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Articoli 26/04/2007

Europa dei 27 spaccata in tre: 9 nazioni sulla “buona strada”, altri 9 stentano, ma da altri – Italia in testa – non arrivano nemmeno i dati

Campione di risultato, a sorpresa, la Repubblica Ceca.
Ultima, la Spagna.

 

 



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(ASAPS) BRUXELLES – L’ETSC (European Transport Safety Council), ha appena pubblicato uno studio sull’attuale situazione europea in materia di sinistrosità alcol-correlata.
Si tratta di un rapporto estremamente interessante, che fornisce uno spaccato dell’impegno portato avanti da ogni singolo stato membro nel periodo tra il 1996 ed il 2005.
Non c’è, purtroppo, l’Italia: o meglio, c’è, ma non viene presa in considerazione. La ragione è data – secondo l’ETSC – dall’incapacità del nostro paese (non è solo, in questo) di fornire i dati richiesti. Una lacuna che, definire “grave”, ci pare riduttivo.
La ricerca è stata portata avanti da uno speciale ufficio dell’ETSC, chiamato PIN – acronimo ricercato di Road Safety Performance Index – il quale, nella sua attività istituzionale, si cura di confrontare tutte le voci della sinistrosità stradale acquisite presso i 27 stati dell’Unione Europea.
È un trattato di ampio respiro, che racconta con meticolosità cosa succede in Europa, spiegando come, nel Vecchio Continente, le iniziative nelle politiche di gestione del fenomeno della guida in stato di ebbrezza, contribuiscano in maniera determinante ad accrescere la sicurezza stradale.
Lo spaccato che possiamo così analizzare, evidenzia tre questioni fondamentali, in tre gruppi di stati, ciascuno composto da 9 nazioni:

- il miglioramento, netto, registrato in alcuni paesi (la miglior prestazione è della Repubblica Ceca);

- l’individuazione di stati nei quali l’assenza di progressi significativi in ordine alla riduzione del numero di vittime dovute ad eventi stradali alcol-correlati, riduce il trend globale di decremento – in questa categoria di mortalità – registrato nell’ultimo decennio;

- l’individuazione di altre realtà territoriali, tra cui l’Italia, incapaci di monitorare il fenomeno locale e, quindi, mettere le proprie statistiche a disposizione del consesso europeo.

 

 

