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Custodia cautelare: figlio di età inferiore a sei anni, il padre va in carcere anche se la madre lavora

(Tribunale, Lecce, Sezione Riesame, ordinanza 16/01/2015)

La vicenda giudiziaria

Un soggetto, sottoposto alla custodia cautelare in carcere in relazione ai delitti di furto aggravato, detenzione e porto illegali di armi e ricettazione, per il tramite del proprio difensore proponeva appello cautelare ai sensi dell’art. 310 c.p.p. avverso l’ordinanza con la quale il GIP presso il Tribunale di Lecce aveva rigettato la richiesta volta ad ottenere la sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, con l’eventuale applicazione degli strumenti di controllo elettronico di cui all’art. 275 bis c.p.p.

La tesi difensiva

La difesa dell’indagato deduceva che la custodia cautelare in carcere non potesse essere mantenuta, ai sensi dell’art. 275 comma 4 c.p.p., poiché l’indagato è padre di un bambino di cinque anni (dunque di età non superiore a sei anni previsti dalla norma citata), oltre che di altri due figli di età superiore, ma comunque non ancora maggiorenni. 

La difesa del prevenuto, altresì, chiariva che, prima dell’arresto, sia l’indagato sia la convivente avevano organizzato la propria attività lavorativa, il primo presso il podere del nonno, mentre la seconda con la conduzione di terreni agricoli a piccola colonia concessi in compartecipazione stagionale dalla di lei madre -  in modo tale da consentire a quest’ultima la necessaria cura dei propri genitori residenti in un diverso comune, pur tuttavia senza pregiudicare l’adeguata assistenza dei figli, in particolar modo del piccolo di anni cinque, al quale badava il padre. La difesa, ancora, precisava che la convivente dell’indagato, oltre ad esercitare la predetta attività lavorativa, presta continua assistenza al padre, gravemente malato e bisognoso di continua assistenza familiare. 

Il difensore osservava, dunque, che tale stato di cose era evidentemente mutato con l’arresto dell’indagato. Il figlioletto di nemmeno cinque anni di età, infatti, era stato costretto a fare a meno di entrambi i genitori per quasi tutta la giornata e a passare interi pomeriggi e le serate a turno a casa di conoscenti. Peraltro, nonostante l’orario della scuola materna ove è iscritto il piccolo rende possibile prendersi cura del bambino durante le ore mattutine di lavoro e assistenza della convivente dell’odierno prevenuto, ciò non risolve il problema relativo ai turni pomeridiani della stessa. Peraltro, nessuno dei prossimi congiunti dell’indagato, per varie ragioni, è in grado di fornire alcun aiuto al fine di poter far fronte all’assistenza del piccolo. 

Da ultimo, la difesa osservava che, nella fattispecie in esame, non ricorrono certamente esigenze cautelari di eccezionale rilevanza: le uniche che, ai sensi dell’art. 275 comma 4 c.p.p., consentirebbero l’applicazione della misura custodiale massima in presenza della necessità dell’indagato di accudire la prole infraseienne, stante l’asserita impossibilità della convivente a provvedervi autonomamente.

Genitori di prole di età non superiore a sei anni.

L’art. 275, co. 4[1], c.p. – inerente i criteri di scelta delle misure cautelari – dispone che quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Trattasi in particolare di un “nuovo” limite all’applicazione della sola custodia cautelare in carcere, ossia la più afflittiva delle misure cautelari, che il legislatore – con la legge n. 62 del 2011 – ha previsto per i genitori di prole che abbia una età inferiore a sei anni. La riforma ha, infatti, avuto il dichiarato scopo di predisporre, nell’ambito di un già congruo  sistema di tutele predisposto a vantaggio dei detenuti genitori che abbiano prole a carico di tenera età, una ulteriore tutela nei confronti di quella prole che, non avendo raggiunto ancora i sei anni di vita e presumendosi particolarmente vulnerabile, necessita di una particolare prossimità con i genitori con cui convive stabilmente.

Si è trattato, quindi, di un beneficio volto a privilegiare l’assistenza e la cura della prole, anche a fronte delle esigenze repressive che l’ordinamento vanta nei confronti dell’indagato o dell’imputato. A tale istituto, però, lo stesso legislatore ha posto un duplice limite. L’istituto de quo, infatti, può essere applicato solo … qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, e … salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Quest’ultimo, infatti, consente una corretta applicazione della “novella” che altrimenti avrebbe rischiato di essere letta come una sorta di valvola di sfogo, mediante la quale consentire la modifica della custodia cautelare in carcere in altra misura meno afflittiva “a pioggia”, ossia ogniqualvolta ci si fosse trovati innanzi ad imputate o indagate in gravidanza  o madri di prole di età non superiore a sei anni con queste convivente, ovvero padri.

