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Francia: i patentati addestrati al primo soccorso
Passa la legge e d’ora in avanti tutti i conducenti riceveranno un addestramento di base
Effetti anche sulla pirateria?

Di Lorenzo Borselli

(ASAPS) – Volete mettere se tutti sapessimo come comportarci in caso di incidente stradale? Se tutti sapessimo, cioè, come approntare le manovre di primo soccorso, in autotutela, e come comunicare le informazioni alle varie centrali operative? Bene: in Francia è legge. Ci sono voluti quasi tre anni, ma alla fine lo sforzo portato avanti dalle organizzazioni di soccorso è stato premiato: la legge n. 2015-294, prevede infatti che tutti i candidate al conseguimento della patente di guida ricevano un addestramento di base integrato ai dettami del codice stradale.

Per dare attuazione al dettato legislativo arriverà presto un decreto che avrà il compito di fissare e parametrare in cosa consisterà questo addestramento, che molti esperti ritengono essere  molto vicino a quello impartito ai soccorritori delle ambulanze, che in Italia sostengono corsi di primo e secondo livello, integrati dai training di BLS (Basic Life Support), BTLS (Basic Trauma Life Support) e BLSD (Basic Life Support – Defribillation) anche nelle varianti pediatriche. La proposta di legge, che l’associazione Prévention Routière ricorda essere stata presentata nel 2012, è corredata da studi secondo i quali in caso di diffusione capillare delle conoscenze di base, queste basterebbero, da sole, a salvare qualcosa come 250/350 vite ogni anno; a ciò si aggiunga che una formazione sanitaria di base potrebbe intervenire anche su molte altre casistiche, come ad esempio un semplice malore in strada: il conducente “formato” si fermerebbe e porrebbe in essere un’attività tutto sommato molto semplice che metterebbe la vittima nelle condizioni di poter sopravvivere. In Francia, secondo un’indagine governativa, solo il 56,2% dei cittadini trovatisi in condizioni di emergenza avrebbe posto in essere un’azione salvavita, ma solo il 29% della popolazione – secondo la Croce Rossa francese – ha ricevuto una formazione riconosciuta.

Prendiamo il caso italiano: secondo le statistiche diffuse dai vari 118 e che corredano tutti i manuali BLSD, l’arresto cardiaco in soggetti colpiti da sindromi coronariche acute colpisce 1 persona su 1000 all’anno (circa 60.000 eventi/anno in Italia); attualmente - come recita il manuale “BLSD RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE” di Giuliano Altamura e Francesco Messina, la percentuale di sopravvivenza dopo un arresto cardiaco extraospedaliero oscilla tra il 2 e il 5%, ovviamente in assenza di manovre precoci. “Il numero di decessi – si legge – è di gran lunga superiore alle morti per carcinoma polmonare, AIDS o incidenti stradali. Il 70% di tali eventi avviene nelle abitazioni private ed in circa il 50% dei casi sono presenti testimoni”.

Il problema concreto di questa ed altre fattispecie è che l’arresto cardio-respiratorio potrebbe essere in buona parte trattato sul posto da ciascuno di noi, in attesa che i soccorritori professionali arrivino, ottenendo con la rianimazione cardio polmonare uno spostamento in avanti del cosiddetto danno anossico cerebrale, le cui lesioni diventano irreversibili circa 10/12 minuti dopo il fermarsi del cuore (sempre in assenza di manovre rianimatorie).
In Italia, negli anni scorsi, sono stati consegnati molti defibrillatori automatici anche alle forze di polizia, con l'obiettivo di diffondere anche sulla strada, oltre ai luoghi tradizionalmente più frequentati  come scuole, palestre e centri commerciali, i defibrillatori dell'ultima generazione: utilizzabili anche da chi non è medico o infermiere, ma che abbia ovviamente ricevuto uno specifico addestramento al primo soccorso, i defibrillatori sono quanto più si avvicina alla “resurrezione”, perché strappano letteralmente alla morte chi viene colpito da un attacco cardiaco con ritmo defibrillabile (e ci scusiamo qui se il nostro linguaggio profano ed empirico non riflette del tutto la terminologia medica). Pensate che dal 1998 al 2015, nella sola Piacenza, sono stati installati oltre 500 defibrillatori, che hanno permesso di salvare più di 90 persone: il riconoscimento precoce di questa “morte” improvvisa, l'inizio delle operazioni di soccorso entro i primissimi minuti, il tempestivo allertamento del 118 e l'arrivo in ospedale nel più breve tempo possibile, potrebbe salvare 25mila persona ogni anno solo nel nostro paese, se tutti sapessero come iniziare la rianimazione cardiopolmonare e ci fosse un defibrillatore a disposizione.