Non vorremmo ripeterci, ed apparire quindi tediosi: ma ci pare quantomeno strano che un paese del G8, che a chiacchiere considera la violenza stradale un fenomeno da limitare il più possibile, non riesca nemmeno a conoscere l’entità della propria situazione interna. Conoscere il nemico, per batterlo, è uno dei principi cardine di ogni attività di contrasto. Evidentemente, in quella che dovrebbe favorire una sempre maggior sicurezza stradale, noi italiani non brilliamo.
Ed oltre i nostri confini, lo sanno tutti.
Nel gruppo dei più bravi ci sono – come già detto – nove nazioni: in questi paesi, l’indice di riduzione dei decessi registrati in sinistri stradali, nei quali sia stata compiutamente accertata la presenza dell’alcol, è maggiore di quello relativo alla diminuzione delle morti negli altri sinistri stradali.
Vale a dire che, in questo specifico settore, si è fatto moltissimo (rispetto, per esempio, all’azione di contrasto legata alla velocità).
C’è da dire, ma questa è una nostra considerazione, che il limite di una ricerca di questo genere può essere il condizionamento di fattori come la dimensione di un paese, la sua densità demografica, la qualità delle strade che vi si trovano e dei controlli operati dalle forze di polizia.
È ovvio che, parlando di indice, gli studiosi abbiano tenuto in debita considerazione queste variabili.
Lo stato più virtuoso è risultato la Repubblica Ceca: qui, grazie ad una politica di irrigidimento della norma e di un severo controllo su strada, il trend di diminuzione (rispetto agli altri incidenti stradali) si è attestato all’11% annuo, arrivando a dimezzare – nel periodo preso in esame – le cifre della mortalità stradale legata alla guida in stato di ebbrezza.
Dalla stampa ceca, che ha dato molto risalto a questo brillante risultato, attribuito in larga parte alla “Tolleranza Zero” imposta sulle strade, abbiamo appreso che il decremento supera il 50%: l’alcol è oggi responsabile, in questo paese, del 4,4% delle vittime. Nonostante gli ottimi risultati sul fronte del contrasto all’ebrietà, però, il numero totale di morti diminuisce con minore intensità, essendo passato dai 1.570 registrati nel 1996 ai 1.290 nel 2005.
Se l’è cavata molto bene anche la Germania, dove l’indice di diminuzione rispetto agli altri sinistri è stabile al –6%: si tenga conto che la Germania è, per tradizione “il paese della birra”, ma, nonostante il peso delle varie lobbies legate al malto d’orzo o al luppolo, si è evidentemente trovata la forza per dare alla vita umana la doverosa importanza.
Questo ragionamento, ovviamente, riguarda la sicurezza stradale, nel cui ambito lo stato di ebbrezza – quando ne è causa – provoca morte o lesione istantanea, molto spesso anche di utenti della strada trovatisi sulla strada degli ebbri (sbronza passiva).
Ben altre considerazioni meriterebbe la questione, in termini di salute pubblica, ma non è questa la sede, né siamo noi deputati a farlo.
È doveroso appuntare, però, che la questione della resistenza a questo tipo di norme restrittive – che in Italia raggiunge punte molto alte in considerazione della filiera legata alla produzione del vino, oltre che della birra, e degli interessi commerciali legati per esempio alla somministrazione di alcolici nei locali – è presente anche in Polonia.
A Varsavia e dintorni, l’indice di riduzione decennale della mortalità stradale con eziologia alcolica ha raggiunto il –5%, e, più in generale, in tutti gli altri stati distintisi in questa classifica di merito: Slovacchia ed Olanda (-4%), Lettonia (-3%), Austria (-2,2%), Francia (-1%) e Grecia (-0,5%).
Ai 9 stati prodigio, si contrappongono altrettante nazioni “lumaca”, che, secondo l’ETSC, hanno rallentato la progressione decennale del decremento di questo tipo di mortalità.
Paradossalmente, in questo secondo gruppo, vi sono paesi che, in realtà, si sono nettamente distinti nell’azione di contrasto, tanto da aver praticamente già centrato l’obiettivo europeo di dimezzare la mortalità stradale entro il 2010.
È il caso della Gran Bretagna: i sudditi di Sua Maestà, nonostante gli eccezionali risultati raggiunti sul fronte del contrasto alla sinistrosità complessiva ed alla trasgressione, hanno addirittura fatto registrare un aumento di decessi stradali dovuti all’ebbrezza al volante.
Il dettaglio, significativo, ci impone alcune osservazioni di merito, alla luce anche della nostra accresciuta capacità critica (questo ci venga consentito) nei confronti di paesi che sono costantemente monitorati dagli osservatori nati in seno all’Asaps.
Ciò, per dire che meglio sarebbe aver potuto commentare la presenza dell’Italia in questo “gruppo di demerito”, nel quale il livello complessivo di azione legislativa, preventiva e repressiva è sicuramente elevato, piuttosto che non conoscere affatto l’entità del fenomeno.
È il caso della Spagna, paese che, pur avendo fatto segnare un aumento del 5% decennale, pone in essere almeno 5 milioni di controlli alcolemici all’anno (contro i 200mila ufficiali dell’Italia), ed un’azione repressiva molto efficiente sia da parte delle forze di polizia che dalla stessa Autorità Giudiziaria: è di questi giorni, la notizia che un conducente professionale ebbro è stato condannato a 39 anni di reclusione. L’uomo, la mattina del 9 novembre 2002, investì con il proprio autocarro ben 34 persone, che stavano passeggiando nel centro di Oviedo. Nessuno morì, ma 17 pedoni rimasero feriti gravemente, 14 riportarono ferite lievi mentre 3 rimasero illesi. Per chi sostiene che 0,5 grammi di alcol per litro di sangue, sia un limite troppo basso, ricordiamo che la persona condannata dal Secondo Tribunale Penale di Oviedo aveva 0,61 g/l nella prima prova alcolemica e 0,59 g/l nella seconda, effettuata cinque minuti dopo.
Nonostante il dato relativo alla mortalità alcolica, la sinistrosità in Spagna è in continua e costante diminuzione.
Di questo secondo gruppo fanno parte, oltre alla Spagna, l’Ungheria (+3,6%), la Slovenia (+3%) – che ha imposto da tempo l’assoluto divieto di bere per chi si mette alla guida – la Finlandia (+3%), la Gran Bretagna e l’Estonia (+2,5%), la Danimarca e la Svizzera (+1%) ed infine la Lituania (+0,5%).
Da precisare, comunque, che Svizzera, Danimarca, Estonia e Slovenia, pur appartenendo a questo gruppo, evidenziano un andamento che promette – alla prossima rilevazione dell’ETSC – di invertire la tendenza: soprattutto la Svizzera, che ha recentemente adeguato il tasso alcolemico minimo agli standard europei, facendo scendere la soglia da 0,8 a 0,5. I risultati nel paese dei Cantoni, dove ora gli agenti possono controllare chi vogliono, senza alcun “ragionevole sospetto”, si vedono già.
Secondo l’organismo di Bruxelles, sempre molto severo nei propri giudizi, la mancanza del miglioramento in questa nicchia della sinistrosità “ha gravemente impedito un complessivo progresso nella lotta alla riduzione del numero dei decessi a causa di sinistri stradali”: opinione del tutto condivisibile, visto che secondo l’OMS, addirittura l’incidenza dell’alcol nella letalità stradale sarebbe superiore addirittura al 20%, nonostante solo il 5% dei conducenti circoli in stato di ebbrezza.


