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Articoli 07/12/2006

Richiami alla paura? A volte servono

Negli ultimi anni, i costi umani, sociali ed economici degli incidenti stradali in Italia sono divenuti così elevati da trasformare la questione della sicurezza stradale in una priorità nella tutela della salute e della sicurezza collettiva. Allo scopo di ottenere una riduzione del numero dei morti e dei feriti, sono necessarie precise normative e sanzioni immediate, adeguate e certe ma è altresì importante incoraggiare una modifica dei comportamenti di guida nella cittadinanza attraverso iniziative di sensibilizzazione e comunicazione. Le tecniche del marketing sociale sono sempre più applicate dagli enti pubblici per potenziare l’efficacia e l’efficienza delle campagne di comunicazione sociale. D’altro canto, le teorie sulla comunicazione persuasiva elaborate in ambito psicologico forniscono spunti importanti su come costruire e a chi rivolgere un messaggio sulla sicurezza stradale. Gli esperti di comunicazione del rischio sostengono che si possono distinguere in un messaggio due elementi principali: la minaccia o la conseguenza negativa (l’incidente stradale o la lesione creata dall’incidente, le sanzioni per le violazioni) e/o la raccomandazione comportamentale (indossare le cinture di sicurezza, non guidare da ubriachi, ecc.). Ad esempio, nelle due immagini a pag. 23 troviamo scelte diametralmente opposte.

 
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Nella figura di sinistra, si nota come l’immagine riguarda la conseguenza negativa della mancata adozione del comportamento protettivo e la raccomandazione è implicita nel messaggio di testo “Se solo avessi indossato le cinture” (Campagna Think! Uk). Nella figura di destra (Campagna "Vivere al massimo, rischiando il minimo", Piani per la Salute di Cesena), l’immagine è piacevole e riguarda la raccomandazione comportamentale, al posto della conseguenza negativa il testo rimanda ad una generale conseguenza positiva di tale comportamento (preservare la vita). Negli ultimi anni è diventato un ritornello comune anche all’interno della comunità scientifica sostenere che i messaggi centrati sulla paura (i cosiddetti “fear appeal”) sono inefficaci e controproducenti. Questa sorta di pregiudizio contro le “pubblicità shock” o “terroristiche”, a volte ideologico, non trova però riscontro nelle teorie e nelle ricerche scientifiche. In primo luogo è opportuno fare un po’ di precisazioni. A livello comunicativo, sono molto diversi i messaggi centrati sui rischi e conseguenze negative di un comportamento da quelli centrati sul giudizio negativo della persona che non adotta il comportamento (“sei un incapace, ignorante, irresponsabile”) o che ha subito le conseguenze del comportamento (“è colpa tua”, “te la sei andata a cercare”). In questo caso, il secondo tipo di messaggio è più problematico da un punto di vista etico perché è colpevolizzante e risulta meno valido perché identifica la causa in deficit personale e non nel comportamento scorretto potenzialmente modificabile. È ovvio che un messaggio centrato sulle conseguenze negative, attiva emozioni maggiormente disturbanti e fastidiose. E’ vero altresì che alcuni messaggi scelgono di mostrare le conseguenze in modo più simbolico per ridurre la carica emotigena, (ad es. un uovo rotto, un disegno, un pedone stilizzato con sangue, un finestrino spaccato, un vetro in frantumi) mentre altri includono immagini o filmati persone morte o ferite in incidenti stradali, arrivando ad elevare al massimo l’attivazione emozionale, come ha fatto recentemente in Australia la TAC presentando una scena post-incidente di una madre che travolge un bambino in strada. Spesso poi, i messaggi sulla sicurezza stradale non si sono centrati su conseguenze semplicemente astratte o gratuitamente terrifiche ma su quelle rilevanti nel target, come ad esempio danni estetici sul volto, conseguenze legali-economiche, coinvolgimento di vittime vulnerabili come i bambini. In una recente campagna UK, un manifesto enfatizza come superare la velocità di soli 10 mph (il limite in Gran Bretagna è di 30 mph) possa fare la differenza fra ferire un bambino oppure ucciderlo.
 


