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Articoli 27/07/2016

Terrorismo: agire o subire?
In Francia sfatato l'ultimo tabù: prete sgozzato in chiesa, come in Nigeria
Analisi di un momento cruciale. È finito il momento dell'ipocrisia

di Lorenzo Borselli*

 

(ASAPS) Rouen (Francia), 27 luglio 2016 – Dunque, le cose stanno così: un prete sgozzato, una persona ferita gravemente e altri religiosi e fedeli tenuti in ostaggio in chiesa da due terroristi islamici, poi abbattuti dalla Polizia francese a Rouen, città natale di François Hollande. Ci investono coi camion, ci sparano ai concerti, si fanno saltare con noi e ora vengono in chiesa per tagliarci la gola, destino che finora era toccato solo ai cristiani nigeriani e pakistani.

Il sacerdote ucciso padre Jacques Hamel, 86 anni

 

Probabilmente non abbiamo mai avuto così tanta paura come negli ultimi mesi, da quando l’Europa è sotto attacco da parte del terrorismo islamico e “Islamico”, lo ricordiamo, è un termine che indica la diretta attinenza all’Islam. Fino ad ora eravamo stati mediamente tranquilli, perché bastava lanciare un missile qua e un missile là, oppure prodigarci in guerre “lampo” (si, ma quali?) per liberare un certo paese da un certo dittatore, e poi spedire qualche spicciolo al mese a una delle tante ONG in giro per Africa o Medio Oriente, per sentirci in pace con noi stessi e con la nostra coscienza.
Ora no, perché il nemico è in casa.


Sì, certo, ai tempi della guerra in Libano (quella combattuta tra il '75 e il '90), abbiamo cominciato a capire che l’Islam è un mondo dilaniato dalle varie confessioni: Drusi e Sciti,  Sciti e Sunniti e così via. È tutta una violenza, questo Islam impazzito, al suo interno ed al suo esterno. Al Qaeda, diffusa soprattutto nella penisola arabica, Al Shabaab in Somalia, Boko Haram in Nigeria, i Ribelli Houthi dello Yemen, per arrivare poi alle prove generali di stato islamico dei Talebani e infine allo Stato Islamico vero e proprio. Sono così tanti che è difficile pensare che l'Islam possa essere una religione di pace: il buon musulmano è quello che segue alla lettera la sha'ria o no? Ma se anche lo fosse (una religione di pace), una consistente parte di chi la professa vuole semplicemente annientare chi non si inchina con lui a pregare come lui. Non esiste nient'altro e l'ordine è uccidere e distruggere.
Ideologicamente.
Ci hanno preso alla sprovvista, perché se è vero che il corrotto, decadente e infedele occidente ha oppresso molti dei popoli che oggi invece intendono sopprimerci, è anche vero che una parte del nostro mondo quei popoli li accoglie. Li soccorre nei loro paesi d’origine e li accoglie nel proprio. Di più: li ha accolti negli anni addietro, con modi e tempi diversi, ma ora una parte di quei popoli insorge; non si integra, non si accetta. Probabilmente ha trascorso una vita a imprecare contro le campane delle chiese ed ha cominciato a sentir nostalgia del canto del muezzin, che dal minareto chiama a raccolta i fedeli per le cinque, quotidiane, “salat”, le preghiere obbligatorie.


Che siamo stati colti di sorpresa, lo dimostra il fatto che dopo aver fatto fuori molti colonnelli sanguinari, come Gheddaffi o Saddam Hussein, e dopo aver isolato Assad nella guerra civile contro il suo stesso popolo, l’Occidente non sa proprio più che fare: la prova di esportazione della democrazia, pur con tutti i suoi difetti, è fallita. L’era dei dittatori fantoccio negli stati sub-sahariani è finita e oggi un po'si ammazzano tra loro e un po' ammazzano noi.
In mancanza di fucili usano camion e se il mercato nero delle armi automatiche è troppo rischioso, è dimostrato che non sia troppo difficile comprare una pistola su una dark-room, il lato oscuro di Internet, dove non si lasciano tracce. Del resto, nel nostro mondo basta una pistola per fare una carneficina: noi giriamo tranquilli, disattenti e soprattutto disarmati.
Né può consolarci il fatto che ora, dopo un’analisi di Europol sull’argomento, i media tutti tengano a precisare che chi fa gli attentati appartiene alla categoria dei sociopatici, dei malati mentali, dei delinquenti abituali, magari avvezzi a droghe, alcol ed a prostitute, radicalizzatisi in carcere.
Subito pronto, per l’attentatore di Monaco, il profilo di ragazzino vessato per anni dai bulli, che alla fine ha “sbroccato” ed ha fatto una strage imitando il modello dell’isola di Utoya, in Norvegia, dove il nazista Anders Breivik – ovviamente psicopatico – ammazzò 77  persone, colpendo anche ad Oslo con un’autobomba. Non dimentichiamo che nel 2003, a Milano, un immigrato ghanese ammazzò tre persone con un piccone.
Ok: a qualcuno manca una rotella, ma gli altri?
I pazzi non vanno in giro insieme, a parte quelli ricoverati in qualche reparto di psichiatria durante l'ora d'aria. Insieme ci vanno gli esaltati, coloro che condividono un’idea, buona o cattiva che sia.