Malgrado l’apparente chiarezza della norma, però, la giurisprudenza si è interrogata quando ricorra il presupposto della “assoluta impossibilità” e quando possa dirsi che le esigenze cautelari siano “di eccezionale rilevanza” al punto da non consentire la trasformazione della custodia cautelare in carcere in misura meno afflittiva, pur in presenza di prole di età non superiore ai sei anni e di fronte ad una “assoluta impossibilità” da parte dei prevenuti a dare assistenza alla stessa.

Il requisito della assoluta impossibilità.

In ordine al requisito della assoluta impossibilità, nel corso degli anni si sono confrontati due opposti orientamenti volti a definirne i fumosi contorni. Ed invero, la corretta qualificazione giuridica di tale limite, pur non sembrando, è indubbiamente il cuore pulsante della questione. Infatti, come già accennato, non pochi problemi di carattere applicativo potrebbe porre una disattenta applicazione dello stesso. Sia in malam partem, quanto in bonam partem.

Secondo un primo orientamento, allora, il divieto della custodia cautelare in carcere per l'imputato padre di prole di età inferiore a sei anni non sussiste per il solo fatto che la madre presti giornalmente attività lavorativa, che di per sé non impedisce di prendersi cura dei figli[2]. Secondo tale ricostruzione, infatti, occorre svolgere una valutazione caso per caso. Il principio contenuto dall’interno del citato comma quarto, infatti, non consente abnormi generalizzazioni, né in un senso, né nell’altro. Piuttosto, occorre che sussista in capo alla madre un assoluto impedimento ad assistere i figli, a condizione che venga adeguatamente dimostrata la totale assenza sia di un supporto pedagogico da parte delle strutture pubbliche, sia di figure di riferimento idonee ad assicurare la tutela del minore[3]. Peraltro, occorre avere riguardo non solo al soggetto chiamato a prestare assistenza, ma anche, e soprattutto, alla situazione del figlio, in considerazione del rischio in concreto derivante per quest'ultimo dal "deficit" assistenziale, sotto il profilo della irreversibile compromissione del processo evolutivo-educativo, dovuta alla mancata, valida ed efficace presenza di entrambi i genitori[4].

Altro orientamento, invece, di contrapposto avviso al precedente, ha affermato che sussiste il divieto di custodia cautelare in carcere nei confronti del padre di prole di età inferiore a sei anni, in caso di impossibilità assoluta, per la madre, di provvedere alla assistenza del minore, anche qualora possa provvedersi mediante l'ausilio di altri parenti o di strutture pubbliche, atteso che tale ausilio può assumere carattere meramente integrativo e di supporto e non totalmente sostitutivo dell'assistenza materna[5]. L’assistenza alla prole, infatti, non va intesa soltanto in senso materiale, ma anche e soprattutto in senso morale e affettivo. La cura e l’assistenza genitoriale, del resto, non si risolve in una mera estrinsecazione di attività di carattere tecnico-pratico, ma, specialmente, nella educazione morale, nella formazione culturale, nell’assistenza psico-fisica e pedagogica del minore. Attività immateriali che meritano, ancor prima di quelle pratiche, una particolare valorizzazione che, il più delle volte, non può essere integralmente sostituita da terzi soggetti, siano pur essi i nonni.

Esigenze cautelari di eccezionale rilevanza

Altro punctum dolens che parrebbe porre difficoltà di natura ermeneutica e, dunque, applicativa è proprio la qualificazione delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. La questione sembrerebbe complicarsi, infatti, non solo e non tanto per il carattere eccezionale che il legislatore pretende affinché le esigenze cautelari non consentano la trasformazione della misura custodiale, quanto piuttosto perché è agevole rinvenire una netta differenza tra il carattere delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. e quello delle esigenze di cui al quarto comma dell’art. 275 c.p.p. Con riguardo alle prime infatti il legislatore dispone che esse siano concrete e attuali[6]. Con riguardo alle seconde, invece, il legislatore, con un aggettivo dalla presenza molto più ingombrante, pretende che esse siano di eccezionale rilevanza.

