi.
Il secondo, di competenza delle Prefetture (Uffici Territoriali del Governo), incide notevolmente dal punto di vista economico (per le finanze dello Stato) qualora il conducente rifiuti o non si presenti nella sede del soccorso stradale a ritirare il veicolo o decida di non sostenerne le spese di recupero. Tale fatto, negli anni passati, è stato oggetto di numerose diatribe e non è un caso se proprio in una trascorsa legge finanziaria è stato prevista, per le forze di vigilanza stradale, la possibilità di affidare in “giudiziale custodia” al conducente i veicoli risultati privi di assicurazione anziché provvedere al loro recupero e deposito presso un soccorso stradale fino a definizione della violazione.
In tale contesto, le Prefetture (con nota del Ministero dell’Interno) hanno invitato gli organi di polizia ad evitare l’utilizzo dell’istituto del fermo amministrativo, sostituendolo con l’affidamento del veicolo a persona terza. Ciò significa, tanto per esemplificare i fatti, che un conducente ebbro fermato a Rimini ma residente a Piacenza, dovrà essere invitato a chiamare un amico o un parente (qualora nella stessa auto non si trovi altra persona o non vi sia alcuno in stato psico-fisico idoneo alla guida) per poter ritirare la vettura. In alternativa, potrà chiedere personalmente l’intervento di un soccorso stradale, col quale dovrà però rapportarsi in maniera privatistica e non attraverso l’organo accertatore (eventualità pressoché rara).
Le forze di vigilanza stradale, dunque, nonostante il decreto legge preveda in maniera inequivocabile il ricorso al “sequestro preventivo” ovvero al “fermo amministrativo”, sono state sollecitate a non operare né in un senso né nell’altro, così da rendere palesemente inefficace la legge e perdere un congruo lasso di tempo per decidere come comportarsi, su strada, in questi casi (con conseguente diminuzione del numero di controlli effettuati).

Depenalizzazione del rifiuto di sottoporsi ad accertamento alcolemico
Il nuovo decreto legge, che ha trasformato il reato di rifiuto di sottoporsi ad accertamento alcolemico in sanzione amministrativa, secondo numerosi rappresentati delle Procure della Repubblica rafforzerà il “ricorso” a questa violazione per evitare conseguenze di carattere penale. Ciò significa, che persone manifestamente ebbre, potranno rifiutarsi di sottoporsi alla prova dell’etilometro, preferendo una sanzione che – seppur pesante dal profilo economico – eviterà denunce e conseguenze peggiori.
Pur vero che chi sarà contravvenzionato per aver rifiutato l’accertamento alcolemico si vedrà inflitta una sanzione pecuniaria di rilievo e un altrettanto elevato periodo di sospensione della patente di guida; tuttavia, la possibilità di ricorso e quanto precedentemente illustrato sui meccanismi di giudizio, potranno dare luogo a conclusioni di minore impatto sia economico che accessorio.
In sostanza, la norma istiga a rifiutare l’accertamento alcolemico ed accresce le possibilità ricorsuali, con conseguenze di carattere burocratico che si andranno ad aggiungere a quelle già pesantemente rilevanti per gli uffici di polizia stradale.

(*) di Roberto Rocchi,
Consigliere naz.le Asaps e Ispettore Capo della Polizia Stradale
 


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Lunedì, 17 Settembre 2007
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