Certo, è necessario poi che certe pratiche vengano mantenute con continui re training, e anche questo dovrebbe far parte del background e del know-how di ciascuno di noi: pensiamo a quanto sia difficile anche il solo comunicare dove un incidente sia avvenuto o ricordarsi quante compressioni toraciche debbano alternarsi agli atti respiratori indotti (30-2).
La Polizia di Stato ha un suo fiore all'occhiello in questo settore nel servizio di Sicurezza e Soccorso in Montagna: ogni anno, infatti, le pattuglie di soccorso alpino che vengono dislocate in oltre 50 stazioni invernali, vengono addestrate a fronteggiare ogni evenienza, compresa quella della defibrillazione, brevettando i circa 250 operatori abilitati che, una volta tornati alle loro sedi ordinarie, si portano dietro background e know-how, dimostrando in più di un'occasione di poter fare la differenza (oltre che di saperla effettivamente fare).

Pensiamo a quanto potrebbero essere utili le centinaia di migliaia di pattuglie delle forze dell'ordine se tutti gli operatori “sapessero fare” e potessero avere a disposizione uno strumento del genere, piccolo quanto un computer portatile.
Sarebbero essi stessi il primo occhio del soccorritore sanitario professionista: in caso di trauma o politrauma, e qui si arriva nel concreto, anche piccole cose come la descrizione corretta e non-isterica di ciò che si vede, la messa in opera di alcune piccole pratiche come messa in sicurezza dello scenario o ad esempio il sapere come tamponare un’emorragia esterna in attesa dei soccorsi, contribuiscono a rinsaldare la cosiddetta catena della sopravvivenza ed a bruciare i tempi.

In caso di trauma, infatti, il tempo è letteralmente d’oro: gli esperti definiscono golden hour (ora d'oro), la circostanza che sancisce come il tempo corso tra l'evento e la centralizzazione presso un "trauma center" non debba essere superiore ai 60 minuti, limite oltre il quale si ha una netta caduta delle possibilità di sopravvivenza o anche solo di limitazione dei danni.
Addirittura, le ultime linee guida parlano dei dieci minuti di platino, durante i quali le manovre messe in atto possono compromettere o favorire il buon esito dell’intervento.

Infine, una considerazione: quando pensiamo al pirata della strada, immaginiamo sempre un criminale ubriaco e drogato che scappa dopo aver provocato un incidente per sottrarsi alle proprie responsabilità. Gli esperti – e noi che studiamo i numeri del nostro osservatorio ASAPS-Pirateria siamo tra loro – sanno che non sempre è così. A volte si scappa per panico: scendere dall’auto e constatare che abbiamo fatto del male a qualcuno, senza sapere poi come affrontare materialmente un soccorso a persona, potrebbe essere un fattore psicologico favorente della fuga.
Quindi: avanti con l’omicidio stradale, ma siccome non siamo forcaioli, pensiamo che se andiamo per mare, meglio saper nuotare. (ASAPS)



Sempre un passo avanti questi francesi ! (ASAPS)

Venerdì, 10 Aprile 2015
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