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Articoli 27/03/2007

Sosta a pagamento: il verbale può essere annullato se all’utente non è stata data la possibilità di parcheggiare gratuitamente nelle adiacenze

La Cassazione: il giudice può disapplicare la delibera viziata ed annullare il verbale
da "il Centauro"
Sosta a pagamento: il verbale può essere annullato se all’utente non è stata data la possibilità di parcheggiare gratuitamente nelle adiacenze
di Ugo Terracciano*

 


Non è obbligatorio pagare il ticket della sosta se il Comune non ha creato, nelle adiacenze degli spazi blu a pagamento, superfici di libero parcheggio. A questa conclusione, anticipata da qualche giudice di pace particolarmente attento ai problemi di equità nell’uso delle strade (es. Giudice di pace di Roma, sentenza 22 marzo 2006 nr. 16237) sono giunte le Sezioni Unite della Cassazione, massimo organo della giustizia civile, con la sentenza 9 gennaio 2007, nr. 116. Così, non solo da ora in poi le penne degli ausiliari della sosta resteranno sospese a mezz’aria, ma quei Comuni che, in barba all’art. 7 del codice della strada, hanno dipinto di blu interi quartieri senza lasciare la minima possibilità a chi vuol sostare gratis, dovranno finalmente adeguarsi. Infatti da oggi è più chiaro che se l’amministrazione comunale non ha ottemperato, l’utente che è stato multato per aver sostato senza ticket in zona di sosta soggetta a pagamento, potrà rivolgersi al Giudice di Pace chiedendogli di disapplicare la delibera comunale imperfetta ed annullare incidentalmente il verbale. La questione, come abbiamo detto, era stata già sollevata davanti a diversi Giudici di Pace, soprattutto a Roma e Bari. A salire però fino in cima, tutti i gradini della giurisdizione, è stato un avvocato sardo, di Quartu Sant’Elena, che destinatario di numerose sanzioni per sosta senza ticket aveva fatto ricorso al Giudice di pace di Cagliari, competente per territorio. Nel ricorso, l’avvocato non si era perso in preamboli sollevando un problema di equità, apprezzabile per senso civico, prima ancora che per conformità alle leggi: come avrebbe potuto parcheggiare senza essere costretto a lasciare l’obolo al Comune, se lo spazio a sosta libera si trovava in una zona lontanissima? Che in quanto automobilista dovesse fruire di una simile alternativa, per l’avvocato, non rappresentava una semplice petizione di equità pubblica, ma un diritto sancito dalla legge e più precisamente dal codice della strada. Letto l’art. 7 del codice, quindi, il giudice con sentenza del 3 luglio del 2002, gli aveva dato ragione ed annullato i verbali, illegittimi non in sé, ma di riflesso all’illegittimità della delibera con la quale la Giunta municipale aveva stabilito di istituire tutti quei parcheggi a pagamento. La norma in questione sancisce che il Comune può certamente istituire parcheggi a pagamento, ma deve garantirne altrettanti gratuitamente nella stessa zona. Una regola di buona gestione che può essere superata solo nelle zone pedonali, in quelle a traffico limitato o quelle classificate, con tanto di delibera del Comune, di particolare interesse urbanistico. Ma, nel procedimento di Cagliari non era stato nemmeno ben provato che l’auto multata si trovasse in zona “A”, cioè in area di particolare interesse urbanistico. La tematica che il ricorrente aveva sollevato davanti al giudice territoriale riguarda la classificazione e la destinazione delle strade e degli spazi pubblici nelle città. La sensibilità intorno a questo problema era particolarmente cresciuta negli anni ’80 dopo che, per i due decenni precedenti, l’Italia aveva assistito all’inurbamento degli agglomerati cittadini, nonché all’esplosione del fenomeno della mobilità connesso al progresso ed al benessere. Così, il parlamento intervenne per la prima volta in maniera organica e sistematica con la legge Tognoli, n. 122/1989 recante disposizioni in materia di parcheggi. La legge istituiva presso la Presidenza del Consiglio un fondo per i parcheggi; prevedeva l’elaborazione di standards urbanistici relativamente alle quantità minime da destinare a spazi per parcheggi; stabiliva che nelle nuove costruzioni dovessero essere previsti, anche nelle aree di pertinenza, spazi di posteggio per le auto. Inoltre, anche per approssimarci di più alla materia che qui interessa, la legge 122/89 prevedeva la possibilità per i Comuni di delimitare aree pedonali urbane e zone a traffico limitato tenendo conto degli effetti del traffico sulla sicurezza della circolazione, sulla salute, sull’ordine pubblico, sul patrimonio ambientale e culturale. Di più, era data ai comuni la possibilità di delimitare zone di particolare rilevanza urbanistica nelle quali sussistono esigenze particolari di traffico. L’antecedente storico del comma otto, dell’attuale art. 7 cod. strad. era costituito dunque dall’art. 15 della legge 122/89, che prevedeva la possibilità di istituire parcheggi a pagamento, salvo rispettare la stessa proporzione di spazi di libera sosta nelle “immediate vicinanze”. Anche allora si poteva derogare nelle zone pedonali e a limitata circolazione e nelle zone di pregio urbanistico. La legge Tognoli che, possiamo dire, ha salvato le Città dalla saturazione dei mezzi in sosta ogni anno più numerosi, seguiva una ratio che ancora oggi non viene certo meno. In primo luogo con la previsione, oggi mutuata nell’art. 7 cod. strad., di una proporzione pari di posti a pagamento