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TRE SUL CICLOMOTORE, RISARCITO IL PASSEGGERO DISARCIONATO

(Asaps) Che portare due passeggeri sul ciclomotore sia vietato, tutti lo sanno. Ma non tutti sanno che chi lo fa deve guidare con prudenza, pena il risarcimento dei danni al passeggero in soprannumero. A prima vista può sembrare un paradosso, ma l’affermazione arriva direttamente dall’empireo del diritto: la Cassazione con la sentenza 17 gennaio - 1 giugno 2006, n. 13130, ha affermato che si applica la presunzione di colpa di cui all’art. 2054 del codice civile al conducente del ciclomotore anche per i danni, subiti durante la circolazione, dal terzo trasportato. Detta brutalmente, anche se chi sale, stipandosi a forza su un improbabile spazio al margine del sellino, sa bene di mettersi in una posizione assai pericolosa, se poi si fa male ha diritto ad un lauto risarcimento. Ma a leggere bene la sentenza, in punto di diritto la questione è un’altra. Domanda sottesa: è il danneggiato, per ottenere il risarcimento, che deve provare la colpa del conducente, oppure è chi conduce che deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno?

Per rispondere partiamo dai fatti: Gallipoli in Puglia, tre sul motorino, strade strette, andatura inevitabilmente ondivaga. Sfiorando troppo le auto in sosta il passeggero posteriore sbatte col ginocchio contro un veicolo fermo e viene disarcionato. Del resto era un rischio prevedibile poiché salendo in sella da buon ultimo aveva dovuto tenere le gambe divaricate per lasciare spazio al passeggero centrale. Si finisce prima in ospedale, poi presto davanti al giudice di pace che però rigetta la domanda di risarcimento. Quindi altro ricorso e la palla passa al Tribunale di Lecce che in appello riconosce il diritto al risarcimento.

Il giudice applica l’art. 2054 cod. civ., cioè la norma più rigorosa per chi guida.

Recita il primo comma: “Il conducente è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone e cose dalla circolazione del veicolo se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”. E’ chiaro che la norma, ponendo a carico del conducente l’onere della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, non si è limitata soltanto a derogare alle comuni regole probatorie della responsabilità civile, ma ha imposto ai conducenti un comportamento particolarmente oculato e prudente, estendendosi fino agli estremi limiti possibili della diligenza, cosicché sussiste una differenza di intensità e di livelli, per quanto tenue tra il normale concetto di colpa penale o civile e la colpa considerata rilevante e sanzionata dall’art. 2054 cod. civ. (Cass. 1429/1970). In Cassazione, però, la parte pone un altro problema. Fermo restando che applicando l’art. 2054 occorre discolparsi provando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, è proprio quella la norma che il giudice deve applicare qualora il danneggiato non sia l’antagonista ma il trasportato? Si ripropone così ai più alti livelli la tematica annosa del cosiddetto “trasporto di cortesia”. Semplificando la domanda è: se ti ho fatto il favore di farti salire e ti ho dato un passaggio, perché in caso di incidente devo adoperarmi per dimostrare anche nei tuoi confronti che ho fatto tutto il possibile per evitare il danno? A massimo sarai tu a dover provare, in applicazione dell’art. 2043 cod. civ., la mia colpa di conducente. Questo è il tema della decisione 13130/2006, nello sviluppo del quale la Corte rammenta che sulla questione si agitano, in letteratura ed in giurisprudenza, due posizioni contrapposte: la prima propende per l’applicazione dell’art. 2054 anche a favore del trasportato, la seconda, invece, per l’applicazione, per la posizione di quest’ultimo, dell’art. 2043 cod. civ. Nella prima ipotesi è il conducente che deve provare di non aver sbagliato nulla, nella seconda è il trasportato che deve raccogliere le prove in ordine alla negligenza di chi guidava. Una prospettiva, come si nota, piuttosto diversa, quando poi ci si trova davanti al giudice al processo.

Ora, la Cassazione ricorda che da tempo, la giurisprudenza ha scelto la prima via: quella più rigorosa che penalizza processualmente il conducente. E questo vale anche quando chi circola da terzo passeggero, su le due barcollanti ruote di un motorino sovraccarico, si poteva ben prefigurare sin dall’inizio che sarebbe stato piuttosto arduo, per il conducente, guidare diligentemente e con speciale prudenza. Una prudenza che non ha certo dimostrato, già all’inizio, ospitando per una cortesia tutt’altro che corrisposta, due passeggeri su un mezzo monoposto (Asaps).