In ordine alla qualificazione giuridica dell’aggettivo “eccezionale rilevanza”, dunque, è intervenuta, a più riprese, la Suprema Corte di cassazione la quale ha – confermando il proprio consolidato orientamento – affermato che le "esigenze cautelari di eccezionale rilevanza" richieste dall'art. 275, comma quarto, c.p.p., perché possa essere superato il divieto, ivi stabilito, di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti dei soggetti che si trovano nelle condizioni indicate nella norma predetta (donne incinte o che allattano la propria prole, persone di età superiore ai settanta anni e persone in condizioni di salute particolarmente gravi, che non consentono le cure necessarie in stato di detenzione), non possono identificarsi con quelle presunte per legge derivanti dal titolo del reato, ai sensi del precedente comma terzo del medesimo art. 275 c.p.p., nè farsi derivare dalla semplice constatazione che l'imputato abbia subito precedenti condanne, ma postulano l'esistenza di puntuali e specifici elementi dai quali emerga un non comune, spiccatissimo ed allarmante rilievo dei pericoli ai quali fa riferimento l'art. 274 c.p.p.[7]. Tali qualificate esigenze cautelari si distinguono, infatti, da quelle ordinarie per il grado di pericolo - che deve superare la semplice concretezza richiesta dall'art. 274 c.p.p. per raggiungere la soglia della sostanziale certezza che l'indagato, ove sottoposto a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, renda disagevole o impossibile l’acquisizione della prova, si sottragga alle indagini o continui nella commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede - e sono desumibili dagli stessi elementi indicati per le ordinarie esigenze cautelari e, pertanto, dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità dell'indagato desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali[8].

La decisione del tribunale del riesame

Il Tribunale di Lecce, Sezione Riesame, con ordinanza 16 gennaio 2015 ha statuito che in relazione alla necessità di accudire il figlio di anni cinque, non può non essere ribadito il costante orientamento giurisprudenziale del Supremo Giudice di legittimità, secondo cui l’impossibilità di accudire la prole infraseienne da parte del genitore rimasto in stato di libertà non può essere ricavata semplicemente dallo svolgimento di un’attività lavorativa, per quanto impegnativa, trattandosi di una situazione normale, che riguarda numerose famiglie[9]. In particolare, è stato statuito che non sussiste il divieto di custodia cautelare in carcere dell’imputato padre di prole infraseienne qualora l’impedimento della madre ad assisterla sia costituito dalla sua attività lavorativa[10].

Nel caso in esame, peraltro, il Tribunale – ribadendo un costante orientamento della Suprema Corte di Cassazione – ha statuito che la madre lavoratrice debba adeguatamente allegare la gravosità dell’impegno lavorativo, specificando quanti giorni alla settimana impegni, per quante ore e in quali fasce orarie[11]. La difesa, peraltro, ebbe a fare riferimento anche all’impegno della madre consistente nella cura e nell’assistenza del padre malato. Anche in tale ultimo caso, però, non risultava, in alcun modo, quali e quanti giorni alla settimana fosse interessata da detto impegno e per quali fasce orarie, considerata la turnazione con gli altri familiari. Risultò, invece, che il piccolo di anni cinque frequentasse la scuola materna nell’ampia fascia oraria che va dalle ore 8:00 alle ore 15:30. Per tali ragioni, quindi, secondo la ricostruzione operata dal Tribunale non risultò, o quantomeno rimase indimostrato, che gli impegni della madre (quello lavorativo e quello assistenziale nei confronti del padre), pur congiuntamente considerati, fossero tali da determinare quella “assoluta impossibilità” di dare assistenza alla prole prevista dall’art. 275 comma 4 c.p.p.



[1] Cfr. Cass. Pen. n. 22338/2012 in www.brocardi.it secondo la quale l'art. 1, comma quarto, della L. n. 62 del 2011 è applicabile solo a decorrere dal 1° gennaio 2014, fatta salva la possibilità di utilizzare i posti già disponibili a legislazione vigente presso gli istituti a custodia attenuata.

