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Articoli 18/09/2006

Quando il tunnel diviene killer: se la strada non consente errori, le viscere della terra fanno pagare un prezzo terribile…

 

(ASAPS) – Lo sapevate che è praticamente impossibile tenere il conto delle tragedie in galleria? Affrontare scientificamente questa statistica comporta le stesse variabili della strada ed allora ci ricordiamo del rischio solo quando un incidente all’interno di un tunnel è caratterizzato dal fuoco. Lo abbiamo fatto per il Monte Bianco, per il Gottardo, per i Tauri. Abbiamo bucato le montagne, facendoci passare tutto quello che passa in superficie: imbocchiamo tunnel in auto senza nemmeno pensare alle conseguenze della nostra guida troppo spesso sconsiderata.

Classificarli tutti o prendere in esame solo quelli con incendio?

L’evento svizzero sembra frutto di una casualità: un’auto che perde una ruota, una manovra d’istinto per evitarla, lo scontro e poi il rogo. Due persone che avrebbero potuto mettersi in salvo si attardano per salvare due persone rimaste incarcerate tra le lamiere e moriranno a loro volta. 4 vittime trovate in carreggiata, probabilmente asfissiate dalle esalazioni al cianuro della combustione.

La domanda che abbiamo il dovere di porci è: cosa sarebbe accaduto se un evento del genere si fosse verificato in qualche tunnel italiano? Noi, che abbiamo oltre 1.000 km di gallerie stradali ed almeno 800 km di tunnel ferroviari, sembriamo essere i più “distratti”, se così possiamo dire, per quanto riguarda il settore della prevenzione: ad esempi di eccellenza – come il nuovo tunnel tra Sasso Marconi e Casalecchio di Reno in A1 – contrapponiamo le vere e proprie trappole della E45, ma gli esempi di questa scelleratezza sono centinaia.

La risposta è ovvia: si tratterebbe di una carneficina e se dovesse accadere, parleremmo di “strage annunciata”.

Infatti l’incidente svizzero è avvenuto paradossalmente nel paese che subito dopo la tragedia italo-francese del Monte Bianco e quella austriaca dei Tauri del 1999, decise di effettuare un’immediata verifica sullo stato dei propri tunnel. All’epoca in quel paese, i tunnel stradali di oltre 600 metri – considerati convenzionalmente quelli maggiormente rischiosi – erano 102 e solo 4 risultarono non in linea con i criteri minimi di sicurezza, tutti sulla A32, nel cantone dei Grigioni.

Il tunnel Viamala, teatro della sciagura di sabato 16 settembre 2006, era proprio uno di questi. L’Ufficio Federale svizzero per le Strade – la nostra Anas – lo visitò con una speciale commissione e decretò un verdetto di insufficienza insieme alle gallerie del San Bernardino, del Baeremburg e della Rofla.

Le carenze riguardavano gli impianti di illuminazione, che vennero adeguati pochi mesi dopo. Dunque, se non ci sbagliamo a rileggere nei nostri archivi, lo scenario della tragedia elvetica di sabato scorso è avvenuta in un luogo ove tutto era stato predisposto con meticolosità e precisione. Eppure è avvenuto, così come avvenne la tragedia del San Gottardo, nel 2001, in un contesto di assoluta perfezione strutturale, in un paese che si era preparato al massimo contro eventi di questo genere.

A dire la verità, anche in Italia dopo i 39 morti di Courmayeur il ministero dei Trasporti aveva messo a punto una serie di norme, finite nella circolare n. 7938 del 06.12.1999 (Sicurezza della circolazione nelle gallerie stradali con particolare riferimento ai veicoli che trasportano materiali pericolosi), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n° 57 del 09.03.2000.

Ma che ne è stato di questa iniziativa? È stato effettuato il censimento sullo stato dei manufatti di cui si parla nella circolare? Non lo sappiamo, ma sappiamo di certo che sulla rete viaria esistente, soprattutto quella non in concessione alle società autostradali, è stato fatto pochissimo o niente.

Nelle nostre gallerie non solo non ci sono telecamere di sorveglianza, ma non ci sono estintori, non ci sono interfoni, non ci sono piazzole di sosta e illuminazioni sufficienti, le volte sono annerite e la segnaletica – quando c’è – è illeggibile per la posatura delle polveri di scappamento e della strada.

Un incendio in queste condizioni, senza l’indicazione di un percorso di fuga e, soprattutto, senza la minima comunicazione impartita preventivamente agli utenti della strada, comporterebbe senz’altro una tragedia.

Insomma: se questi eventi accadono all’interno dei manufatti più moderni, è ovvio che le norme di sicurezza possono solo intervenire per limitare i danni.

