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Corte di Cassazione 25/07/2007

Giurisprudenza di legittimità - Responsabilità da sinistri stradali - Colpa del conducente - Investimento di pedone - Attraversamento improvviso - Responsabilità del conducente investitore...

(Corte Cass. Civ. sez. III, 29 settembre 2006, n. 21249)

Responsabilità da sinistri stradali - Colpa del con­ducente - Investimento di pedone - Attraversa­mento improvviso - Responsabilità del condu­cente investitore - Esclusione - Condizioni ­Impossibilità di evitare l’evento - Necessità.
Cassazione civile - Motivi del ricorso - Vizi di mo­tivazione - Requisiti.

In materia di responsabilità civile da sinistri de­rivanti dalla circolazione stradale, in caso di investimento di pedone la responsabilità del conducente è esclusa quando risulti provato che non vi era, da parte di quest’ultimo alcuna possibilità di prevenire l’evento, situazione, questa, ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicché l’automobilista si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comun­que di osservarne tempestivamente i movimenti. Tanto si verifica quando il pedone appare all’im­provviso sulla traiettoria del veicolo che procede re­golarmente sulla strada, rispettando tutte le norme della circolazione stradale e quelle di comune pru­denza e diligenza incidenti con nesso di causalità sul sinistro
Per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si as­sume trascurata e la soluzione giuridica data alla con­troversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una di­versa soluzione della vertenza. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fon­damento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze pro­cessuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’effi­cacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la
ratio decidendi ven­ga a trovarsi priva di base.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con sentenza in data 28 maggio-4 giugno 1998 il Tribunale di Milano rigettava la domanda proposta da S. B., che aveva chiesto la condanna della Previdente Assicura­zioni spa (successivamente incorporata nella Milano Assicurazioni spa) e di S. Z. al risarci­mento dei danni conseguenti ad un sinistro stradale.

Questa decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Milano, che con sentenza in data 13-30 no­vembre 2001 rigettava il gravame della B. com­pensando le spese del grado.
La Corte territoriale osservava: l’incidente si era verificato in tarda serata su una superstrada; esaminate criticamente le opposte versioni, le risultanze proces­suali dimostravano che lo Z. stava procedendo a velocità non eccessiva sulla corsia di sorpasso allor­ché, superato un dosso, aveva avvistato alla distanza di circa 10m. la sagoma della donna ferma sulla linea di separazione delle due corsie; egli non aveva potuto evitare l’inaspettato ostacolo poiché si era trovato im­bottigliato tra il guard-rail sulla sinistra e le auto che procedevano sulla destra e non aveva avuto tempo suf­ficiente per frenare bruscamente; risultava, quindi, su­perata la presunzione juris tantum di cui all’art. 2054, comma 1 c.c.
Avverso la suddetta sentenza la B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre, articolati motivi, cui la Milano Assicurazioni, e lo Z. hanno resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con il primo motivo la B. denuncia violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. in tema di onere probatorio e disponibilità delle prove.

In sintesi, assume che la sentenza impugnata ha po­sto a fondamento della decisione le mere allegazioni della controparte sulla base di un puro giudizio di ve­ridicità o di non veridicità delle stesse.

I protagonisti dell’incidente hanno fornito di esso due versioni totalmente difformi e, quindi, inconcilia­bili tra loro. Lo Z. lo ha riferito nei termini so­stanzialmente accolti da entrambi i giudici di merito, mentre la B. ha dichiarato (vedi la parte espositiva della sentenza impugnata) che stazionava a bordo della superstrada Milano-Meda quando venne inve­stita dall’auto condotta ad alta velocità dallo Z.. Di fronte a questa insanabile duplicità di versioni, ciascuna astrattamente idonea a configurare la totale responsabilità della parte avversa, la corte d’appello ­come già il tribunale - ha dato credito alla versione dello Z. facendo leva sulla conforme deposizione del teste oculare C. S., di cui ha vagliato con esito positivo l’attendibilità, sulla mancanza di qual­siasi traccia del sinistro sull’auto (lo Z. ha dichia­rato di avere colpito la B. con lo specchietto retro­visore), sul comportamento del conducente e del teste suo compagno di viaggio dopo l’incidente, sulla posizione in cui l’auto venne poi parcheggiata, a distanza di circa 110 m. dal punto d’urto, sulla ritenuta inve­rosimiglianza della versione della B.. Da quanto sopra si evince che la Corte territoriale, con apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto che gli elementi probatori a sua disposizione abbiano confortato la versione dello Z. dimostrandone la veridicità.

Anche le ulteriori affermazioni della sentenza im­pugnata circa le caratteristiche della strada teatro del sinistro e il divieto per i pedoni di percorrerla e di at­traversarla attengono a valutazioni di merito che tro­vano fondamento su nozioni di comune esperienza, cui essa ha fatto implicito riferimento.