[2] Cfr. Cass. Pen. 03 giugno 2015 n. 40076 in www.italgiure.it  Rv. 264516;

[3] Cfr. Cass. Pen. 23 luglio 2015 n. 36344 in www.italgiure.it Rv. 264540;

[4] Cfr. Cass. Pen. 23 giugno 2015 n. 35806 in www.italgiure.it  Rv. 26472;5

[5] Cfr. Cass. Pen. 30 aprile 2014 n. 29355 in www.italgiure.it Rv. 259934;

[6] Le misure cautelari sono disposte: a) quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto e attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova, fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio. Le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti; b) quando l'imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione; c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede;

[7] Cass. Pen. 18 gennaio 1995, n. 226 in www.italgiure.it  Rv. 200576;

[8] Cass. Pen. 05 dicembre 2005, n. 2240 in www.italgiure.it Rv. 233026;

[9] Cass. Pen., 04 dicembre 2008 Sez. 1, n. 46290 in www.italgiure.it Rv. 242082; nello stesso senso: Sez.  5, n. 27000 del 28/05/2009, Rv. 244485; Sez.  6, n. 31772 del 08/07/2009, Rv. 245196;

[10] Nella specie, si è ritenuto che non ricorresse l’assoluta impossibilità di assistenza del minore nel concorso di un impegno lavorativo di 44 ore settimanali, dell’assenza in loco di asili pubblici e dell’incompatibilità del costo di quelli privati con il reddito familiare;

[11] Nel caso di specie parve trattarsi di attività a carattere “stagionale”, che, pertanto, non riguardava neppure tutti i periodi dell’anno, ma solo quelli  strettamente interessati da specifiche attività agricole.

 

TRIBUNALE DI LECCE

Sezione Riesame

Ordinanza 16 gennaio 2015

Il Tribunale, riunito in camera di consiglio nelle persone dei seguenti Magistrati:

- Dott. Silvio Maria Piccinno - Presidente

- Dott. Stefano Marzo - Giudice

- Dott. Antonio Gatto - Giudice rel.

decidendo sull’appello ex art. 310 c.p.p. presentato in data 24/12/2014 dal difensore di A.A, nato a ... (LE) il ..., avverso l’ordinanza datata 15/12/2014 (depositata in pari data) con la quale il GIP presso il Tribunale di Lecce ha rigettato la richiesta avanzata nell’interesse dell’indagato volta ad ottenere la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, con l’eventuale applicazione degli strumenti di controllo elettronico di cui all’art. 275 bis c.p.p.;

esaminati gli atti del procedimento, pervenuti nella cancelleria dell’adito Tribunale distrettuale in data 31/12/2014;

udito il difensore nell’odierna udienza camerale e sciogliendo la riserva di cui al separato verbale;

espone ed osserva

 

1. La difesa di A.A., ai sensi dell’art. 299 c.p.p., in data 12/12/2014, ha formulato al GIP presso il Tribunale di Lecce istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, con l’eventuale applicazione degli strumenti di controllo elettronico di cui all’art. 275 bis c.p.p.

Con la predetta richiesta, veniva evidenziato che A.A. è stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere in virtù dell’ordinanza emessa dal medesimo GIP presso il Tribunale di Lecce il 24/11/2014, in relazione ai delitti di furto aggravato, detenzione e porto illegali di armi e ricettazione.

La difesa dell’indagato, pur nulla deducendo in ordine alla persistente sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari a carico del prevenuto, con l’istanza formulata, deduceva che la custodia cautelare in carcere non può più essere mantenuta, ai sensi dell’art. 275 comma 4 c.p.p., poiché l’indagato è padre di prole di età non superiore a sei anni (... di 5 anni), oltre che di altri due figli (... di 14 anni e ... di 11 anni).

Nella medesima richiesta, la difesa del prevenuto chiariva che, prima dell’arresto del 29 novembre 2014, sia l’indagato che la convivente avevano organizzato la propria attività lavorativa - il primo presso il podere del nonno sito in località ..., agro del comune di ..., mentre la seconda con la conduzione di terreni agricoli a piccola colonia concessi in compartecipazione stagionale dalla di lei madre M.C. -  in modo tale da consentire a dell’D.A.G. la necessaria cura dei propri genitori residenti nel diverso comune di ..., senza tuttavia pregiudicare l’adeguata assistenza dei figli, in particolar modo del piccolo ..., al quale badava il padre.

Si rileva, altresì, che la D.A.G., oltre ad esercitare la predetta attività lavorativa, presta continua assistenza al padre, ..., gravemente malato e bisognoso di continua assistenza familiare.

Il difensore osserva, ancora, che tale stato di cose è evidentemente mutato con l’arresto di A., che ha reso insostenibile la situazione familiare di D.A.G. e, soprattutto, del povero ..., di nemmeno 5 anni di età, costretto a fare a meno di entrambi i genitori per quasi tutta la giornata e a passare interi pomeriggi e le serate a turno a casa di conoscenti.

