Le norme procedurali che
disciplinano l’applicazione delle sanzioni previste dal Codice della
Strada offrono spunti di "particolarità" correlate a situazioni
tragiche o comiche a seconda dell’angolo visuale di osservazione e che
determinano, in concreto, una condizione di grave allarme, che va affrontato
senza ulteriori indugi.
La prima, e la più
vistosa, di queste particolarità è quella che riguarda la possibilità concessa
all’utente, contravvenzionato per una violazione stradale, di ricorrere
direttamente al Giudice di Pace alternativamente al ricorso al Prefetto, così
come sancito dall’art. 204-bis. Questa norma, istituita nel 2003, aveva la
finalità di eliminare una situazione sicuramente comica come quella del ricorso
contemporaneo al Prefetto e al Giudice di Pace, possibilità che era maturata a
seguito di due sentenze della Corte Costituzionale del 1994 che avevano
individuato la vera patologia del sistema, costituita dal fatto che il verbale
di contestazione di una infrazione al Codice della Strada diventasse titolo
esecutivo col solo trascorrere del termine utile per il pagamento ed in assenza
di ricorso dell’interessato. In altre parole, la Corte, avendo rilevato la
potenziale definitività del verbale, era costretta a rendere possibile il
ricorso diretto al Giudice di Pace. Questa possibilità ha introdotto una
patologia sempre più grave che ha inficiato, in maniera considerevole, la
effettività dell’intera normativa. E, come spesso capita nel nostro Paese, il
legislatore, anziché affrontare il problema, eliminando il carattere definitivo
al verbale di accertamento, ha introdotto una serie di rimedi, come quello del
ricorso al Giudice di Pace, che si sono rivelati tutti peggiori del male. Ultimamente, infatti,
la situazione si è allargata al punto da minare pericolosamente la effettività
delle regole previste e da ridurre l’efficacia dei dispositivi di prevenzione e
di accertamento delle violazioni comportando seri problemi etici e funzionali.
Si è verificata, infatti, una situazione che non ha eguali in nessun
ordinamento giuridico del mondo, in quanto finisce col trasferire sugli organi
o sugli agenti accertatori, l’onere di partecipare al processo che si celebra
davanti al Giudice di Pace, in qualità di Pubblico Ministero, ovvero di
svolgere il compito fondamentale di sostenere le ragioni del verbale elevato.
Forzando, infatti, le previsioni dell’art. 205, che disciplina il ricorso
avverso l’ordinanza ingiunzione dell’Autorità Amministrativa, succede sempre
più spesso che l’organo di Polizia che ha elevato l’infrazione sia chiamato
davanti al Giudice di Pace a difenderne le ragioni. A noi risulta che in ogni
ordinamento giuridico che si rispetti, chi accerta una violazione costituente
reato o illecito amministrativo possa, e debba, partecipare al processo in
qualità di testimone lasciando, ad altre Autorità, il compito di confrontarsi
con la difesa, con parità di competenze e di funzioni e in una dialettica
paritaria. Succede, invece, che il povero agente che ha avuto
"l’ardire" di contestare una violazione pericolosa, specie se questa
prevede sanzioni rilevanti, come la sospensione della patente, debba poi
presentarsi in giudizio, rispondere della stessa in termini sostanziali e
procedurali, confrontarsi con l’avvocato ed assistere al quasi certo
annullamento del verbale redatto. Così, per ogni verbale di accertamento che
comporti sanzioni rilevanti, interviene la certezza che almeno una giornata di
servizio sarà dedicata a sostenerne le ragioni. Di fronte a questa situazione,
che non è l’eccezione ma la regola, ci si chiede: prima di affrontare il tema
di nuove sanzioni, magari di maggiore afflittività e che, perciò, di sicuro
aumenteranno il contenzioso (cioè il ricorso al Giudice di Pace), non sarebbe
meglio rivedere queste situazioni tragicomiche, eliminando le ragioni che le
hanno determinate e riportare il tutto ad una linearità che sappia coniugare
tutela del cittadino e certezza delle sanzioni? La domanda è frutto di una
attenta analisi della realtà che vede gli operatori di polizia stradale
quotidianamente, ed in numero sempre maggiore, trasferirsi dalla strada, ove
sarebbero utilissimi per garantire i necessari livelli di prevenzione e di
sicurezza, alle aule di udienza del Giudice dì Pace per sostenere le ragioni
dei verbali da loro redatti. Questa realtà costringe poi gli operatori di polizia
a confrontarsi con agguerriti difensori che sono, ovviamente, dotati di
capacità oratorie di gran lunga superiori, esponendoli così a recitare la parte
delle vittime sacrificali per celebrare il tripudio del "rito
assolutorio". Tale "rito" entrerà trionfalmente negli annali
della giurisprudenza, come dimostrano molte decisioni, che ci accingiamo a
raccogliere, e che danno un tocco di comicità, ad una tragedia come quella che
si consuma giornalmente sulle strade del Paese.
da Notiziario il Centauro n. 131
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