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Corte di Cassazione 09/01/2007

Guida in stato di ebbrezza: le analisi ematiche fatte in ospedale sono pienamente utilizzabili, anche se manca il consenso al prelievo. Lo ha ribadito la Cassazione

Corte di cassazione - Sezione Quarta Penale
 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTISTI Mariano - Presidente
Dott. MARINI Lionello - rel. Consigliere
Dott. DE GRAZIA Benito Romano - Consigliere
Dott. CAMPANATO Graziana - Consigliere
Dott. MARZANO Francesco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da N.S., avverso la sentenza emessa il 5/2/2003 dal Giudice di Pace di Alessandria;
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il procedimento;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere Dott. Leonello Marini;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mario Fratcelli, il quale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

 MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza emessa il 5 febbraio 2003 il Giudice di Pace di Alessandria ha dichiarato N.S. responsabile del reato di guida in stato di ebbrezza di un autoveicolo, commesso il 30 giugno 2002 e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di Euro 1500,00 di ammenda, con applicazione della sanzione accessoria amministrativa della sospensione della patente di guida.
Ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, il N. deducendo, con un primo motivo, la violazione del D.Lgs. n.285 del 1992, art.186, e del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 739.
Il ricorrente, premesso che la norma del D.Lgs. n.285 del 1992, art. 186, pur dotando gli agenti di polizia di un’espressa facoltà di utilizzo del dispositivo tecnico dell’etilometro, non permette agli stessi di invadere coattivamente la sfera personale del soggetto con metodi di tipo invasivo (quale è il prelievo ematico) consentiti soltanto previa prestazione del consenso da parte dell’interessato, e richiamando al riguardo la sentenza della Corte Costituzionale 9 luglio 1996, n. 238, la quale ha affermato che "il prelievo ematico comporta certamente una restrizione della libertà personale quando la persona sottoposta all’esame non acconsente spontaneamente al prelievo, e ciò in quanto, seppur in minima misura, invade la sfera corporale della persona e di quella sfera sottrae, per fini di acquisizione probatoria nel processo penale, una parte che è, sì, insignificante, ma non certo nulla".
Poichè - osserva il ricorrente - nel caso di specie il N., trovato in stato di incoscienza a seguito dell’incidente stradale nel quale (alla guida della propria autovettura la quale aveva colliso contro un veicolo in sosta sulla pubblica via) era stato coinvolto, non era certamente in grado di esprimere (nè aveva espresso) il proprio consenso al prelievo ematico, gli agenti di polizia stradale non avrebbero potuto richiedere il prelievo del sangue al fine di provare lo stato di ebbrezza, nè il giudice avrebbe potuto, disattendendo l’eccezione proposta dal difensore, acquisire al fascicolo del dibattimento il certificato medico dell’Ospedale di Alessandria del 30 giugno 2002, contenente le analisi del sangue effettuate sulla persona di N.S. dal personale ospedaliero "esclusivamente per motivi clinici e per gli eventuali interventi che sarebbero occorsi per curare le lesioni patite dal soggetto nell’incidente stradale occorsogli, ma non certo in seguito ad una richiesta specifica degli agenti di polizia stradale".
Donde la inutilizzabilità del suddetto certificato, viceversa utilizzato dal giudice quale presunzione legale dello stato di ebbrezza dell’imputato.
Con un secondo motivo il ricorrente deduce la "omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione sulla prova della colpevolezza dell’imputato, nonchè violazione dell’art. 192 c.p.p." sul riflesso che l’affermazione di responsabilità è stata fondata esclusivamente sulle risultanze del citato, inutilizzabile, certificato ospedaliero, salvo un, non esplicitato, richiamo alla condotta di guida del N.S. ed un altro richiamo alle affermazioni dell’unico teste escusso (l’agente di polizia municipale intervenuto, nonchè redattore del verbale di incidente, P.A.), da ritenersi inidonee a provare la responsabilità dell’imputato per il reato a lui ascritto, in quanto espressione di un mero giudizio personale del teste, sì da fornire tutt’al più un indizio, l’unico nel caso concreto, del presunto stato di ebbrezza del conducente, in un contesto nel quale la giurisprudenza di legittimità, pur ammettendo la idoneità ai fini di vari elementi indizianti, anche diversi dall’accertamento effettuato con l’etilometro, ritiene, tuttavia, che sia insufficiente - al fine suddetto, un solo elemento, per di più del tutto personale e non ben definito, quale l’affermazione "emanava alito vinoso", occorrendo invece vari dati sintomatici dimostrativi, in modo in equivoco, dello stato di ebbrezza (ciò in armonia con il disposto dell’art. 192 c.p.p. in tema di valutazione della prova).
I suddetti motivi, per quanto bene articolati e per quanto in gran parte condivisibili in ordine alle affermazioni in linea di diritto in essi contenuti, non sono fondati alla luce delle concrete connotazioni del fatto così come prospettate nello stesso ricorso e nella sentenza impugnata, nonchè alla luce della motivazione di quest’ultima.
Va in primis rilevato, infatti, che l’affermazione della responsabilità del N. per il reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, è stata (assai succintamente, ma chiaramente) motivata sulla base di tre risultanze sinergicamente convergenti:

1) La dichiarazione del teste P., di aver percepito che il N., il quale dopo l’incidente aveva perduto i sensi, "emanava alito vinoso";
2) L’accertata condotta di guida dell’imputato, la quale - a differenza di quanto il ricorrente afferma - non è rimasta affatto non esplicitata dal giudice, atteso che nella parte iniziale della motivazione si legge che il N., "alla guida di un veicolo Renault, perdeva il controllo del mezzo venendo a collidere con un’auto in sosta";
3) Il valore di etanolo in circolo nel sangue del N. accertato presso il laboratorio di analisi dell’Ospedale di Alessandria, nel quale costui era stato ricoverato in conseguenza dell’incidente stradale.