Il cartellone è diviso in due metà verticali: in quella di destra è fotografato un mezzo viso di bambino “sano” con sotto la scritta “Colpiscimi a 30 mph e c’è l’80% di probabilità che sopravviva” mentre nella parte sinistra al posto del viso, è fotografato una metà di teschio con la scritta “Colpiscimi a 40 mph e c’è l’80% di probabilità che muoia”. L’analogia del danno a terzi (in questo caso i bambini) è utilizzata per spiegare l’importanza di una norma stradale: infatti, alla fine si legge “It’s 30 for a reason” per sottolineare che i limiti di velocità non sono semplici regole restrittive della libertà personale ma modalità per proteggere i più deboli e regolare la convivenza sociale. Secondo la teoria della “reattanza psicologica” elaborata da Brehm negli anni Settanta, i messaggi centrati sulla paura sarebbero inutili perché sarebbero percepiti come restrizioni delle possibilità di scelta e limitazioni alla libertà personale e per tale motivo scatenerebbero reazioni in direzione opposta volte a riaffermare la propria autonomia (“faccio quello che voglio”). In realtà questa teoria è stata solo parzialmente confermata e le più recenti ricerche mostrano un quadro concettuale più complesso. Innanzitutto, è vero che un messaggio troppo negativo scatena risposte di evitamento ma anche uno troppo poco emotivo rischia di risultare noioso e di passare inosservato nella mole di messaggi che riceviamo quotidianamente. Il recente modello delle “risposte parallele” di Witte (2001) sostiene che di fronte ad un messaggio che raccomanda un’azione attraverso il ricorso a emozioni spiacevoli, alcuni soggetti reagiscono con più motivazione ad adottare il comportamento, altri si allontanano e rifiutano il messaggio, altri rimangono indifferenti. Ciò dipende dalla percezione che i destinatari hanno della minaccia e dalla capacità di farvi fronte. In pratica se il ricevente del messaggio percepisce la minaccia ma non ritiene che il comportamento raccomandato (indossare le cinture, andare piano) sia efficace (es., “non serve a niente”, “se ti deve capitare ti capita”) e che non è in grado di intraprenderlo (es., “non ci riesco”, “è troppo difficile”), tenderà a “controllare la paura”, reagirà in modo difensivo, negando, accusando ed evitando e quindi non seguirà le indicazioni. Se invece il ricevente pensa che ad esempio indossare le cinture sia utile (alta efficacia del comportamento raccomandato) e che sia semplice farlo (alta efficacia personale), sarà più portato a “controllare il pericolo” e quindi ad adottare comportamenti sicuri. Per tale ragione, la comunicazione deve da una parte “spaventare” presentando la minaccia anche nel suo realismo e vividezza, dall’altra deve fornire indicazioni percepibili come semplici e utili per allontanare la minaccia. I messaggi più efficaci sono quindi quelli che includono la se q u e n z a “minaccia-raccomandazione comportamentale”, piuttosto che uno solo dei due elementi. Questi funzionano perché sono strutturati secondo il paradigma “problema-soluzione”: prima si mostra il rischio attivando emozioni negative nel destinatario e poi lo si rassicura, spiegando che adottando un certo comportamento potrà ridurre la probabilità della conseguenza negativa. Un esempio di tale approccio è dato dal video “Backwards” lanciato dall’agenzia “THINK!” da anni impegnata sul fronte della comunicazione del rischio stradale. Il filmato inizia in questo modo: tre ragazzi feriti e con la testa sanguinante sul parabrezza a seguito di un incidente frontale, poi la storia procede a ritroso (come se venisse riavvolto il nastro nel videoregistratore) mostrando i ragazzi chiacchierare tranquillamente, quello dietro con una pizza in mano e senza cinture di sicurezza mentre escono da un parcheggio. Entra la voce: “se avessi un’altra possibilità, cosa faresti di diverso?”. La storia ora procede in avanti, i ragazzi mettono la cintura uscendo dal parcheggio, parlano fra loro e non si accorgono della macchina di fronte: incidente frontale. Per fortuna le cinture allacciate li salvano dall’impatto, sono spaventati ma il danno più sostanziale è la pizza sul parabrezza. Messaggio finale audio: “pensaci! indossa sempre le cinture”. Nel filmato, è chiaro il riferimento simbolico al rosso del sangue e a quello della pizza, per indicare la conseguenza meno grave nel caso fossero state indossate le cinture. Si nota anche una scelta strategica del target: i protagonisti sono giovani maschi (la categoria con più alti tassi di mortalità per incidenti) che utilizzano l’auto in un contesto urbano (per andarsi a prendere una pizza) senza indossare le cinture né davanti né dietro. Lo script del filmato utilizza quello che in psicologia si chiama il “pensiero controfattuale”, ovvero un pensiero che riguarda scenari alternativi a come si sono svolti i fatti. È infatti comune che le persone dopo eventi accidentali negativi abbiano pensieri tipo “se solo…”. Mostrare tali processi cognitivi e gli scenari alternativi attraverso il gioco indietro-avanti nel tempo rende molto efficace la comunicazione. Concludendo, non ha molto senso chiederci se le campagne “shock” servono o no ma piuttosto in che contesto, in che modo e con chi funzionano di più e saperle utilizzare nel modo più appropriato come già accade da anni negli altri paesi europei.
Witte, K., Meyer, G., & Martell, D. (2001). Effective Health Risk Messages: A Step-by-Step Guide. Newbury Park, CA: Sage.. Think Road Safety Website: www.thinkseatbelts.com

*Docente di Psicologia dell’emergenza
Università degli Studi di Bologna 

© asaps.it

di Luca Pietrantoni
da "il Centauro" n. 107
Giovedì, 07 Dicembre 2006
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