I terroristi hanno in testa gli schemi della nostra società, sono loro stessi la nostra società e fanno dunque parte del nostro stesso organismo, fino al rigetto per incompatibilità. Nessuno tra i carnefici recentemente immolatisi dopo aver fatto strage di “infedeli”, a parte due singoli casi, era tra i profughi sbarcati di recente. Erano tra noi perché li consideravamo “noi”.
Praticano  una guerra non convenzionale e  se l’Italia finora ne è rimasta immune, ciò lo si deve  a due circostanze:
la prima, perché noi siamo la loro spiaggia d'approdo, di sicuro la più ospitale. Ci prendiamo cura dei derelitti e anche contro certe politiche europee, teniamo alto il nostro dovere marinaresco di salvare vite dal mare. Quindi serviamo, anche politicamente, e colpirci potrebbe essere sociologicamente controproducente.
La seconda, perché l'Italia ha scelto una politica meno attiva sul fronte delle guerre di altri nostri partner europei, ideologicamente meno disposta alle operazioni di “polizia internazionale” lanciate per far fuori il dittatore di turno, senza però pensare al vuoto che si sarebbe, e che di fatto “si è”, creato dopo. Il vuoto non è normalmente previsto, in una rivoluzione: insomma, se un paese deve trovare la sua strada democratica, deve purtroppo farlo da solo. Il fatto è che molti di questi paesi hanno abbattuto una dittatura per una religione, che è pronta a farsi sistema politico, pronta a farsi Califfato. Pronta, dunque, a farsi Stato: dunque, risultato di un piano preordinato. È questa la loro rivoluzione e probabilmente è ciò che questi popoli, o almeno una parte di essi, vogliono essere.


Lo Stato Islamico affascina: ma se il successo militare e territoriale di una cultura – che trova certamente un’origine in quell’atavico odio che ancora cova dai tempi delle crociate e di cui si ha notizia anche nell’autopropaganda  di cui la rete è piena – collima col disagio di soggetti che, pur nati nella nostra società, ne sono stati sempre al margine, tanto dall’aver scelto la strada della criminalità, siamo fregati. Di più: siamo in pericolo. Perché Francia, Regno Unito, Belgio, Germania, sono Europa. L'Italia è Europa. E mentre parliamo di diritti e di sacrosanti dubbi sulle strategie e sulla sfida di combattere, anche culturalmente, contro il terrore che promana dalla parola di Allah, stiamo perdendo tempo.
L’attacco dall’interno prende il sapore di un’invasione subdola, che noi stessi abbiamo e stiamo favorendo e il rischio di veder finire il nostro mondo o di andare verso una pericolosa deriva sanguinaria, che sarà vissuta come una guerra civile, è oggi pericolosamente concreto. C'è una vignetta satirica, in voga di questi tempi, che raffigura un occidentale col cappio al collo legato ad un albero ancora piccolo, che lui stesso sta innaffiando.
Non c’è, salvo pochissimi esempi, un solo fermo “no” alla violenza ed al terrore, da parte del mondo musulmano. Sì, qualcosa si muove, ma non ci sembra niente di convincente. Quando le primavere arabe sono dilagate, le nostre piazze si sono riempite in loro sostegno e non dimentichiamo che da sempre molti occidentali, super laici, si sono spesi per le cause di Palestina o Siria. Demagogia e populismo non possono aiutarci.


Tutti i terroristi in attività in occidente, ad eccezione delle FARC in Colombia, a partire dai gruppi organizzati fino ai lupi solitari, pazzi compresi, sono oggi musulmani e purtroppo operano, come tutti i terroristi che si “rispettino”, all’interno delle aree geo-politiche in cui vivono. L'IS, in più, ha un territorio suo, un proprio fronte su cui guerreggiare in modo più o meno convenzionale, dove i foreign fighters si sono addestrati ed esaltati. Chi di loro sopravvive, riceve l'onore di tornare in occidente e fare proselitismo, esaltando chi sceglie (o subisce) la radicalizzazione, con la promessa di un futuro radioso in paradiso.
Come tali pongono in essere azioni violente “non convenzionali” e per questo, purtroppo, la risposta non può essere “convenzionale”. Vero, non possiamo buttare in malora secoli di storia, ma un sacrificio dovremmo pur farlo:al primo segnale di spregio delle regole di civile convivenza (pensiamo ad un qualsiasi reato contro persona, patrimonio o lo Stato), il cittadino ospite deve tornare a al suo paese, esattamente come quello che appaia, pur in assenza di reati commessi, socialmente pericoloso.
Deve tornarci e non tornare più: uno dei terroristi uccisi a Rouen aveva il braccialetto elettronico per reati di terrorismo. Capite?
Lo sappiamo: derogheremmo, così, alla Costituzione, ma – ripetiamo – qui si tratta della nostra stessa sopravvivenza. Un delinquente, un mafioso, un terrorista italiano dobbiamo tenercelo, ma uno che viene a spargere sangue o a delinquere da un'altra nazione, questo no. Basta ipocrisia, è il momento di reagire.
E non tentate di fregarci con la storia che tutti questi terroristi hanno problemi mentali: essi hanno abbracciato un’ideologia, hanno sposato una religione che non ci risulta contemplare, al suo interno, la possibilità di porgere l’altra guancia. Vogliono il nostro sangue e, ci sembra, ci stanno riuscendo. (ASAPS)
 

 

 


Una analisi del tragico momento che viviamo del nostro Lorenzo Borselli. (ASAPS)

Mercoledì, 27 Luglio 2016
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