È certamente vero che il c.d.s. vigente all’epoca non prevedeva il termine superstrada utilizzato dalla corte d’appello, ma è ugualmente vero che esso era e tuttora è di uso comune; infatti ne è servita anche la B. (vedi pag. 3 della sentenza e pagg. 2 e 16 dello stesso ricorso per cassazione) e che l’art. 125 c.d.s. di­sciplinava la circolazione sulle strade extra-urbane, esplicitamente riservate ad autoveicoli e motoveicoli.

In definitiva, la corte d’appello ha effettuato una ri­costruzione indiziaria della dinamica del sinistro uti­lizzando una serie di indizi di qualità tale da poter co­stituire prova e offrendone congrua e razionale motivazione.

La censura risulta, dunque, infondata.
Con il secondo motivo la B. lamenta violazione dell’art. 2054 comma 1 c.c. e degli artt. 102 e 134 del c.d.s. vigente all’ epoca, osservando, in particolare, che lo Z. avrebbe dovuto dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno e di avere tenuto una condotta di guida consona all’ora notturna e alla presenza di un dosso.

Con riferimento alla presunzione di colpa posta dall’art. 2054, comma 1 c.c. va ribadito il principio di diritto costantemente affermato anche da questa stessa sezione (confronta, per tutte, Cass., sez. III n. 9620 del 2003) che, in caso di investimento di pedone, la re­sponsabilità del conducente è esclusa quando risulti provato che non vi era da parte di quest’ultimo alcuna possibilità di prevenire l’evento, situazione questa ri­corrente allorché il pedone tenga una condotta impre­vedibile e anormale, sicché l’automobilista si trovi nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti. Tanto si verifica quando il pedone appare all’improvviso sulla traiettoria del veicolo che procede regolarmente sulla strada, rispettando tutte le norme della circolazione stradale e quelle di comune prudenza e diligenza in­cidenti con nesso di causalità sul sinistro.

La Corte territoriale si è attenuta a questo principio poiché ha superato la presunzione di legge a carico dello Z. indicando le ragioni (sintetizzate nella parte espositiva di questa sentenza) che l’hanno in­dotta a ritenere che costui avesse appunto fatto tutto il possibile per evitare il danno, avendo tenuto una con­dotta non censurabile né sotto il profilo codicistico, né sotto quello della comune prudenza e che, per contro, la B. avesse tenuto una condotta del tutto impre­vedibile e anomala.

A tale riguardo è appena il caso di ribadire che il concreto accertamento e la valutazione dei rispettivi comportamenti rientrano nella competenza esclusiva del giudice del merito, la cui motivazione congrua e logica resiste al sindacato di legittimità.

Anche il secondo motivo risulta, quindi, infondato. Con il terzo motivo la B. rappresenta vizio di motivazione con riferimento alla rilevanza degli ele­menti posti a base della ricostruzione della dinamica del sinistro, agli elementi per cui la corte d’appello ha ritenuto interdetta al transito pedonale la superstrada Milano-Meda e all’attendibilità del teste C. S..

È noto che (Cass. n. 2399 del 2004) la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legitti­mità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della corret­tezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valu­tare le prove, di controllarne 1’attendibilità e la con­cludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a di­mostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge); ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insuf­ficienza, contraddittorietà della medesima, può legit­timamente dirsi sussistente solo quando, nel ragiona­mento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di uffi­cio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le ar­gomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico­giuridico posto a base della decisione. Al fine della congruità della motivazione è sufficiente che da questa risulti che i vari elementi probatori acquisiti siano va­lutati nel loro complesso, anche senza una esplicita confutazione di altri elementi non menzionati, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito a quelli utilizzati.

Ne consegue (Cass. n. 10156 del 2004) che, per po­ter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rap­porto di causalità fra la circostanza che si assume tra­scurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pro­nunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esami­nate siano tali da invalidare, con un giudizio di cer­tezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fon­dato, onde la ratio decidenti venga a trovarsi priva di base.

Alla stregua dei principi sopra ribaditi appare ictu oculi l’inammissibilità della prima e della terza delle sintetizzate censure, dal momento che la Corte territo­riale ha spiegato le ragioni del proprio convincimento in ordine alla ricostruzione della dinamica del sinistro e all’attendibilità del teste.

Quanto alla ritenuta interdizione al traffico pedo­nale della strada su cui si è verificato l’incidente, oltre al già rilevato dato normativo (art. 125 c.d.s. previgente), sono sufficienti i riferimenti della sentenza im­pugnata all’assenza assoluta di semafori e strisce pe­donali e, per contro, alla presenza del guard-rail privo di aperture.

Pertanto il ricorso va rigettato con aggravio per la parte soccombente delle spese, liquidate come in dispositivo.


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Mercoledì, 25 Luglio 2007
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