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Cassazione – Sezione terza civile – sentenza 17 gennaio-1 giugno 2006, n. 13130


Presidente Fiduccia – Relatore Bisogni


Pm Golia – parzialmente conforme – Ricorrente S. ed altri


Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 20 gennaio 1997 i signori F. B. e C. D. S., genitori di A. B., convenivano in giudizio i signori F. S. e L. C., genitori di M. S., e chiedevano la loro condanna al risarcimento dei danni subiti dal figlio a seguito dell’incidente verificatosi il 15 giugno 1995 a Gallipoli (Le). Deducevano che l’incidente era ascrivibile alla responsabilità della S. che, trasportando il B. e un’altra ragazza a bordo del suo ciclomotore, era andata a urtare una autovettura in sosta provocando danni alla persona del B..

Si costituivano i signori S. eccependo l’irritualità della vocatio in ius e contestando la responsabilità a carico della figlia che non aveva urtato il veicolo in sosta ma vi si era solo accostata. Rilevavano inoltre che alla fattispecie non poteva applicarsi alcuna presunzione di colpa in favore del trasportato e chiedevano il rigetto della domanda di risarcimento.

Il GdP di Gallipoli con sentenza del 10/18 febbraio 1998 rigettava la domanda di risarcimento e compensava le spese processuali.

Proponevano appello i signori B..

Nel corso del giudizio di appello si costituivano in proprio A. B. e M. S. divenuti maggiorenni. Il Tribunale di Lecce, con sentenza del 16 novembre 2001-7 febbraio 2002, riteneva applicabile alla fattispecie la presunzione di cui all’articolo 2054 comma 1 del Cc; riteneva pertanto la S. interamente responsabile del danno che liquidava in lire 17.400.000 all’epoca dell’incidente e conseguentemente condannava gli appellati in solido al pagamento della predetta somma con interessi legali maturati sulla somma annualmente rivalutata sino al saldo, oltre che al pagamento della metà delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. Ricorre per cassazione contro la sentenza del Tribunale di Lecce M. S., unitamente ai genitori, deducendo quattro motivi di ricorso (attinenti a erronea, incoerente ed illogica valutazione della testimonianza, erronea analisi su un punto decisivo della controversia costituito dalla condotta della ricorrente, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2054 Cc, illegittima quantificazione del danno). Motivi della decisione Va in primo luogo affrontato il terzo motivo di ricorso che attiene a violazione e falsa applicazione di legge. Con tale motivo la ricorrente si limita sostanzialmente a ricordare che accanto all’orientamento giurisprudenziale più recente – che ritiene l’applicabilità dei principi generali espressi dall’articolo 2054 Cc a tutti i soggetti che ricevono danni dalla circolazione dei veicoli – esiste un orientamento contrario che ritiene non invocabile da parte dei terzi trasportati la presunzione di colpa ex articolo 2054 del Cc.

L’orientamento ormai consolidato di questa Corte è nel senso di ritenere che «in materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, l’articolo 2054 Cc esprime, in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni, e quindi anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale (oneroso o gratuito). Consegue che il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasportato, può invocare i primi due commi della disposizione citata per far valere la responsabilità extracontrattuale del conducente ed il comma 3 per far valere quella solidale del proprietario, che può liberarsi solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile per evitare il danno» (Cassazione, Sezione terza civile 10629/98 e fra le molte sentenze conformi successive Cassazione, Sezione terza civile 4022/01). Si tratta di un indirizzo giurisprudenziale che non incontra più contrasto nelle pronunce della Corte di legittimità e rispetto al quale non sussistono motivi di dissenso che possano basarsi in particolare sulla fattispecie in esame.

Il primo e il terzo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente dato che si riferiscono entrambi a censure di insufficienza o inadeguatezza della motivazione. Si tratta di censure che, lungi dall’individuare elementi di fatto non adeguatamente valutati dai giudici di appello, si propongono in realtà come contestazioni della decisione di merito e sono intese a provocare una diversa valutazione dei fatti. Per ciò che concerne la valutazione consentita al giudice di legittimità deve rilevarsi che la motivazione della sentenza impugnata appare esauriente e immune da vizi logici. Dopo avere affermato l’applicabilità dei principi di cui all’articolo 2054 Cc i giudici del Tribunale di Lecce hanno escluso che la S. abbia fornito la prova liberatoria consistente nella dimostrazione di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno. In particolare non risulta ai giudici dell’appello, sulla base delle acquisizioni istruttorie, che la S. abbia rispettato le norme del Cds a quelle di comune prudenza e diligenza. Risulta al contrario che la S. procedesse alla guida del ciclomotore con a bordo non solo il B. ma anche un’altra amica.

