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Articoli 27/02/2007

Il problema della sicurezza stradale in Europa e in Italia


Nella consapevolezza che l’incidentalità stradale è un problema di assoluto rilievo sociale ed economico e che non riguarda solo gli utenti della strada, occorre informare tutti i cittadini che le migliaia di morti ogni anno sulle strade italiane non possono essere semplicemente considerati come una calamità naturale, e quindi impossibile da arginare, ma al contrario, la mortalità sulle strade deve essere considerata come una vera e propria piaga sociale e come tale, è possibile trovare le soluzioni più opportune per sanarla. La sicurezza stradale, ad oggi, è considerata una delle maggiori emergenze nazionali, basti ricordare che la mortalità stradale in Italia:
• è la prima causa di morte escludendo le malattie
• è la prima causa di morte in assoluto per i giovani tra i 14 e i 40 anni
• ogni anno muoiono circa 6000 persone (15 al giorno)
• causa mediamente un danno economico del 3,5% del PIL ogni anno (circa 35 miliardi euro, ovvero come l’intera manovra finanziaria programmata per 2007).
Il nostro auspicio è ovviamente che tutto questo possa positivamente evolversi, per fare questo però, vi è bisogno del contributo di tutti, dei decisori politici, degli Enti e delle Istituzioni a vario titolo coinvolti, degli utenti della strada e di ogni singolo cittadino. E’ altrettanto evidente che solo con lo sviluppo di una solida cultura della sicurezza stradale si potrà realmente ridurre o contenere entro limiti fisiologici il problema della mortalità sulle strade. Nel 1990 gli incidenti stradali in Europa hanno determinato la morte di 85.360 persone. Quindici anni dopo, nel 2005, gli incidenti stradali hanno causato la morte di 50.505 persone, con una riduzione di 34.855 unità, pari a - 41%. Il miglioramento della sicurezza stradale realizzato in questi anni, quindi, ha dello straordinario, specialmente in considerazione che negli ultimi 10 anni i flussi di traffico passeggeri è aumentato ad un ritmo medio del 2-2,5% all’anno e la crescita media annua del traffico merci ha sfiorato il 3%. In Italia, poi, la motorizzazione del Paese, nello stesso periodo, è stata in continua crescita, per arrivare ad oggi a contare oltre 35 milioni di patentati e 49 milioni di veicoli circolanti. La riduzione delle vittime in Europa è sempre più ampia. Tra il 1990 e il 2002, la riduzione media annua delle vittime degli incidenti stradali è stata del 2,6% e nel triennio 2003-2005 il tasso annuo di riduzione è passato al 4,7% ovvero quasi il doppio del periodo precedente. Queste riduzioni sono certamente dovute all’attenzione particolare che tutti i Governi dell’UE hanno dato, negli ultimi anni, alla sicurezza stradale, varando tutta una serie di interventi legislativi tesi ad una drastica riduzione del fenomeno. Ricordiamo, infatti, che l’obiettivo dell’Unione europea per l’anno 2010 è di ridurre del 50% le vittime sulle strade. Anche in Italia, nel corso degli ultimi anni, sono state implementate numerose ed importanti iniziative legislative volte a ridurre
 l’incidentalità e le vittime sulle strade del Paese, consentendo una generale positiva evoluzione del fenomeno, in linea con il resto d’Europa. Dai 6739 morti e 239.354 incidenti del 2002 si è passati ai 5625 morti e 224.553 incidenti del 2004, con riduzioni della mortalità dell’ordine del 9-10% all’anno. I più recenti dati ISTAT, relativi al 2005, pubblicati da pochi giorni, confermano una ulteriore riduzione dell’incidentalità, ma purtroppo occorre segnalare la regressione della tendenza in diminuzione. Nel complesso, nel 2005, sono stati rilevati 225.078 incidenti, che hanno causato il decesso di 5.426 persone, mentre altre 313.727 hanno subito lesioni di diversa gravità. Rispetto al 2004 si riscontra una diminuzione del numero degli incidenti (-1,8%), del numero dei morti (-4,7%) e del numero dei feriti (-2,7%). Ma se valutiamo l’anno a partire dal 1° luglio 2003 (data di entrata in vigore della patente a punti) ci accorgeremmo che la riduzione della mortalità è pari a zero, mentre quella del totale incidenti è pari a 0,4%.(1)