e liberi nelle immediate vicinanze, evita che il pagamento della sosta si possa trasformare in una tassa comunale di circolazione. Infatti, la sosta è un momento statico della circolazione e se per fermarsi occorresse assolutamente pagare, il ticket equivarrebbe ad un tributo locale. Quindi, in ultima analisi possiamo azzardare l’affermazione che lo spazio di libera fruizione salva il diritto di circolare (e sostare) senza balzelli. In secondo luogo la legge prevedeva e prevede una esenzione per quelle strade che già per regolamentazione generale vedono una limitazione alla circolazione, cioè quelle pedonali o a traffico limitato o pregevoli urbanisticamente. Qui, la proporzione tra posti liberi e a pagamento non vale poiché tendenzialmente la sosta dovrebbe essere limitata come il transito. Che la stessa filosofia della legge Tognoli restasse sottesa alla nuova formulazione contenuta nell’art. 7 cod. strad. oggi vigente non era stato inteso dal Comune di Quartu Sant’Elena che contestando la decisione del Giudice di Cagliari aveva fatto ricorso in Cassazione. Per dirimere ogni dubbio, la Suprema Corte ha rimesso la decisione alle sezioni unite, conferendo così particolare prestigio alla decisione finale che, come abbiamo detto è intervenuta con la sentenza 116/2007. La sentenza è di notevole interesse poiché scioglie diversi nodi sull’estensione dei poteri del giudice da una parte e sui limiti della pubblica amministrazione dall’altra. Sotto il primo profilo – osserva la Suprema Corte – anche se la controversia ha per oggetto il pagamento di sanzioni amministrative per violazione delle norme che regolano la sosta dei veicoli, il giudice ordinario può certamente valutarne gli atti amministrativi posti a base della pretesa sanzionatoria e sindacarli incidentalmente, ai fini della disapplicazione. Il giudice di pace di Cagliari ha disapplicato le delibere della Giunta comunale e le ordinanze del Sindaco istitutive dei parcheggi a pagamento riguardanti le contestate infrazioni perché esse (delibere n. 1469 del 21.8.1989, n. 1424 del 16.9.1991 e n. 621 dell’11.5.1994, nonché una serie di ordinanze del Sindaco comprese tra il periodo 18.5.1994 – 2.3.2001) non prevedevano la istituzione di parcheggi liberi né davano atto della preesistenza di tali parcheggi, in violazione dell’art. 7 Cds. Evidentemente si voleva fare riferimento all’art. 7, comma 8 CdS. Secondo cui "Qualora il comune assuma l’esercizio diretto del parcheggio con custodia o lo dia in concessione ovvero disponga l’installazione dei dispositivi di controllo di durata della sosta di cui al comma 1, lettera f), su parte della stessa area o su altra parte nelle immediate vicinanze, deve riservare una adeguata area destinata a parcheggio rispettivamente senza custodia o senza dispositivi di controllo di durata della sosta. Tale obbligo non sussiste per le zone definite a norma dell’art. 3 "area pedonale" e "zona a traffico limitato, nonché per quelle definite "A" dall’art. 2 del decreto del Ministro dei Lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, e in altre zone di particolare rilevanza urbanistica, opportunamente individuate e delimitate dalla giunta nelle quali sussistano esigenze e condizioni particolari di traffico". Il giudice di pace ha osservato anche che solo l’ordinanza n. 110 del 6 giugno 1994 aveva previsto l’istituzione di un parcheggio libero, ma questo era situato in zona lontanissima dall’area riguardante le contestate violazioni. Né poteva ritenersi, secondo il medesimo giudice, che l’obbligo di riservare un’adeguata area destinata a parcheggio libero non sussistesse con riferimento ai casi esaminati, in quanto i parcheggi rientravano nella zona definita "A" dall’art. 2 del decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 2 aprile 1968, perché il Comune non aveva mai definito come tale l’area in questione né aveva prodotto documentazione da cui risultasse che le strade di cui si trattava rientrassero in agglomerati urbani di particolare valore storico o di particolare pregio ambientale. In tal modo, ha osservato il Collegio, il giudice di merito non ha esercitato un inammissibile controllo su scelte di merito rimesse all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, ma ha solo rilevato vizi di legittimità dei provvedimenti amministrativi istitutivi delle zone di parcheggio a pagamento, consistenti nella violazione dell’obbligo di prevedere anche aree di parcheggio libero. In conclusione, utenti della strada e pubblica amministrazione sono coinvolti da un intreccio di obblighi e doveri: l’utente deve pagare il parcheggio, ma il Comune deve metterlo in condizioni di fruire anche di parcheggi liberi, altrimenti il ticket diventa un balzello; l’utente non può chiedere al giudice di criticare le scelte della pubblica amministrazione, ma il Comune ha il dovere di agire secondo la legge, cosicché, se il giudice ritiene che non l’abbia fatto può annullare le contravvenzioni disapplicando il provvedimento viziato. Insomma è una cerchio che si deve chiudere, e non può essere di certo un cerchio tutto colorato di blu.

* Funzionario della Polizia di Stato e
Docente di Politiche della Sicurezza

Presso l’Università di Bologna

Da “Il Centauro” n 110


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di Ugo Terracciano*

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Martedì, 27 Marzo 2007
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