Quest’ultima, sentita come testimone, ha dichiarato che il B. sedeva dietro di lei e, «pur stando composto, teneva le gambe divaricate trovandosi nella posizione di ultimo sul vespino». L’incidente si verificò secondo la ricostruzione della testimone perché il B. urtò con il ginocchio una macchina in sosta, costeggiata dal ciclomotore, e cadde in terra procurandosi le lesioni personali per le quali chiede il risarcimento in questo giudizio. Secondo il Tribunale di Lecce da tale deposizione deve dedursi che la S. adottò una condotta di guida non adeguata alle condizioni eccezionali in cui viaggiava il ciclomotore. In particolare la S. avrebbe dovuto evitare di procedere a ridosso delle autovetture in sosta mentre nessun addebito può essere mosso al B. per la posizione divaricate delle sue gambe che evidentemente dipendeva dalla presenza di un altro trasportato sul ciclomotore, presenza che impediva al B. di appoggiare i piedi sull’apposita pedana e lo costringeva a posizione le gambe in corrispondenza della parte più larga della scocca del veicolo. A fronte di questa precisa ricostruzione del fatto che si basa sulla deposizione di una teste assolutamente rilevante, i ricorrenti si limitano sostanzialmente a contestare la sussistenza di una prova positiva della responsabilità esclusiva di M. S. nella causazione del sinistro. Tale contestazione è evidentemente in contrasto con l’onere probatorio che incombeva loro per effetto dell’applicazione dell’articolo 2054 Cc alla fattispecie.

Essa inoltre non tiene conto della congruenza della ricostruzione dei fatti compiuta dai giudici di appello, ricostruzione cui non è contrapposta alcuna ipotesi alternativa di verificazione del sinistro, che non sarebbe stata adeguatamente valutata dai giudici dell’appello. I ricorrenti lamentano anche che il Tribunale di Lecce non abbia determinato in quale misura il B., con la sua decisione imprudente di salire a bordo del ciclomotore, abbia concorso a determinare l’incidente. In questa sede si può esclusivamente rilevare che tale mancata determinazione non può considerarsi un’omissione da parte dei giudici di appello. Infatti se si ha presente la ricostruzione del sinistro operata nella motivazione della sentenza leccese si evince chiaramente, come si è già detto, che la responsabilità del sinistro è stata attribuita alla conducente del ciclomotore per la sua guida inadeguata alla situazione anomala cui si era esposta ospitando due persone a bordo dello scooter. Per altro verso emerge dalla motivazione, da un lato, la valutazione per cui l’adozione di una condotta di guida prudente e adeguata alla situazione avrebbe di per sé consentito di evitare il sinistro e, dall’altro, il rilievo per cui, da parte degli odierni ricorrenti, non è stata fornita alcuna prova contraria a tale assunto basata su circostanze oggettivamente valutabili. Infine con il quarto motivo i ricorrenti lamentano che il Tribunale di Lecce, nel liquidare il danno, si è limitata «ad adottare il criterio gabellare predeterminato e standardizzato, senza dare congrua motivazione in ordine all’adeguamento di quel valore alle peculiarità del caso esaminato». Il motivo è del tutto generico in quanto non indica a quali peculiarità il giudice dell’appello avrebbe dovuto fare riferimento. Appare opportuno ricordare, inoltre, che, in tema di liquidazione del danno biologico che è di natura equitativa, il giudice dei merito può anche ispirarsi a criteri predeterminati e standardizzati, come il cosiddetto criterio gabellare, desunto dai precedenti giudiziari dell’ufficio di merito che provvede alla liquidazione; in tal caso, non deve motivare il criterio applicato (Cassazione civile, Sezione terza, sentenza 16237/05). Peraltro poiché le tabelle non costituiscono norme di diritto, né rientrano nella nozione di fatto di comune esperienza, di cui all’articolo 115 Cpc, la parte che in sede di legittimità lamenti il vizio di motivazione della sentenza – consistente nell’incongrua applicazione delle tabelle – non può limitarsi ad una generica denuncia del vizio relativamente al valore del punto preso in considerazione, ma deve dare conto delle tabelle invocate, indicando in quale atto sono state prodotte e in quale senso sono state disapplicate o incongruamente applicate dal giudice di merito (Cassazione civile, Sezione terza, 27723/05).

Il ricorso va pertanto respinto con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi euro 2.300.000 oltre 100 euro per spese.

 

 

Funzionario della Polizia di Stato
Docente di Politiche della Sicurezza
Presso l’Università di Bologna


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a cura di Ugo Terracciano

RESPONSABILITA’ AUTOMOBILISTICA
Sentenze in materia di responsabilità civile, penale, amministrativa
Martedì, 22 Agosto 2006
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