UNA POSITIVA EVOLUZIONE MA NON ANCORA SUFFICIENTE

 Come potrebbe sembrare, quindi, entro il 2010 forse si riuscirà a raggiungere l’ambizioso obiettivo comunitario. In realtà la situazione è più complessa di quanto sembri, infatti, in primo luogo la riduzione realizzata negli ultimi quindici anni ci ha consentito di passare ad un tasso di mortalità certo più basso, ma non ancora soddisfacente. In secondo luogo la fase di forte riduzione dei tassi di mortalità stradale potrebbe facilmente rallentare una volta metabolizzate le norme come la patente a punti da parte degli utenti della strada. Infine, per alcune componenti del traffico, per alcune tipologie di mobilità e di utenti della strada l’evoluzione della sicurezza stradale non riesce a tenere il passo con la generale riduzione delle vittime. Un caso esemplare, che riveste una importanza fondamentale per il nostro Paese, è costituito dalla mobilità su due ruote a motore, gli incidenti stradali a carico di questo comparto di mobilità nel 2001 determinavano circa 1/6 delle vittime stradali complessive ma, alle attuali tendenze, nel 2010 ne determineranno circa 1/3. Comprendere i motivi per cui questa componente della mobilità risulta, in quasi tutti i Paesi, poco sensibile alle politiche di miglioramento della sicurezza stradale è di fondamentale importanza sia per la rilevanza del tema, sia per avviare, proprio partendo da questo settore, un sistema di azioni dedicate a operare in modo specifico e selettivo su comparti di mobilità dove si verificano elevati livelli di rischio o un’evoluzione regressiva.

  LE LINEE DI AZIONE PER LA RIDUZIONE DEL FENOMENO
E’ facile rendersi conto che siamo di fronte ad una configurazione del rischio stradale diversificata su base nazionale e regionale e che assume caratteri di maggiore complessità tali da richiedere strumenti di intervento generali e specifici oltre che un impegno diffuso e condiviso. Il problema nasce certamente da carenze strutturali ed infrastrutturali, dal tipo di mobilità e dai sistemi di trasporto pubblico, dall’assetto del territorio, da mancanza di una solida cultura della sicurezza stradale. Queste annose e diffusamente riconosciute carenze non possono colmarsi solo con interventi urgenti, contingenti o con politiche di ottica a breve termine, limitando ad aumentare le risorse dedicate alla sicurezza stradale e senza porre in discussione le politiche stesse (e probabilmente quelle che fino ad ora si sono adottate). La scelta di interventi anche “forti”, destinati ad incidere sui livelli di incidentalità, ma basati prevalentemente sull’incremento quantitativo delle risorse impegnate, senza modificare le strategie e l’architettura di sistema, porterebbe inevitabilmente a miglioramenti effimeri o comunque destinati a perdere efficacia entro periodi di tempo limitati. Ciò che occorre realmente è una innovazione strutturale delle politiche di intervento, degli interventi stessi e del tipo di approccio che dovrà essere di tipo innovativo, con un’attenta analisi e studio dei risultati ottenuti e senza mai perdere il contatto con un’azione di stretto monitoraggio dell’evoluzione dei risultati. E’ di fondamentale importanza quindi riuscire ad avere un monitoraggio statistico dei dati sull’incidentalità in tempi assolutamente brevi, certi e definiti, già fissati in fase di programmazione. In particolare, queste sono le principali linee di intervento generali, che oramai, in modo largamente condiviso sia a livello nazionale sia europeo, che si pensa possano arginare con successo il fenomeno:

(1) Confronti con dati ISTAT relativi al periodo 1luglio  
2004-30 giugno 2005, confrontati con il periodo 1luglio  
2003-30 giugno 2004, entrambi con patente a punti in vigore..


• Costruzione di una nuova e solida cultura della sicurezza stradale, basata sulla conoscenza dei principali fattori di rischio e sulla consapevolezza dei diversi stili di mobilità e delle condizioni di rischio associate (si pensi, ad esempio, che in Italia, solo nel 2004, sono morti ben 710 pedoni e 300 ciclisti, quasi tutti in ambito urbano o metropolitano, e che sulla rete autostradale ne sono invece morti 648). Questo obiettivo implica maggiori sforzi comunicativi (campagne di comunicazione istituzionali), migliorare l’informazione (sui dati), ed elevare il livello quantitativo e qualitativo di formazione (in scuole e università);
• Reingegnerizzazione del sistema normativo. Nuovo Codice della strada, sviluppo e affinamento del sistema patente a punti, al fine di pervenire ad un testo semplice e compatto (attualmente tra Codice e Regolamento di attuazione ci sono oltre 600 articoli), un vero e proprio manuale della sicurezza stradale;
• Realizzazione, aggiornamento e implementazione, a seconda dei casi, del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale (PNSS), dei Piani Regionali, Provinciali e Comunali, come strumenti basilari per la riduzione ed il governo della sicurezza stradale;
• Ricerca di nuove strategie di intervento per migliorare radicalmente il livello di incidentalità nelle aree metropolitane e più in generale nelle zone a forte antropizzazione (è noto infatti che oltre il 75% degli incidenti avviene in zona urbana) e nel settore della mobilità motociclistica;
• Sviluppo di nuove tecnologie per la sicurezza stradale a bordo veicolo (sicurezza attiva e passiva), sulle strade (sistemi ITS) e nei processi di governo della sicurezza stradale;
• Realizzazione di un sistema moderno e informatizzato per la rilevazione degli incidenti stradali, al fine di ottenere con assoluta tempestività tutti i dati necessari per poter costantemente monitorare il fenomeno e tutte le sue evoluzioni, compresi, ovviamente, gli effetti degli interventi programmati ed attuati.