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Fonte ETSC

(*) Variazione percentuale annua nei conducenti coinvolti in sinistri stradali legati all’assuzione di alcol, comparata al numero di conducenti coinvolti in altri incidenti mortali (Germania);
(**) variazione percentuale annua in conducenti morti a causa di incidenti stradali correlati all’uso di alcol, comparata al numero di conducenti morti in altri sinistri (Spagna)

 “Drink & driving”, dunque, è una piaga sociale. Strano, dunque, che un settimo delle 27 nazioni prese in considerazione, non sia attualmente in grado di fornire i dati richiesti per lo studio del PIN presso l’European Trafic Safety Council; “dati necessari – stigmatizza l’organismo – per valutare l’evoluzione nel tempo della situazione relativa alla guida ed al consumo di alcol”.
Di questo gruppo fanno parte l’Italia, appunto, ma anche il Belgio – che ospita peraltro l’ETSC – e poi l’Irlanda, Malta, la Norvegia, il Portogallo e la Svezia.
Sfuggono, alla rilevazione, le situazioni di Cipro e Lussemburgo: l’esiguità dei casi registrati – dovuti ovviamente all’estensione geografica assai limitata dei due stati – comporta un numero eccessivo di variabili che inciderebbero negativamente sulla corretta e reale valutazione delle variazioni percentuali.
Infine, qualche considerazione.
C’è infatti la sensazione che i dati evidenzino un numero di decessi legati all’assunzione dell’alcol ben più elevati rispetto ai rapporti di polizia giudiziaria o delle strutture sanitarie.
Possiamo parlare per noi: in Italia, infatti, è spesso la conclusione dell’iter giudiziario che consente di scrivere la parola “alcol” accanto alla voce destinata alla definizione della causa, alla quale ci sono comunque tutte le variabili dovute alla conclusione del dibattimento.
In Spagna, al contrario, il rapporto finale del sinistro è solitamente quello stilato dalla forza di polizia, al quale viene riconosciuta l’autorevolezza di menzionare subito, stabilendo le cause, il mancato uso – per esempio – delle cinture di sicurezza, o la presenza di alcol nel sangue di colui che, dalla rilevazione della dinamica, risulta aver provocato l’evento.
Ma allora, quale conclusione?
D’istinto, ci verrebbe di invocare subito un’armonizzazione della statistica, con regole precise da seguire in presenza di ogni sinistro stradale, e soprattutto immediatezza nella sua consultazione.
Purtroppo, da italiani, abbiamo la sensazione di non aver troppa voce in capitolo, visto che la raccolta di dati, almeno nella sicurezza stradale, non fornisce garanzie di affidabilità (perlomeno in termini di “freschezza”).
Quel che ci sembra possibile concludere, è che in generale serve un rigoroso sistema di controllo e di repressione, il quale conduca – in Italia – l’applicazione immediata della sanzione prevista.
Inutile, infatti, aumentare la durata dell’arresto, come proposto, quando la procedura penale ci insegna che difficilmente un ebbro sarà sottoposto a misure restrittive cautelari o detentive.
Più logico, come nella gran parte degli stati esteri, intervenire sull’accessorietà della pena, in termini di merito: all’accertamento dell’ebbrezza, dovrebbe seguire la sospensione immediata della patente (pronta revoca in caso di recidiva specifica) e la decurtazione contestuale dei punti (che oggi è possibile solo all’emissione del decreto penale di condanna), oltre alla confisca del veicolo.
Serve restituire a questa contravvenzione penale, insomma, la sua ragion d’essere: quella che spinse il legislatore a concepirla come un “reato di pericolo”, per il quale non deve essere necessario un danno per configurarsi.
E serve, infine, una decisa azione di sensibilizzazione.
“C’è un trend volto alla riduzione del limite BAC (Blood Alcohol Concentration, ndr) negli Stati europei – ha detto Jorg Beckmann, direttore esecutivo dell’ETSC – ma la certezza della sanzione in caso di superamento dei predetti limiti è un altro problema. Oggi, i controlli dell’alcol alla guida sono da considerarsi un’eccezione, piuttosto che la regola. Troppe poche nazioni applicano quelle strategie la cui efficacia è stata provata”.
Per questo motivo, l’ETSC si è già impegnato su due progetti. Il primo, denominato “Sano e Sobrio”, concepito allo scopo di richiamare l’attenzione per ridurre l’abuso di sostanze alcoliche nel trasporto stradale commerciale. Il secondo, “Drink Driving Policy Network” (Rete delle politiche per l’abuso di sostanze alcoliche alla guida), ideato invece per affrontare il problema dei trasgressori recidivi (con elevati livelli di BAC).

(*) la traduzione del rapporto originale, in lingua inglese, è stata redatta da Gianfranco Cecchi.

© asaps.it

Lorenzo Borselli

“Drink Driving”, l’indagine dell’ETSC
Giovedì, 26 Aprile 2007
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