Si rileva che, se l’orario (8:00-15:30) della scuola materna ove è iscritto il piccolo ... (Scuola Materna ... sito in ...) rende possibile prendersi cura del bambino durante le ore mattutine di lavoro e assistenza della D.A.G., ciò non risolve il problema relativo ai turni pomeridiani della stessa.

Si aggiunge, infine, che nessuno dei prossimi congiunti di A.A., per varie ragioni, è in grado di fornire alcun aiuto al fine di poter far fronte all’assistenza del piccolo ...

Da ultimo, la difesa osserva che, nella fattispecie in esame, non ricorrono certamente esigenze cautelari di eccezionale rilevanza: le uniche che, ai sensi dell’art. 275 comma 4 c.p.p., consentirebbero l’applicazione della misura custodiale massima in presenza della necessità dell’A.A. di accudire la prole infraseienne, stante l’asserita impossibilità della convivente, D.A.G., a provvedervi autonomamente.

Le deduzioni difensive venivano accompagnate dall’allegazione di copiosa documentazione a sostegno delle stesse.

In virtù di tali considerazioni, pertanto, l’indagato chiedeva la sostituzione della misura cautelare carceraria in atto con quella degli arresti domiciliari, anche con l’eventuale applicazione delle prescrizioni di cui all’art. 275 bis c.p.p., accettando espressamente l’adozione delle procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici previsti dalla citata disposizione codicistica.

2. Il GIP presso il Tribunale di Lecce, condividendo il parere sfavorevole del Pubblico Ministero espresso il 12/12/2014, con l’ordinanza oggetto di gravame, datata 15/12/2014 (depositata in pari data), rigettava la formulata richiesta di sostituzione della misura cautelare in corso di applicazione.

In particolare, il Giudice di prime cure evidenzia come  “le rappresentate esigenze cautelari appaiono allo stato immutate e il legame dell’A.A. con B.E. e B.A. per niente affievolito alla luce del tenore delle intercettazioni in atti e del mancato ritrovamento delle armi oggetto dei reati in contestazione”.

Si afferma, inoltre, che “l’A.A., d’altronde, aldilà delle sue generiche affermazioni, non risulta svolgere attività lavorativa stabile, è capace di realizzare condotte criminose che denotano particolare pericolosità, è mosso da logiche criminali tali da escludere qualsiasi remora, nonché vicino, quantomeno, a soggetti legati a contesti malavitosi affermati ed operanti sul territorio di M.”.

Con specifico riferimento alla condizione familiare dell’istante, il Giudice di prime cure evidenzia che “non sussistono le condizioni di cui all’art. 275 comma 4 c.p.p. alla luce della documentazione prodotta dall’istante, attestante, tra l’altro, un’attività lavorativa, svolta dalla propria convivente D.A.G., pienamente compatibile con la cura del figlio ..., alunno presso la Scuola Materna ..., dalle 8:00 alle 15:30”.

3. Con atto d’appello formulato ai sensi dell’art. 310 c.p.p. (pervenuto presso la cancelleria di questo Tribunale distrettuale in data 24/1/2014), la difesa di A.A. ha reiterato e sviluppato le argomentazioni già svolte innanzi al Giudice di prime cure a sostegno della richiesta di sostituzione della misura in corso di esecuzione.

In particolare, il difensore del prevenuto ha ribadito come, a suo parere, sussistano, nella fattispecie in esame, in positivo e in negativo, tutte le condizioni previste dal quarto comma dell’art. 275 c.p.p., ai fini del divieto di applicazione della misura custodiale carceraria, attesa, da un lato, l’impossibilità della convivente dell’istante, D.A.G., di accudire i figli minori e in particolare il piccolo ... di 5 anni), dall’altro, l’insussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.

Alla luce di tali considerazioni, pertanto, la difesa del prevenuto torna a chiedere la sostituzione della misura cautelare estrema della custodia in carcere con quella gradata degli arresti domiciliari, eventualmente con l’applicazione degli strumenti elettronici di controllo previsti dall’art. 275 bis c.p.p.

4. A parere del Tribunale, l’atto di appello formulato dalla difesa di A.A. non è fondato e non risulta, pertanto, meritevole di accoglimento.

5. All’istante è stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere con l’ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Lecce il 29/11/2014 (meno di due mesi fa) per i delitti di furto aggravato, detenzione e porto illegali di armi e ricettazione.

Le esigenze cautelari evidenziate nell’ordinanza applicativa genetica della misura non hanno subito, nel predetto brevissimo lasso temporale, alcun mutamento.