Ad oggi – secondo le nostre ricerche – le uniche verifiche sulle distanze di sicurezza in Italia vengono fatte all’interno del Monte Bianco, ma il fatto è che anche il codice della strada – in questa fattispecie – non è solo carente, ma addirittura inesistente.

Grave, gravissimo per un paese, il nostro, che tra quelli europei vanta il maggior numero di gallerie e trafori, alcuni dei quali tra i più lunghi del mondo: opere avveniristiche, quando vennero realizzate, ma che è venuto il momento di mettere a norma. Si pensi che la galleria ferroviaria di San Benedetto Val di Sembro, che taglia l’appennino tra Firenze e Bologna e che è lunga 18 km e mezzo, è ancora oggi tra le prime 10 in classifica mondiale (per lunghezza), accostata a nomi come il tunnel di Seikan (Giappone) che sfiora i 55 km e l’Eurotunnel, che ne misura 51,4.

Vista la conformazione del nostro territorio, limitato a nord dalle Alpi e tagliato in mezzo per tutta la sua lunghezza dall’Appennino, pensare a vie di comunicazione senza trafori è impossibile, ma giocare così con la vita delle persone è decisamente indegno di un paese civile, tanto per parafrasare il presidente Chirac.

Anche le gallerie ferroviarie tradizionali però – non parliamo di quelle in realizzazione per le linee TAV – fanno decisamente preoccupare: assolutamente buie, non ce n’è una con un percorso di fuga.

E dire che il nostro paese è famoso per una delle sciagure ferroviarie più gravi, e nel contempo dimenticate, della storia: fra il 2 e il 3 marzo 1944, nella galleria tra la stazione di Balvano e Bella-Muro, il treno 8017 Napoli-Battipaglia-Potenza, trainato da due locomotive a carbone e composto da 47 vagoni, tutti stracarichi di persone, si fermò improvvisamente all’interno della “galleria delle Armi”, lunga 1966 metri. Tre vagoni erano rimasti sinistramente fuori dell’accesso ed un silenzio irreale accolse i primi sparuti soccorritori, arrivati circa 6 ore più tardi. La locomotiva di soccorso agganciò il convoglio dal retro e la riportò a Balvano, con i suoi 650 (cifra incerta) passeggeri. Oltre 600 erano morti per le esalazioni del fumo. Una tragedia avvolta nel mistero, ancora oggi, avvenuta però all’interno di una galleria. Era il 1944: siamo sicuri che sono cambiate molte cose da allora? Può forse consolarci il fatto che i nostri treni sono alimentati perlopiù da energia elettrica? Se così fosse, ci accontentiamo veramente di poco.

Ma restiamo sui tunnel stradali: la circolare del 1999 stilò in sostanza un decalogo che avrebbe dovuto essere attuato dagli enti proprietari delle strade per tutti i tunnel con lunghezza superiore al chilometro in strade extraurbane e di 500 metri su quelle urbane. È un errore madornale, ci venga consentito questo giudizio, perché per una persona ferita o presa dal panico già una galleria di 600 metri può rivelarsi una trappola. In caso di incidente con incendio, infatti, il fumo saturerebbe in pochi minuti tutto l’ambiente, rendendolo assolutamente buio. L’energia elettrica – visti gli impianti di illuminazione (quando ci sono) – verrebbe subito a mancare e l’assenza di sale di controllo, di sistemi di ventilazione (in grado di orientare la direzionalità dell’aria e l’evacuazione dei fumi) e vie di fuga segnalate, tutti morirebbero nel giro di pochi minuti. È già successo, non si tratta di fantasie…

In ogni caso il decalogo raccomandava di:

  1. limitare la distanza di sicurezza tra i veicoli di almeno 100 metri nelle gallerie a doppio senso di marcia lunghe più di 2 chilometri;
  2. garantire l’illuminazione all’interno di gallerie e tunnel entro il 31 dicembre del 2000;
  3. dipingere  le pareti dei tunnel con vernice bianca e garantire la pulizia ed il mantenimento di tale condizione;
  4. installare colonnine di soccorso con fonia in tutte le piazzole delle gallerie extraurbane lunghe oltre un chilometro ed in quelle urbane lunghe oltre 500 metri;
  5. predisporre pannelli segnaletici luminosi di pericolo
  6. installare semafori per l’arresto della marcia;
  7. sistemare estintori in prossimità delle colonnine di soccorso;
  8. collocare idranti ogni 200 metri nelle gallerie lunghe oltre 2 km;
  9. valutare il divieto di transito alle merci pericolose.

La maniera in cui questa circolare è rimasta lettera morta è assolutamente uno scandalo e l’Europa ce lo ripete praticamente ogni anno, ma sembra davvero non interessare nessuno. (ASAPS)


© asaps.it

Di Lorenzo Borselli

Incidenti in galleria / Il parere dell’Asaps
Lunedì, 18 Settembre 2006
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