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LA CULTURA DELLA SICUREZZA STRADALE
 Il rafforzamento della cultura della sicurezza stradale è l’azione preliminare per qualsiasi attività per migliorare la sicurezza stradale. Senza una maggiore consapevolezza e senza una partecipazione attiva di tutta la società al processo di miglioramento della sicurezza stradale i risultati, anche a fronte di un notevole impegno, sarebbero labili e di poco conto. Innovare la cultura della sicurezza stradale significa non solo migliorare la conoscenza e il rispetto delle regole della circolazione, ma anche costruire una maggiore consapevolezza dell’impatto sulla sicurezza e sull’ambiente dei diversi stili di mobilità e garantendo al tempo stesso a tutti i cittadini l’informazione in modo completo e chiaro sui diversi fattori di rischio e sui comportamenti pericolosi. Questa cultura, inoltre, non riguarda solo la popolazione più giovane (come erroneamente si crede) ma anche i tecnici che si occupano di strade, veicoli, mobilità, educazione, controllo, repressione e i decisori pubblici e privati. Ovviamente non si tratta di una linea di azione a breve, lavorare sugli schemi culturali, formare una nuova classe di tecnici più sensibili ai problemi della sicurezza stradale e in grado di analizzare i problemi ed elaborare le soluzioni necessarie per garantire condizioni di mobilità sicura e sostenibile è impresa ardua e che necessita di tempo. Tutto questo delinea i confini di una grande sfida, di una battaglia per smentire la previsione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul tragico peso che avranno gli incidenti stradali nel 2020. Non è affatto casuale che proprio i Paesi che hanno pienamente adottato questa visione complessiva della cultura della sicurezza stradale siano oggi quelli che vantano i più elevati livelli di sicurezza o i più alti tassi di riduzione delle vittime degli incidenti stradali. Affrontare questa sfida con un accettabile prospettiva di successo implica uno sforzo corale di massima entità per tutta la società.

L’IMPORTANZA DELLA PIANIFICAZIONE E DELLA PROGRAMMAZIONE
 Se vogliamo migliorare sostanzialmente lo stato e l’evoluzione della sicurezza stradale non possiamo limitarci a immettere più risorse nel sistema di interventi in atto. Anche se fosse possibile aumentare di diverse volte le risorse finanziarie e professionali – e non è detto che sia possibile – non è affatto certo che gli interventi tradizionali ci consentano di determinare miglioramenti di sicurezza stradale rilevanti e stabili nel tempo. Per determinare questo tipo di innovazioni abbiamo bisogno di dedicare più risorse alla formazione dei tecnici e dei decisori, di monitorare lo stato e l’evoluzione della sicurezza stradale, di analizzare i risultati determinati dagli interventi realizzati e di valutarne l’efficacia, di individuare le tipologie di intervento più efficaci, di diffonderne la conoscenza e di promuoverne l’applicazione nei contesti adeguati. Più di ogni altra cosa, tuttavia, abbiamo bisogno di una più stretta collaborazione tra i diversi soggetti che possono cooperare alla sicurezza stradale, della capacità di combinare risorse e apporti di diversi settori in progetti di elevata efficacia e di definire un sistema di priorità che consenta di concentrare le risorse nei settori dove si possono determinare i più rilevanti e stabili miglioramenti della sicurezza stradale. L’insieme degli elementi sopraindicati delineano una attività di pianificazione e programmazione strettamente integrata con il monitoraggio dell’evoluzione della sicurezza stradale e dei risultati degli interventi realizzati oltre ad una sistematica attività di valutazione dei risultati e di individuazione degli interventi più efficaci. Non è un caso che nei Paesi dove sono stati implementati piani di programmazione (Piani nazionali di sicurezza stradale) si sono avute le maggiori riduzioni di incidenti e di mortalità.

*Ministero dei Trasporti - Dipartimento per i trasporti terrestri
Direzione Generale per la motorizzazione Divisione 9
Prevenzione e sicurezza stradale Roma

da il Centauro n.109

© asaps.it

di Pietro Marturano*

da "il Centauro"
Martedì, 27 Febbraio 2007
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