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Articoli 25/07/2005

Guida in stato di ebbrezza e dolo eventuale

 

Guida in stato di ebbrezza
e dolo eventuale

di Michele Leoni*

Chi commette il reato di omicidio o di lesioni guidando sotto l’influenza dell’alcol, o in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti o psicoattive, viene ritenuto responsabile a titolo di colpa, cioè sul presupposto che il suo comportamento è colpevole per negligenza o imprudenza.
Forse, però, sarebbe il caso di ripensare questa costruzione giuridica, la quale non poggia su alcun dogma, ma presta il fianco a obiezioni pesanti e potrebbe essere rivisitata in radice.
Occorrerebbe, anzitutto, prima ancora che sul piano giuridico, ma su quello del semplice buon senso, fare uno sforzo di immedesimazione e mettersi nella situazione di chi si pone alla guida in stato di ebbrezza o di obnubilazione da droghe o psicofarmaci. Quali sono le certezze, o le convinzioni condivisibili, che si possono avere in un simile frangente? Si può essere ragionevolmente persuasi di essere comunque in grado di evitare un incidente, o di non commettere imprudenze? La riposta è no. Per due ordini di motivi. Primo, perché nessuno può sostenere, lucidamente e in via astratta, di restare immune da un simile pericolo. Non si può formulare alcuna prognosi, una volta sulla strada e considerate le infinite variabili che caratterizzano la circolazione stradale e la propria precaria situazione psico-fisica, sul fatto che non succederà nulla di grave o dannoso. Ossia, non si avranno incidenti. Secondo, non si può certo accreditare una persona ebbra, o comunque psicologicamente alterata, di una ragionevole convinzione in tal senso, in quel momento, in quelle condizioni di scarsa lucidità.
In altre parole, chi si pone alla guida in condizioni di ubriachezza o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti o psicotrope mette in preventivo tutte le conseguenze che ne possono derivare, perché non ha argomenti né strumenti logici e razionali per obiettare qualcosa in contrario. Ossia, accetta qualsiasi rischio perché non può escludere nulla.
Tutto questo, tradotto in termini giuridici, si dovrebbe chiamare dolo eventuale. Non è il caso di richiamare, qui, tutte le posizioni dottrinali o la sterminata giurisprudenza su questo istituto giuridico, sulla sua estensione o sui tratti caratterizzanti che lo distinguono dalla colpa cosciente o dal dolo diretto. Non è la sede né vi sarebbe uno spazio minimo sufficiente. Ci limitiamo a richiamare una pronuncia delle Sezioni Unite, ove è stato tracciato il paradigma essenziale, ridotto all’osso, dell’atteggiamento psicologico in cui si riassume questa figura. Hanno stabilito le Sezioni Unite che vi è dolo eventuale nel “fatto che chi agisce non ha il proposito di cagionare l’evento delittuoso, ma si rappresenta la probabilità, o anche la semplice possibilità che esso si verifichi e ne accetta il rischio” (Cass. S.U. 3428/1992).
E’ possibile che chi guida ubriaco o sotto l’effetto di droghe non abbia accettato il rischio di causare incidenti? O meglio, può permettersi una simile convinzione? La risposta è no. Sulla base del semplice buon senso.
L’art. 92 del codice penale stabilisce che l’ubriachezza volontaria o colposa o preordinata non esclude né diminuisce l’imputabilità. E’ principio consolidato che il soggetto risponde del reato commesso, sempre che sia accertata la presenza dell’elemento psicologico proprio del reato stesso (Cass. 6065/1984), in altri termini, che è decisivo l’atteggiamento psichico, sia pure abnorme, del momento in cui il fatto si è verificato (Cass. 2509/1990).
Sulla base dell’interpretazione desumibile da queste pronunce (come da altre simili), si può allora affermare che, pur trovandosi in condizioni di limitata attenzione o consapevolezza, chi ha commesso un omicidio guidando in stato di ebbrezza alcolica può essere rimproverato solo a titolo di negligenza, per non aver saputo rispettare, nelle limitate condizioni in cui si trovava, le norme di circolazione stradale (e, a corollario, di imprudenza, per essersi posto alla guida in uno stato che non gli assicurava la padronanza di sé e del mezzo). E’ questo l’orientamento su cui si fonda la regolare imputazione a titolo di colpa degli omicidi e delle lesioni commessi da chi guida in stato di ebbrezza.
Però, si può obiettare anche che le norme generali in tema di vizio di mente, d’altro canto, escludono, in caso di ubriachezza o stupefazione, impostazioni sostanzialmente scusanti. In dottrina, su questi temi, si sono registrate diversi orientamenti.
Secondo alcuni, attribuire una responsabilità penale al soggetto naturalisticamente incapace realizzerebbe un’ipotesi di responsabilità oggettiva, secondo altri la responsabilità potrebbe essere comunque a titolo di colpa in quanto non può essere ravvisata una volontà attendibile, secondo altri ancora la responsabilità dovrebbe essere volontaria o colposa a seconda che l’ubriachezza sia volontaria o colposa. Infine, secondo un’altra tesi ancora, si potrebbe ipotizzare una responsabilità a titolo di dolo eventuale quando l’agente si è ubriacato nonostante la previsione dell’evento e accettando il rischio di una sua verificazione (in tal caso, la responsabilità dovrebbe essere comunque colposa ove si accerti che l’illecito era stato previsto ma non accettato, o comunque era prevedibile ed evitabile come conseguenza dell’ubriachezza).
Auspichiamo che questa ultima tesi possa un giorno essere rivisitata. Nel rispetto dei principi generali che negano qualsiasi effetto scusante (e quindi, attenuante) all’ubriachezza, non sarebbe scorretto risalire alla fonte del comportamento che ha innescato l’evento letale o dannoso, ab origine., cioè alla scelta di guidare senza essere nelle condizioni di poterlo fare, e quindi nell’incoscienza che tutto possa accadere e di accettare qualsiasi rischio. Incoscienza nel significato deteriore di mancanza di senso di responsabilità.


* G.I.P. Tribunale di Forlì.

 

di Michele Leoni

Dal Centauro n. 97
Lunedì, 25 Luglio 2005
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