Orbene - a prescindere, per il momento, dalla risultanza sopra indicata sub 3) - appare evidente che già quelle sole indicate sub 1) e sub 2) convergono in senso dimostrativo dello stato di ebbrezza del conducente, e va al riguardo osservato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, la prova dello stato di ebbrezza del conducente può essere tratta - in assenza, nel processo penale, della previsione "di prove legali" e valendo, in detto processo, il principio del libero convincimento del giudice -, dalla valutazione di tutti i dati disponibili, ed in particolare di una serie di elementi sintomatici, nel novero dei quali rientra indubbiamente anche quello rappresentato da un’anomala condotta di guida (non diversamente giustificata) alla quale fa esplicito richiamo l’art. 379 Reg., comma 3, laddove si precisa che "resta fermo, in ogni caso, il compito dei verbalizzanti di indicare ... le circostanze sintomatiche dell’esistenza dello stato di ebbrezza, desumibili, in particolare, dallo stato del soggetto e dalla condotta di guida; così come vi rientra la percezione, da parte di testimoni, del cosiddetto "alito vinoso" (Cass. Sez. 4^ 15/11/1994, n. 3829, Malacrino’; Cass. Sez. 5^ 1/2/1995, n. 2499, Corradini; Cass. Sez. 4^ 28/3/1995, n. 5296, Pisaniello; Cass. Sez. Un. 27/9/1995, n. 1299, Cirigliano; Cass. Sez. 6^ 27/1/2000, n. 2644, Calderas; Cass. Sez. 4^ 2/4/2000, n. 25306, Ottolini; Cass. Sez. 4^ 9/6/2004, n. 32961, P.M. in proc. Massacesi), dovendosi inoltre rilevare, in ordine a tale elemento, che la percezione, da parte del testimone, di un alito fortemente alcolico emanato dal conducente non costituisce, diversamente da quanto affermato in ricorso, un mero apprezzamento soggettivo od un giudizio, bensì un fatto oggettivo, percepito dal teste ex propriis sensibus (per mezzo dell’olfatto), utilizzabile al fine di prova ed avente valenza non difforme da quella riconoscibile alla percezione de visu di una determinata circostanza.
Va aggiunto che la già richiamata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, nell’affermare che lo stato di ebbrezza del conducente di veicoli può essere accertato e provato con qualsiasi mezzo (e non necessariamente nè unicamente attraverso la strumentazione e la procedura indicate nell’art. 379 C.d.S. del Regolamento) ha fatto riferimento all’ "alito vinoso" come elemento sintomatico dell’ebbrezza, e cioè di quello stato di alterazione psico - fisica del soggetto che, con riguardo alla fattispecie concreta qui in esame, il giudice ha considerato tale da aver privato il conducente della capacità di controllo del mezzo guidato, risultando pertanto giuridicamente corretta la metodologia dell’accertamento seguito dal giudice di pace, e non essendo censurabile in questa sede l’accertamento di fatto spiegato con succinta motivazione indenne da vizi logici.
S’intendono, già a questo punto, le ragioni della infondatezza del secondo motivo posto a sostegno del ricorso, nonchè il carattere assorbente di tale giudizio, sì che non sarebbe neppure strettamente indispensabile l’esame anche del primo motivo, che tuttavia questa Corte ritiene di considerare per evidenti ragioni di completezza, salvo rilevare l’infondatezza anche della censura rivolta dal ricorrente all’avvenuta acquisizione ed utilizzazione del certificato medico relativo all’accertato tasso di alcool nel sangue del N., rilasciato dall’Ospedale di Alessandria. 
Invero l’eccezione di inutilizzabilità del suddetto certificato avrebbe fondamento - per le ragioni di diritto, a valenza anche di principio costituzionale, esposte in ricorso - ove l’accertamento in esso documentato fosse stato effettuato su richiesta della polizia stradale, ma così non è, atteso che lo stesso ricorrente afferma che le analisi del sangue furono effettuate sulla persona di N.S. dal personale ospedaliero "unicamente per motivi clinici" ed a scopo curativo delle lesioni riportate dal predetto nell’incidente stradale de quo, "ma non certo in seguito ad una richiesta specifica degli agenti di polizia stradale".
Ne consegue che l’accertamento "invasivo" non è stato illegittimamente effettuato (assente il consenso dell’indagato) dall’organo di polizia giudiziaria a fini processuali (come non è più consentito per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 1996) e nel processo hanno avuto semplicemente ingresso i risultati ematici contenuti nella documentazione medica relativa al ricovero dell’imputato presso struttura ospedaliera in seguito ad incidente stradale occorso in occasione della commissione del reato ascritto, e questa Sezione 4 (vedasi la sentenza 12/6/2003, n. 37442, Cartoni) ha già avuto modo di affermare il principio di diritto, qui condiviso, secondo il quale, ai fini dell’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica, sono utilizzabili, nei confronti dell’imputato, i risultati del prelievo ematico che sia stato effettuato, secondo i normali protocolli medici di pronto soccorso, durante il ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica a seguito dell’incidente stradale subito in occasione della commissione del reato, trattandosi di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica e restando irrilevante, a questi fini, la mancanza del consenso.
Per le sin qui esposte ragioni il ricorso va rigettato, con le conseguenze ex art. 616 c.p.p., in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2006.
Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2006


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Martedì, 09 Gennaio 2007
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