In relazione alla necessità di accudire il figlio ... di 5 anni di età), non può non essere ribadito, in questa sede, il costante orientamento giurisprudenziale del Supremo Giudice di legittimità, secondo cui l’impossibilità di accudire la prole infraseienne da parte del genitore rimasto in stato di libertà non può essere ricavata semplicemente dallo svolgimento di un’attività lavorativa, per quanto impegnativa, trattandosi di una situazione normale, che riguarda numerose famiglie.

In particolare, è stato statuito che non sussiste il divieto di custodia cautelare in carcere dell’imputato padre di prole infratreenne (in considerazione del limite di età all’epoca applicabile), qualora l’impedimento della madre ad assisterla sia costituito dalla sua attività lavorativa: nella specie, si è ritenuto che non ricorresse l’assoluta impossibilità di assistenza del minore nel concorso di un impegno lavorativo di 44 ore settimanali, dell’assenza in loco di asili pubblici e dell’incompatibilità del costo di quelli privati con il reddito familiare (cfr. Cass. pen., Sez. 1, n. 46290 del 04/12/2008 - dep. 16/12/2008, Calderaro, Rv. 242082; nello stesso senso: Sez.  5, n. 27000 del 28/05/2009 Cc. - dep. 02/07/2009, Rv. 244485; Sez.  6, n. 31772 del 08/07/2009 Cc. - dep. 31/07/2009, Rv. 245196).

Nel caso sottoposto all’esame di questo Tribunale distrettuale, l’impegno lavorativo della D.A.G. sarebbe costituito dalla conduzione di terreni agricoli a piccola colonia concessi in compartecipazione stagionale dalla madre, M.C.

In realtà, non è dato comprendere il livello di gravosità insito nell’attività in questione: quanti giorni alla settimana impegni, per quante ore, in quali fasce orarie.

Ma, soprattutto, sembra trattarsi di un’attività a carattere “stagionale”, che, pertanto, non riguarda neppure tutti i periodi dell’anno, ma solo quelli  strettamente interessati da specifiche attività agricole.

È vero che, oltre a fare riferimento all’impegno lavorativo, la difesa del prevenuto aggiunge che D.A.G. è impegnata anche nella cura e nell’assistenza del padre malato, ma, anche in tal caso, al di là delle dichiarazioni rese dalla stessa D.A.G. e da strettissimi congiunti, non risulta in alcun modo quali e quanti giorni alla settimana siano interessati da detto impegno, per quali fasce orarie, considerata la turnazione con gli altri familiari.

Risulta, invece, che il piccolo ... frequenta la Scuola Materna in ... con l’ampia fascia oraria che va dalle ore 8:00 alle ore 15:30.

Nella fattispecie in esame, pertanto, risulta quantomeno indimostrato che gli impegni di D.A.G. (quello lavorativo e quello assistenziale nei confronti del padre), pur congiuntamente considerati, siano tali da determinare quella “assoluta impossibilità” di dare assistenza alla prole prevista dall’art. 275 comma 4 c.p.p.

6. In virtù delle considerazioni che precedono, l’appello formulato nell’interesse di A.A. va quindi rigettato, in presenza di un quadro indiziario-cautelare totalmente invariato dal momento di applicazione della misura in atto e dovendo ritenere insussistenti, nei confronti dello stesso, i presupposti per l’applicazione del disposto di cui all’art. 275 comma 4 c.p.p.

7. Alla statuizione reiettiva segue la condanna dell’appellante al pagamento delle spese del presente procedimento, ai sensi del generale principio sancito dall’art. 592 comma 1 c.p.p., secondo cui la parte privata che ha formulato un atto di impugnazione dichiarato inammissibile o rigettato nel merito deve essere condannata al pagamento delle spese del relativo procedimento.

P.Q.M.

Visto l’art. 310 c.p.p.,

1) rigetta l’appello proposto avverso l’ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Lecce il 15/12/2014 (depositata in pari data) nei confronti di A.A. e, per l’effetto, conferma la misura cautelare in atto;

2) condanna l’appellante al pagamento delle spese della presente fase del procedimento;

3) dispone che il presente provvedimento venga trasmesso, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., al Direttore della Casa circondariale di Lecce, perché provveda all’inserimento nella cartella personale del prevenuto;

4) manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito.

Così deciso in Lecce, 16 gennaio 2015 

Il Giudice est. - Dott. Antonio Gatto

Il Presidente - Dott. Silvio Maria Piccinno


Di Natale Pietrafitta
da altalex.com

Giovedì, 11 Febbraio 2016
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