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Editoriali 21/07/2007

Ricorsi ai Giudici di Pace
Gli operatori di polizia stradale sempre più impegnati a fare "il Pubblico Ministero" sempre meno gli addetti alla sicurezza

Una patologia nell’efficacia del sistema


Le norme procedurali che disciplinano l’applicazione delle sanzioni previste dal Codice della Strada offrono spunti di "particolarità" correlate a situazioni tragiche o comiche a seconda dell’angolo visuale di osservazione e che determinano, in concreto, una condizione di grave allarme, che va affrontato senza ulteriori indugi. La prima, e la più vistosa, di queste particolarità è quella che riguarda la possibilità concessa all’utente, contravvenzionato per una violazione stradale, di ricorrere direttamente al Giudice di Pace alternativamente al ricorso al Prefetto, così come sancito dall’art. 204-bis. Questa norma, istituita nel 2003, aveva la finalità di eliminare una situazione sicuramente comica come quella del ricorso contemporaneo al Prefetto e al Giudice di Pace, possibilità che era maturata a seguito di due sentenze della Corte Costituzionale del 1994 che avevano individuato la vera patologia del sistema, costituita dal fatto che il verbale di contestazione di una infrazione al Codice della Strada diventasse titolo esecutivo col solo trascorrere del termine utile per il pagamento ed in assenza di ricorso dell’interessato. In altre parole, la Corte, avendo rilevato la potenziale definitività del verbale, era costretta a rendere possibile il ricorso diretto al Giudice di Pace. Questa possibilità ha introdotto una patologia sempre più grave che ha inficiato, in maniera considerevole, la effettività dell’intera normativa. E, come spesso capita nel nostro Paese, il legislatore, anziché affrontare il problema, eliminando il carattere definitivo al verbale di accertamento, ha introdotto una serie di rimedi, come quello del ricorso al Giudice di Pace, che si sono rivelati tutti peggiori del male.
Ultimamente, infatti, la situazione si è allargata al punto da minare pericolosamente la effettività delle regole previste e da ridurre l’efficacia dei dispositivi di prevenzione e di accertamento delle violazioni comportando seri problemi etici e funzionali. Si è verificata, infatti, una situazione che non ha eguali in nessun ordinamento giuridico del mondo, in quanto finisce col trasferire sugli organi o sugli agenti accertatori, l’onere di partecipare al processo che si celebra davanti al Giudice di Pace, in qualità di Pubblico Ministero, ovvero di svolgere il compito fondamentale di sostenere le ragioni del verbale elevato. Forzando, infatti, le previsioni dell’art. 205, che disciplina il ricorso avverso l’ordinanza ingiunzione dell’Autorità Amministrativa, succede sempre più spesso che l’organo di Polizia che ha elevato l’infrazione sia chiamato davanti al Giudice di Pace a difenderne le ragioni. A noi risulta che in ogni ordinamento giuridico che si rispetti, chi accerta una violazione costituente reato o illecito amministrativo possa, e debba, partecipare al processo in qualità di testimone lasciando, ad altre Autorità, il compito di confrontarsi con la difesa, con parità di competenze e di funzioni e in una dialettica paritaria. Succede, invece, che il povero agente che ha avuto "l’ardire" di contestare una violazione pericolosa, specie se questa prevede sanzioni rilevanti, come la sospensione della patente, debba poi presentarsi in giudizio, rispondere della stessa in termini sostanziali e procedurali, confrontarsi con l’avvocato ed assistere al quasi certo annullamento del verbale redatto. Così, per ogni verbale di accertamento che comporti sanzioni rilevanti, interviene la certezza che almeno una giornata di servizio sarà dedicata a sostenerne le ragioni. Di fronte a questa situazione, che non è l’eccezione ma la regola, ci si chiede: prima di affrontare il tema di nuove sanzioni, magari di maggiore afflittività e che, perciò, di sicuro aumenteranno il contenzioso (cioè il ricorso al Giudice di Pace), non sarebbe meglio rivedere queste situazioni tragicomiche, eliminando le ragioni che le hanno determinate e riportare il tutto ad una linearità che sappia coniugare tutela del cittadino e certezza delle sanzioni? La domanda è frutto di una attenta analisi della realtà che vede gli operatori di polizia stradale quotidianamente, ed in numero sempre maggiore, trasferirsi dalla strada, ove sarebbero utilissimi per garantire i necessari livelli di prevenzione e di sicurezza, alle aule di udienza del Giudice dì Pace per sostenere le ragioni dei verbali da loro redatti. Questa realtà costringe poi gli operatori di polizia a confrontarsi con agguerriti difensori che sono, ovviamente, dotati di capacità oratorie di gran lunga superiori, esponendoli così a recitare la parte delle vittime sacrificali per celebrare il tripudio del "rito assolutorio". Tale "rito" entrerà trionfalmente negli annali della giurisprudenza, come dimostrano molte decisioni, che ci accingiamo a raccogliere, e che danno un tocco di comicità, ad una tragedia come quella che si consuma giornalmente sulle strade del Paese.


da Notiziario il Centauro n. 131


© asaps.it

di Giordano Biserni

da Notiziario il Centauro
Sabato, 21 Luglio 2007
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